Prendo oggi spunto dall’ottimo articolo pubblicato sul blog di Maurizio Blondet: “Quel maledetto divorzio fra Bankitalia e Tesoro” per tornare su un punto fondamentale e sempre trascurato nel dibattito mediatico sul nostro debito pubblico.
Si sente dire ad ogni occasione che “il nostro problema è il debito pubblico, troppo alto!” e si afferma inopinatamente che, di per sè, il debito alto è un impedimento alla spesa pubblica, un punto di debolezza che ci espone alla speculazione dei mercati, ecc.
Ma che le cose non stiano esattamente così, è dimostrato dal caso del Giappone: un Paese con un debito pubblico in percentuale sul PIL doppio rispetto al nostro, che non ha alcun problema.
La ragione della stabilità del Giappone è spiegata in varie analisi, come ad esempio questa: il Giappone è un Paese sovrano, ha una banca centrale controllata dal Governo attraverso il proprio ministero del Tesoro, che detiene la metà dell’intero stock di debito, fungendo da prestatore di ultima istanza. Come può farlo? Semplicemente perché, non essendo soggetto ad alcun vincolo esterno, il Giappone emette e controlla in totale autonomia la propria moneta per acquistare i propri bond e per finanziare così tutta la spesa pubblica di cui ha bisogno. Si chiama “monetizzazione del debito, ed è esattamente ciò che lo statuto della BCE, che vincola il nostro Paese come tutti i membri dell’eurozona, ci VIETA di fare (v. Artt. 7, 14 e 21 Statuto BCE).
In sostanza, ciò che crea la nostra debolezza, impedendoci di rendere sostenibile, garantire e monetizzare il nostro debito, nonché di finanziare la nostra spesa pubblica senza dover dipendere dai “mercati”, è proprio la nostra adesione all’euro.
Quanto sopra, totalmente verificabile dalla lettura dello statuto della BCE, è confermato dalle dinamiche del nostro debito pubblico negli anni precedenti al 2001, anno in cui siamo entrati nell’euro ufficialmente, ma bisogna risalire al 1981 per capire come la connessione (perduta in quell’anno) fra Banca centrale nazionale e controllo statale sia determinante rispetto ai dati economici ed alla stabilità ed autonomia del Paese.
Come evidenziato dal post citato, il nostro debito sino al 1981, anno del divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro, non aveva mai superato la soglia del 65% del PIL.
Questo perché sino ad allora il Tesoro impartiva alla Banca di’Italia di acquistare i nostri titoli di Stato che non venivano acquistati sui mercati ai tassi che lo stesso Tesoro stabiliva. In questo modo, i tassi di interesse restavano sempre sotto la soglia decisa dal Governo ed eravamo al riparo dalle speculazioni e dal ricatto dei mercati.
Nel 1981 invece, il Ministro Andeatta recise per sempre questo collegamento e promosse l’indipendenza della nostra banca centrale dal Governo, formulando inoltre una modalità di collocazione dei nostri titoli sui mercati del tutto nuova e paradossale: quella delle “aste marginali”. In base a questo nuovo criterio, che decide il tasso di interesse che il nostro Paese deve corrispondere a chi compra il nostro debito, sono solo ed esclusivamente “i mercati”, cioè gli speculatori finanziari, ovvero i grandi fondi esteri che acquistano grossi stock di titoli sovrani.
Si spiega così il ricatto dello spread: fra i maggiori acquirenti del nostro debito ci sono appunto questi fondi, oltre alla stessa BCE, che dunque hanno in mano il potere di condizionare totalmente la politica economico e finanziaria del nostro governo.
Per inciso, ricordo che tale situazione, costruita in Italia tramite i provvedimenti sopra descritti e poi “blindata” con l’adesione all’eurozona (che implica l’adesione al principio fondamentale dell’indipendenza “pura” delle banche centrali nazionali rispetto ai Governi), non si verifica in Germania, che stranamente ha mantenuto un intervento della Bundesbank di acquisto dei Bund tedeschi non acquistati ai tassi indicati dal Governo tedesco, a tutela degli stessi, che scongiura in ogni caso il rialzo dei tassi.
Spero sia chiaro dunque il legame inscindibile fra appartenenza all’eurozona e schiavitù del debito e ricatto dei mercati: solo uscendo dall’euro e tornando ad avere una banca centrale sotto il controllo del Ministero del Tesoro, che adempia così nuovamente alla sua funzione pubblica, come da suo statuto, il nostro Paese potrà tornare libero dalla sudditanza agli interessi esteri, oggi incarnati dal controllo di fatto della BCE da parte della Bundesbank, cioè del governo tedesco, nonché dal potere delle grandi lobby finanziarie internazionali (banche, fondi, assicurazioni) che agiscono quali soggetti determinanti dei trend dei mercati.
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COME L’EURO CI RENDE SCHIAVI DEI “MERCATI” IMPEDENDOCI DI RIDURRE DAVVERO IL NOSTRO DEBITO PUBBLICO
10 gennaio 2019
Prendo oggi spunto dall’ottimo articolo pubblicato sul blog di Maurizio Blondet: “Quel maledetto divorzio fra Bankitalia e Tesoro” per tornare su un punto fondamentale e sempre trascurato nel dibattito mediatico sul nostro debito pubblico.
Si sente dire ad ogni occasione che “il nostro problema è il debito pubblico, troppo alto!” e si afferma inopinatamente che, di per sè, il debito alto è un impedimento alla spesa pubblica, un punto di debolezza che ci espone alla speculazione dei mercati, ecc.
Ma che le cose non stiano esattamente così, è dimostrato dal caso del Giappone: un Paese con un debito pubblico in percentuale sul PIL doppio rispetto al nostro, che non ha alcun problema.
La ragione della stabilità del Giappone è spiegata in varie analisi, come ad esempio questa: il Giappone è un Paese sovrano, ha una banca centrale controllata dal Governo attraverso il proprio ministero del Tesoro, che detiene la metà dell’intero stock di debito, fungendo da prestatore di ultima istanza. Come può farlo? Semplicemente perché, non essendo soggetto ad alcun vincolo esterno, il Giappone emette e controlla in totale autonomia la propria moneta per acquistare i propri bond e per finanziare così tutta la spesa pubblica di cui ha bisogno. Si chiama “monetizzazione del debito, ed è esattamente ciò che lo statuto della BCE, che vincola il nostro Paese come tutti i membri dell’eurozona, ci VIETA di fare (v. Artt. 7, 14 e 21 Statuto BCE).
In sostanza, ciò che crea la nostra debolezza, impedendoci di rendere sostenibile, garantire e monetizzare il nostro debito, nonché di finanziare la nostra spesa pubblica senza dover dipendere dai “mercati”, è proprio la nostra adesione all’euro.
Quanto sopra, totalmente verificabile dalla lettura dello statuto della BCE, è confermato dalle dinamiche del nostro debito pubblico negli anni precedenti al 2001, anno in cui siamo entrati nell’euro ufficialmente, ma bisogna risalire al 1981 per capire come la connessione (perduta in quell’anno) fra Banca centrale nazionale e controllo statale sia determinante rispetto ai dati economici ed alla stabilità ed autonomia del Paese.
Come evidenziato dal post citato, il nostro debito sino al 1981, anno del divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro, non aveva mai superato la soglia del 65% del PIL.
Questo perché sino ad allora il Tesoro impartiva alla Banca di’Italia di acquistare i nostri titoli di Stato che non venivano acquistati sui mercati ai tassi che lo stesso Tesoro stabiliva. In questo modo, i tassi di interesse restavano sempre sotto la soglia decisa dal Governo ed eravamo al riparo dalle speculazioni e dal ricatto dei mercati.
Nel 1981 invece, il Ministro Andeatta recise per sempre questo collegamento e promosse l’indipendenza della nostra banca centrale dal Governo, formulando inoltre una modalità di collocazione dei nostri titoli sui mercati del tutto nuova e paradossale: quella delle “aste marginali”. In base a questo nuovo criterio, che decide il tasso di interesse che il nostro Paese deve corrispondere a chi compra il nostro debito, sono solo ed esclusivamente “i mercati”, cioè gli speculatori finanziari, ovvero i grandi fondi esteri che acquistano grossi stock di titoli sovrani.
Si spiega così il ricatto dello spread: fra i maggiori acquirenti del nostro debito ci sono appunto questi fondi, oltre alla stessa BCE, che dunque hanno in mano il potere di condizionare totalmente la politica economico e finanziaria del nostro governo.
Per inciso, ricordo che tale situazione, costruita in Italia tramite i provvedimenti sopra descritti e poi “blindata” con l’adesione all’eurozona (che implica l’adesione al principio fondamentale dell’indipendenza “pura” delle banche centrali nazionali rispetto ai Governi), non si verifica in Germania, che stranamente ha mantenuto un intervento della Bundesbank di acquisto dei Bund tedeschi non acquistati ai tassi indicati dal Governo tedesco, a tutela degli stessi, che scongiura in ogni caso il rialzo dei tassi.
Spero sia chiaro dunque il legame inscindibile fra appartenenza all’eurozona e schiavitù del debito e ricatto dei mercati: solo uscendo dall’euro e tornando ad avere una banca centrale sotto il controllo del Ministero del Tesoro, che adempia così nuovamente alla sua funzione pubblica, come da suo statuto, il nostro Paese potrà tornare libero dalla sudditanza agli interessi esteri, oggi incarnati dal controllo di fatto della BCE da parte della Bundesbank, cioè del governo tedesco, nonché dal potere delle grandi lobby finanziarie internazionali (banche, fondi, assicurazioni) che agiscono quali soggetti determinanti dei trend dei mercati.
Francesca Donato