Tre anni fa Mark Lilla, scienziato politico statunitense, scriveva in The Once and Future Liberal: «In questa fase il paese sta attraversando un risveglio che riguarda il gender e la razza, che è il motivo per cui la retorica che ne scaturisce è di tipo religioso più che politico». Il “risveglio” a cui si riferisce è quello evangelico americano.
Quindi dopo Greta, la profetessa climatica, ecco oggi il revivalismo iconoclasta antirazzista. Come diceva Castoriadis, «l’ascesa dell’insignificanza». Ovviamente come terreno fertile per le azioni strumentali che tratteggeremo.
Poiché le crisi economiche e le epidemie sono un problema più dei poveri che dei ricchi, i ricchissimi della finanza apolide possono perseguire la loro agenda politica a cui, con tenacia, si dedicano per dare un senso alla loro agiata esistenza.
Quindi, mentre voi – che siete onesti perché non avete ben capito come funziona il capitalismo liberale – state cercando di pagare le bollette e di non farvi sfrattare, vi affannate per assicurare un futuro ai figli dopo che la globalizzazione, il liberismo e le misure di lockdown vi hanno messo in ginocchio, ecco che movimenti di protesta che nulla hanno a che fare coi problemi che vi gravano, riempono in tutto il mondo piazze e colonne di giornale.
La spontaneità di queste proteste si nota dal problema visceralmente (?) sentito: il razzismo. Sì, quel fenomeno sociale connesso al colonialismo e all’imperialismo e oggi pressoché sconosciuto in Europa e, soprattutto, in Italia.
Certo, dopo decenni di politiche neoliberali e di espropriazione di benessere, diritti e sicurezze della classe lavoratrice, ecco che i lavoratori, invece di organizzarsi uniti e solidali per recuperare il maltolto, rivendicare salari, diritti e dignità, cominciano a scontrarsi tra loro, sfasciando i negozi e menandosi in nome di un razzismo patafisico o di un fascismo trascendentale (o «ur-fascismo», stando col compianto Eco, l’erudito cantore dell’elitismo e della globalizzazione).
Fantamiliardari, multinazionali col bilancio di stati nazionali, coi loro fedeli cagnolini, i media di massa, sostengono manifestazioni, rivolte e saccheggi nel nome dell’antirazzismo.
Se una cosa è certa è che il capitalismo non è inerentemente razzista: il razzismo si è rivelato fondamentale nel supportare il dominio coloniale e l’imperialismo.
Ma il fondamentalismo del mercato non vuole che ci siano differenze sociali che non siano quelle di classe, naturalizzate e intoccabili: c’è chi deve lavorare per sopravvivere e chi oligopolisticamente comanda e gode delle fatiche altrui.
Chi lavora deve omologarsi in funzione del mercato che tende a unificarsi globalmente e a rendere efficiente lo sfruttamento delle risorse grazie al calcolo economico; va da sé che le diversità razziali sono alla lunga un problema. Un mercato unico mondiale vuole infatti governare un’unica identità di cittadino-consumatore mondiale, il quale esige uniformità e indifferenziazione: «one size fits all», come dicono gli anglosassoni. Una taglia unica per vestire tutti.
Quindi l’antirazzismo è finanziato proprio perché il capitale non vuole l’eguaglianza, ma l’omologazione: i popoli, le culture, le nazioni e le loro storie con i loro simboli devono sparire e lasciare spazio a individui sradicati senza alcuna identità che non sia quella venduta dal mercato. Gli individui atomizzati e socialmente distanziati dovranno essere esteriormente tutti diversi ma interiormente tutti uguali.
Chi si oppone a tutto questo è «fascista»
(oltre che ovviamente «razzista», ça va sans dire).
La mondializzazione capitalistica non ha mai avuto un’unica sovrastruttura ideologica: è passata dal liberalismo al fascismo, dal nazismo al neoliberalismo. È stata fascista e razzista per quella fase dell’imperialismo che cercava l’espansione dei mercati in modo principalmente militarista: oggi è invece antifascista e antirazzista col fine di realizzare un’imperitura rendita monopolistica globale (una volta piegate alle logiche del capitale dominante gli ultimi “stati canaglia”…).
Tutto ciò che è cultura e storia crea differenze e deve essere abbattuto; non è un caso che gli Antifà e i Black Live Matter finanziati da George Soros e «la compagnia del denaro sonante» abbattano le statue, memoria storica.
Le oligarchie espressione degli oligopoli finanziari promuovono la sovversione e la destabilizzazione tematizzando le loro manifestazioni con ideologemi moralistici col fine di dissimulare la brama di controllo e la volontà di oppressione sociali, che sono l’essenza stessa del «potere» e dell’illimitata «volontà di potenza».
Nonostante decenni di oppressione economica e di feroce neocolonialismo – di cui la UE è espressione – le identità nazionali e di classe necessarie per realizzare le democrazie sociali sono dissolte.
La mancanza d’identità si manifesta con la continua comparsa di false identità, rigorosamente prodotte e vendute dagli oligopolisti in modo da creare settarismi e conflitti sezionali, gruppi contrapposti che si scontrano secondo la psicologia dell’appartenenza: ed ecco che la falsa coscienza delle proprie condizioni sociali si esprime in arene immaginarie inventate dai media di massa di proprietà degli oligarchi.
Il becero moralismo che accompagna i tiranni della mondializzazione si realizza con la censura dei canali di comunicazione e d’informazione degli oppositori: chi si espone manifestando uno spirito di conservazione verso la propria identità culturale e la democrazia nazionale, ecco che viene censurato con motivazioni morali, ossia come «fascista», come «razzista», come «omofobo», ovvero come «odiatore»… perché, si sa, le fobie sono paure patologiche che generano rabbia, e la rabbia genera odio.
E l’odio viola le norme delle «community», i termini di servizio delle piattaforme digitali in regime di oligopolio. Quindi ciò che si censura non sono neanche più idee politiche, ma proprio l’avversione, la maldisposizione emotiva ad accettare «il cambiamento». Ovvero – come in tutti i totalitarismi – viene patologizzato il dissenso, vengono patologizzati i sentimenti di chi si vede conculcare le libertà democratiche, i propri diritti, i propri affetti culturali: il proprio futuro e quello dei propri figli. Se non proprio la possibilità stessa di avere una famiglia e dei figli.
Si stanno implementando politiche razziali, totalitarie e fasciste in nome dell’antirazzismo, dell’eguaglianza e dell’antifascismo.
«In democrazia il potere sta negli individui del dèmos, perché consiste essenzialmente nella loro capacità di esercitare le funzioni critiche, dubitative e discussive che chiamiamo «verità», «realtà», «bene» (o giustizia ecc.). Queste funzioni sono loro di diritto, e non possono essere loro tolte, non per ragioni etiche ma per circostanze di fatto: la verità sottratta al controllo critico dell’evidenza non è verità (se no perché dovrebbe temere l’evidenza?).» F. D’Agostini, Introduzione alla verità.
Censurare la memoria storica abbattendo statue o censurare la controinformazione in nome della giustizia e della verità è uno sconvolgente controsenso: ovvero si confuti invece di censurare, perché la censura in nome della verità e della giustizia è una contraddizione in termini.
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Antirazzismo e antifascismo: il moralismo dei censori
Tre anni fa Mark Lilla, scienziato politico statunitense, scriveva in The Once and Future Liberal: «In questa fase il paese sta attraversando un risveglio che riguarda il gender e la razza, che è il motivo per cui la retorica che ne scaturisce è di tipo religioso più che politico». Il “risveglio” a cui si riferisce è quello evangelico americano.
Quindi dopo Greta, la profetessa climatica, ecco oggi il revivalismo iconoclasta antirazzista. Come diceva Castoriadis, «l’ascesa dell’insignificanza». Ovviamente come terreno fertile per le azioni strumentali che tratteggeremo.
Poiché le crisi economiche e le epidemie sono un problema più dei poveri che dei ricchi, i ricchissimi della finanza apolide possono perseguire la loro agenda politica a cui, con tenacia, si dedicano per dare un senso alla loro agiata esistenza.
Quindi, mentre voi – che siete onesti perché non avete ben capito come funziona il capitalismo liberale – state cercando di pagare le bollette e di non farvi sfrattare, vi affannate per assicurare un futuro ai figli dopo che la globalizzazione, il liberismo e le misure di lockdown vi hanno messo in ginocchio, ecco che movimenti di protesta che nulla hanno a che fare coi problemi che vi gravano, riempono in tutto il mondo piazze e colonne di giornale.
La spontaneità di queste proteste si nota dal problema visceralmente (?) sentito: il razzismo. Sì, quel fenomeno sociale connesso al colonialismo e all’imperialismo e oggi pressoché sconosciuto in Europa e, soprattutto, in Italia.
Certo, dopo decenni di politiche neoliberali e di espropriazione di benessere, diritti e sicurezze della classe lavoratrice, ecco che i lavoratori, invece di organizzarsi uniti e solidali per recuperare il maltolto, rivendicare salari, diritti e dignità, cominciano a scontrarsi tra loro, sfasciando i negozi e menandosi in nome di un razzismo patafisico o di un fascismo trascendentale (o «ur-fascismo», stando col compianto Eco, l’erudito cantore dell’elitismo e della globalizzazione).
Fantamiliardari, multinazionali col bilancio di stati nazionali, coi loro fedeli cagnolini, i media di massa, sostengono manifestazioni, rivolte e saccheggi nel nome dell’antirazzismo.
Se una cosa è certa è che il capitalismo non è inerentemente razzista: il razzismo si è rivelato fondamentale nel supportare il dominio coloniale e l’imperialismo.
Ma il fondamentalismo del mercato non vuole che ci siano differenze sociali che non siano quelle di classe, naturalizzate e intoccabili: c’è chi deve lavorare per sopravvivere e chi oligopolisticamente comanda e gode delle fatiche altrui.
Chi lavora deve omologarsi in funzione del mercato che tende a unificarsi globalmente e a rendere efficiente lo sfruttamento delle risorse grazie al calcolo economico; va da sé che le diversità razziali sono alla lunga un problema. Un mercato unico mondiale vuole infatti governare un’unica identità di cittadino-consumatore mondiale, il quale esige uniformità e indifferenziazione: «one size fits all», come dicono gli anglosassoni. Una taglia unica per vestire tutti.
Quindi l’antirazzismo è finanziato proprio perché il capitale non vuole l’eguaglianza, ma l’omologazione: i popoli, le culture, le nazioni e le loro storie con i loro simboli devono sparire e lasciare spazio a individui sradicati senza alcuna identità che non sia quella venduta dal mercato. Gli individui atomizzati e socialmente distanziati dovranno essere esteriormente tutti diversi ma interiormente tutti uguali.
Chi si oppone a tutto questo è «fascista»
(oltre che ovviamente «razzista», ça va sans dire).
La mondializzazione capitalistica non ha mai avuto un’unica sovrastruttura ideologica: è passata dal liberalismo al fascismo, dal nazismo al neoliberalismo. È stata fascista e razzista per quella fase dell’imperialismo che cercava l’espansione dei mercati in modo principalmente militarista: oggi è invece antifascista e antirazzista col fine di realizzare un’imperitura rendita monopolistica globale (una volta piegate alle logiche del capitale dominante gli ultimi “stati canaglia”…).
Tutto ciò che è cultura e storia crea differenze e deve essere abbattuto; non è un caso che gli Antifà e i Black Live Matter finanziati da George Soros e «la compagnia del denaro sonante» abbattano le statue, memoria storica.
Le oligarchie espressione degli oligopoli finanziari promuovono la sovversione e la destabilizzazione tematizzando le loro manifestazioni con ideologemi moralistici col fine di dissimulare la brama di controllo e la volontà di oppressione sociali, che sono l’essenza stessa del «potere» e dell’illimitata «volontà di potenza».
Nonostante decenni di oppressione economica e di feroce neocolonialismo – di cui la UE è espressione – le identità nazionali e di classe necessarie per realizzare le democrazie sociali sono dissolte.
La mancanza d’identità si manifesta con la continua comparsa di false identità, rigorosamente prodotte e vendute dagli oligopolisti in modo da creare settarismi e conflitti sezionali, gruppi contrapposti che si scontrano secondo la psicologia dell’appartenenza: ed ecco che la falsa coscienza delle proprie condizioni sociali si esprime in arene immaginarie inventate dai media di massa di proprietà degli oligarchi.
Il becero moralismo che accompagna i tiranni della mondializzazione si realizza con la censura dei canali di comunicazione e d’informazione degli oppositori: chi si espone manifestando uno spirito di conservazione verso la propria identità culturale e la democrazia nazionale, ecco che viene censurato con motivazioni morali, ossia come «fascista», come «razzista», come «omofobo», ovvero come «odiatore»… perché, si sa, le fobie sono paure patologiche che generano rabbia, e la rabbia genera odio.
E l’odio viola le norme delle «community», i termini di servizio delle piattaforme digitali in regime di oligopolio. Quindi ciò che si censura non sono neanche più idee politiche, ma proprio l’avversione, la maldisposizione emotiva ad accettare «il cambiamento». Ovvero – come in tutti i totalitarismi – viene patologizzato il dissenso, vengono patologizzati i sentimenti di chi si vede conculcare le libertà democratiche, i propri diritti, i propri affetti culturali: il proprio futuro e quello dei propri figli. Se non proprio la possibilità stessa di avere una famiglia e dei figli.
Si stanno implementando politiche razziali, totalitarie e fasciste in nome dell’antirazzismo, dell’eguaglianza e dell’antifascismo.
«In democrazia il potere sta negli individui del dèmos, perché consiste essenzialmente nella loro capacità di esercitare le funzioni critiche, dubitative e discussive che chiamiamo «verità», «realtà», «bene» (o giustizia ecc.). Queste funzioni sono loro di diritto, e non possono essere loro tolte, non per ragioni etiche ma per circostanze di fatto: la verità sottratta al controllo critico dell’evidenza non è verità (se no perché dovrebbe temere l’evidenza?).» F. D’Agostini, Introduzione alla verità.
Censurare la memoria storica abbattendo statue o censurare la controinformazione in nome della giustizia e della verità è uno sconvolgente controsenso: ovvero si confuti invece di censurare, perché la censura in nome della verità e della giustizia è una contraddizione in termini.