L’antifascismo si è determinato storicamente come movimento eterogeneo cui sono confluite forze di diversa provenienza. La Carta costituzionale, nata in questo clima, rappresenta l’affermazione di quei valori democratici che sono la sintesi tra gli ideali di sinistra e i valori di destra. I principi morali e giuridici che ad oggi stanno alla base della nostra vita sociale, nacquero infatti su un terreno culturale per lo più libero da strumentalizzazioni politiche, che consentì ai Padri costituenti di operare in vista di quel fine da cui tutti erano accomunati: la riaffermazione del primato dell’uomo.
Oggi, più che mai, avremmo un gran bisogno di rileggere la Costituzione con lo stesso spirito libero di allora, guidati unicamente dalla ricerca di quei valori fondativi universali che dovremmo poter ancora considerare come diritti irrinunziabili, inalienabili e imprescrittibili. Duole constatare, tuttavia, che quell’autentico antifascismo oggi si è trasformato nel comodo rifugio di una sinistra che sembra avere smarrito la sua identità e dimenticato le sue gloriose battaglie per la difesa dei lavoratori e l’affermazione dei diritti sociali. Ciò che oggi della Costituzione sembra interessare maggiormente non è certo la possibilità di una sua più compiuta attuazione, ma piuttosto la via per imporre continue e strumentali riforme.
La crisi valoriale odierna pone interrogativi sul ruolo svolto da questa egemonia culturale antifascista: come mai non si è riusciti a trasmettere alle nuove generazioni i valori del vero antifascismo? Che fine hanno fatto i principi umanitari che accomunarono i padri costituenti, pur provenienti da diverse aree culturali e politiche? E innanzitutto quanti studenti, nel corso dei loro studi, hanno avuto l’opportunità di leggere la Costituzione, come parte integrante dell’offerta formativa?
Certamente ben pochi, se si pensa che oggi il rapporto fra le giovani generazioni e la politica è pesantemente segnato da una sfiducia nelle istituzioni che si traduce in perdita di significato, ripiegamento su se stessi e mancanza di futuro. A causa di tutto ciò, i giovani sono per di più rimproverati di disimpegno, disinteresse e apatia, senza che ci si interroghi veramente sulle cause di questa loro incapacità di maturare una visione consapevole della realtà e di interpretarla attraverso sistemi di valori. Come è possibile, infatti, aspettarsi da loro impegno politico responsabile se, ad esempio, non conoscono nemmeno i principi fondamentali della nostra società democratica e non hanno le competenze minime per riconoscere quell’incostituzionalità dilagante che sta minacciando lo Stato di diritto?
È evidente che di questo stato di cose, le nuove generazioni non sono artefici ma vittime che, più o meno consapevolmente, si muovono alla ricerca di modelli valoriali di riferimento. I continui attacchi all’identità, in ogni sua declinazione, del resto, non possono far altro che demoralizzarli, alimentando quel senso di perdita di significato che inquina ogni aspetto della loro esistenza e che spalanca le porte al nichilismo.
Eppure, per rispondere ai tanti giovani in cerca di significato, che soffrono per la mancanza di futuro, basterebbe parlare loro della nostra Costituzione. Quale infatti miglior garanzia di memoria e preservazione di valori umani universali? Ne era ben consapevole Piero Calamandrei che, nel 1955, rivolse un celebre discorso agli studenti milanesi con l’intento di offrire loro un’arma potente proprio contro quell’indifferentismo giovanile che già allora si presentava come una minaccia. La Costituzione, disse, ci ricorda di “essere persone, di accorgersi che dentro ogni persona c’è una fiamma spirituale che può e deve contribuire al progresso della società”.L’idea salvifica di fondo viene così subito comunicata: non può esserci fioritura dell’io, né vera emancipazione della persona umana, senza un’effettiva partecipazione alla vita politica, sociale ed economica del Paese. In quest’ottica lo Stato, ben lungi dall’essere l’istituzione da cui difendere la propria libertà, ne rappresenta anzi la migliore garanzia di tutela. Dalla libertà dallo Stato, alla libertà nello Stato, dall’idea di una libertà negativa, intesa come assenza di impedimenti esterni, a quella di una libertà positiva, intesa come libertà di partecipazione e di esercizio di diritti fondamentali.
Il primo impegno responsabile non è dunque quello dell’individuo ma quello dello Stato, cui spetta il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che costituiscono un impedimento all’effettiva partecipazione alla vita politica e garantire così un’equa uguaglianza di opportunità. Ecco perché i principi di giustizia per istituzioni sono prioritari e condicio sine qua non dei principi di giustizia per individui.Ecco perché non è possibile parlare di doveri individuali se non dopo aver prestato la dovuta attenzione ai doveri istituzionali, nella consapevolezza che è solo all’interno di istituzioni giuste che gli individui hanno la possibilità di divenire cittadini giusti.
Ne consegue che solo all’interno di istituzioni capaci di assolvere alle loro funzione educativa al bene comune, potrà avere un senso parlare di indifferentismo e intendere questo come offesa ai valori costituzionali che stanno alla base della vita democratica del Paese. Non a caso gli antichi greci ritenevano che non potesse esserci democrazia senza paideia ed Aristotele sosteneva che «i legislatori rendono buoni i cittadini creando in loro determinate abitudini» (Etica Nicomachea, 1103 b).
In conclusione, possiamo dire che la sola via per rilanciare il valore della politica è quella di sconfiggere la sfiducia nella capacità delle istituzioni di rilanciare il senso più alto di una politica, intesa come cura di una polis che è comunità. Solo in una dimensione comunitaria, infatti, l’individuo trova la possibilità di uscire dall’isolamento, realizzare una vita piena e assaporare quella che Calamandrei definiva una delle gioie della vita, ossia rendersi conto che ognuno di noi non è solo e che siamo parte di un tutto.
Purtroppo, benché sia ormai chiaro che basterebbe la Costituzione per riavviare un processo educativo capace di rimettere al centro l’uomo e riaffermare il valore sociale della solidarietà umana, i centri culturali formativi non sembrano tenerne adeguatamente conto. Così accade, ad esempio, che per il Giorno della Memoria in ogni scuola si organizzino eventi commemorativi, si promuovano ricerche di studio, si organizzino proiezioni cinematografiche, ma che poi tutto finisca lì. Ancora oggi, alla maggior parte degli studenti continuano a mancare gli strumenti per riconoscere e smascherare le condizioni culturali, sociali ed economiche che potrebbero causare la rinascita di nuovi totalitarismi. Tale questione è stata ben colta e sintetizzata da Noam Chomsky, il quale ha affermato che “L’istruzione non è memorizzare che Hitler ha ucciso sei milioni di ebrei. L’istruzione è capire come è stato possibile che milioni di tedeschi comuni fossero convinti che fosse necessario farlo. L’istruzione è anche imparare a riconoscere i segni della storia quando si ripete.”
Essere antifascisti oggi dovrebbe voler dire dunque essere contro ogni totalitarismo, ben al di là dell’ormai abusato rituale di commemorazione che, di fatto canalizza la protesta contro ciò che è accaduto nel passato. Se, infatti, un atteggiamento polemico deve essere stimolato nei giovani, questo non può essere solo nei confronti del passato, ma soprattutto nei confronti del presente, in vista di una sua trasformazione. Ai giovani va insegnato dunque soprattutto a vigilare sul presente, a guardare alla realtà, ben al di là e contro ogni preconcetto di tipo ideologico. A tal fine la scuola dovrebbe puntare più sul metodo e sul pensiero critico, che su posizioni ideologiche preconfezionate. Per dirla con Pasolini, oggi non è più tempo di nostalgiche fughe nel passato, né di rifugiarsi in fascismi anacronistici e di tutto comodo. Abbiamo già da un pezzo superato l’urgenza di rifondare una paideia sulla forza trasformatrice della Costituzione e motivare ad un impegno civico che la renda parola vivente.
Concludiamo, citando uno dei passi più vibranti del discorso di Calamandrei che, in questo particolare momento storico, appare più attuale che mai. Oggi come allora, infatti, è necessario esortare i giovani ad una militanza vigilante affinché la libertà, condizione prima di ogni democrazia, non debba mai venir meno.
“la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per 20 anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai e vi auguro di non sentire mai questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla liberà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”.
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Costituzione, educazione alla politica e crisi dell’antifascismo
L’antifascismo si è determinato storicamente come movimento eterogeneo cui sono confluite forze di diversa provenienza. La Carta costituzionale, nata in questo clima, rappresenta l’affermazione di quei valori democratici che sono la sintesi tra gli ideali di sinistra e i valori di destra. I principi morali e giuridici che ad oggi stanno alla base della nostra vita sociale, nacquero infatti su un terreno culturale per lo più libero da strumentalizzazioni politiche, che consentì ai Padri costituenti di operare in vista di quel fine da cui tutti erano accomunati: la riaffermazione del primato dell’uomo.
Oggi, più che mai, avremmo un gran bisogno di rileggere la Costituzione con lo stesso spirito libero di allora, guidati unicamente dalla ricerca di quei valori fondativi universali che dovremmo poter ancora considerare come diritti irrinunziabili, inalienabili e imprescrittibili. Duole constatare, tuttavia, che quell’autentico antifascismo oggi si è trasformato nel comodo rifugio di una sinistra che sembra avere smarrito la sua identità e dimenticato le sue gloriose battaglie per la difesa dei lavoratori e l’affermazione dei diritti sociali. Ciò che oggi della Costituzione sembra interessare maggiormente non è certo la possibilità di una sua più compiuta attuazione, ma piuttosto la via per imporre continue e strumentali riforme.
La crisi valoriale odierna pone interrogativi sul ruolo svolto da questa egemonia culturale antifascista: come mai non si è riusciti a trasmettere alle nuove generazioni i valori del vero antifascismo? Che fine hanno fatto i principi umanitari che accomunarono i padri costituenti, pur provenienti da diverse aree culturali e politiche? E innanzitutto quanti studenti, nel corso dei loro studi, hanno avuto l’opportunità di leggere la Costituzione, come parte integrante dell’offerta formativa?
Certamente ben pochi, se si pensa che oggi il rapporto fra le giovani generazioni e la politica è pesantemente segnato da una sfiducia nelle istituzioni che si traduce in perdita di significato, ripiegamento su se stessi e mancanza di futuro. A causa di tutto ciò, i giovani sono per di più rimproverati di disimpegno, disinteresse e apatia, senza che ci si interroghi veramente sulle cause di questa loro incapacità di maturare una visione consapevole della realtà e di interpretarla attraverso sistemi di valori. Come è possibile, infatti, aspettarsi da loro impegno politico responsabile se, ad esempio, non conoscono nemmeno i principi fondamentali della nostra società democratica e non hanno le competenze minime per riconoscere quell’incostituzionalità dilagante che sta minacciando lo Stato di diritto?
È evidente che di questo stato di cose, le nuove generazioni non sono artefici ma vittime che, più o meno consapevolmente, si muovono alla ricerca di modelli valoriali di riferimento. I continui attacchi all’identità, in ogni sua declinazione, del resto, non possono far altro che demoralizzarli, alimentando quel senso di perdita di significato che inquina ogni aspetto della loro esistenza e che spalanca le porte al nichilismo.
Eppure, per rispondere ai tanti giovani in cerca di significato, che soffrono per la mancanza di futuro, basterebbe parlare loro della nostra Costituzione. Quale infatti miglior garanzia di memoria e preservazione di valori umani universali? Ne era ben consapevole Piero Calamandrei che, nel 1955, rivolse un celebre discorso agli studenti milanesi con l’intento di offrire loro un’arma potente proprio contro quell’indifferentismo giovanile che già allora si presentava come una minaccia. La Costituzione, disse, ci ricorda di “essere persone, di accorgersi che dentro ogni persona c’è una fiamma spirituale che può e deve contribuire al progresso della società”. L’idea salvifica di fondo viene così subito comunicata: non può esserci fioritura dell’io, né vera emancipazione della persona umana, senza un’effettiva partecipazione alla vita politica, sociale ed economica del Paese. In quest’ottica lo Stato, ben lungi dall’essere l’istituzione da cui difendere la propria libertà, ne rappresenta anzi la migliore garanzia di tutela. Dalla libertà dallo Stato, alla libertà nello Stato, dall’idea di una libertà negativa, intesa come assenza di impedimenti esterni, a quella di una libertà positiva, intesa come libertà di partecipazione e di esercizio di diritti fondamentali.
Il primo impegno responsabile non è dunque quello dell’individuo ma quello dello Stato, cui spetta il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che costituiscono un impedimento all’effettiva partecipazione alla vita politica e garantire così un’equa uguaglianza di opportunità. Ecco perché i principi di giustizia per istituzioni sono prioritari e condicio sine qua non dei principi di giustizia per individui. Ecco perché non è possibile parlare di doveri individuali se non dopo aver prestato la dovuta attenzione ai doveri istituzionali, nella consapevolezza che è solo all’interno di istituzioni giuste che gli individui hanno la possibilità di divenire cittadini giusti.
Ne consegue che solo all’interno di istituzioni capaci di assolvere alle loro funzione educativa al bene comune, potrà avere un senso parlare di indifferentismo e intendere questo come offesa ai valori costituzionali che stanno alla base della vita democratica del Paese. Non a caso gli antichi greci ritenevano che non potesse esserci democrazia senza paideia ed Aristotele sosteneva che «i legislatori rendono buoni i cittadini creando in loro determinate abitudini» (Etica Nicomachea, 1103 b).
In conclusione, possiamo dire che la sola via per rilanciare il valore della politica è quella di sconfiggere la sfiducia nella capacità delle istituzioni di rilanciare il senso più alto di una politica, intesa come cura di una polis che è comunità. Solo in una dimensione comunitaria, infatti, l’individuo trova la possibilità di uscire dall’isolamento, realizzare una vita piena e assaporare quella che Calamandrei definiva una delle gioie della vita, ossia rendersi conto che ognuno di noi non è solo e che siamo parte di un tutto.
Purtroppo, benché sia ormai chiaro che basterebbe la Costituzione per riavviare un processo educativo capace di rimettere al centro l’uomo e riaffermare il valore sociale della solidarietà umana, i centri culturali formativi non sembrano tenerne adeguatamente conto. Così accade, ad esempio, che per il Giorno della Memoria in ogni scuola si organizzino eventi commemorativi, si promuovano ricerche di studio, si organizzino proiezioni cinematografiche, ma che poi tutto finisca lì. Ancora oggi, alla maggior parte degli studenti continuano a mancare gli strumenti per riconoscere e smascherare le condizioni culturali, sociali ed economiche che potrebbero causare la rinascita di nuovi totalitarismi. Tale questione è stata ben colta e sintetizzata da Noam Chomsky, il quale ha affermato che “L’istruzione non è memorizzare che Hitler ha ucciso sei milioni di ebrei. L’istruzione è capire come è stato possibile che milioni di tedeschi comuni fossero convinti che fosse necessario farlo. L’istruzione è anche imparare a riconoscere i segni della storia quando si ripete.”
Essere antifascisti oggi dovrebbe voler dire dunque essere contro ogni totalitarismo, ben al di là dell’ormai abusato rituale di commemorazione che, di fatto canalizza la protesta contro ciò che è accaduto nel passato. Se, infatti, un atteggiamento polemico deve essere stimolato nei giovani, questo non può essere solo nei confronti del passato, ma soprattutto nei confronti del presente, in vista di una sua trasformazione. Ai giovani va insegnato dunque soprattutto a vigilare sul presente, a guardare alla realtà, ben al di là e contro ogni preconcetto di tipo ideologico. A tal fine la scuola dovrebbe puntare più sul metodo e sul pensiero critico, che su posizioni ideologiche preconfezionate. Per dirla con Pasolini, oggi non è più tempo di nostalgiche fughe nel passato, né di rifugiarsi in fascismi anacronistici e di tutto comodo. Abbiamo già da un pezzo superato l’urgenza di rifondare una paideia sulla forza trasformatrice della Costituzione e motivare ad un impegno civico che la renda parola vivente.
Concludiamo, citando uno dei passi più vibranti del discorso di Calamandrei che, in questo particolare momento storico, appare più attuale che mai. Oggi come allora, infatti, è necessario esortare i giovani ad una militanza vigilante affinché la libertà, condizione prima di ogni democrazia, non debba mai venir meno.
“la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per 20 anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai e vi auguro di non sentire mai questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla liberà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”.