Alcune considerazioni vanno fatte in merito alla “benedizione” che la piattaforma Rousseau avrebbe dato al nuovo esecutivo; esecutivo che si è formato senza la prassi democratica di passare dalle urne.
La piattaforma Rousseau è un software che avrebbe la funzione di organizzare le attività del M5S e, in particolare, di permettere agli iscritti di esprimersi su temi di particolare rilevanza che riguardano il partito nella sua dimensione tanto locale quanto nazionale. Mentre l’interazione dei cittadini per le problematiche amministrative, locali, apre effettivamente a diverse possibilità di partecipazione, lascia perplessi la sua teorica funzionalità a livello politico.
L’obiettivo politico dichiarato dai creatori della piattaforma è quello di permettere agli elettori di agire come se vi fosse una nuova possibilità di “democrazia diretta” oltre a quelle messe a disposizione dalla Costituzione: un’idea di democrazia che vede il meccanismo di rappresentatività parlamentare come superato e che considera l’assenza di «vincolo di mandato» (art.67 Cost.) una delle principali cause di ciò che viene percepito come scollamento tra la volontà dell’elettorato e la prassi degli eletti.
Secondo i promotori di questa iniziativa la piattaforma Rousseau dovrebbe aiutare a disintermediare il processo democratico permettendo piena partecipazione ai cittadini; noi abbozzeremo un’analisi che, tanto per via deduttiva quanto per via induttiva, mostrerà come questo sistema ottenga risvolti politici opposti rispetto a quelli proclamati.
Innanzitutto la presunta “disintermediazione” funzionale a una “democrazia diretta” è in realtà una finzione di fatto: ovvero la piattaforma in sé è un medium, un mezzo che è esposto per costruzione ad un indeterminato numero di manipolazioni. Manipolazioni che possono annoverare tanto la manomissione di chi gestisce la piattaforma o di chi attua attacchi informatici, quanto l’iscrizione selettiva alla piattaforma che può essere a sua volta influenzata da gruppi politici organizzati.
Non ci soffermeremo sulla quantità enorme di studi che dimostrano come il voto elettronico sia insicuro per costruzione, e su come Internet e la tecnologia digitale siano concepite per essere assolutamente vulnerabili e fallate, tanto per la comodità dei privati, quanto per quella dei governi dei paesi dominanti che possiedono monopolisticamente le piattaforme e il know-how tecnologico. Di letteratura ce n’è a volontà.
Non possono poi che rimanere forti dubbi sulla corrispondenza tra gli iscritti alla piattaforma Rousseau e gli elettori effettivi del M5S e, soprattutto, rimane il problema fondamentale della rappresentatività: gli iscritti alla piattaforma sono un campione rappresentativo degli elettori M5S? O sarebbero rappresentativi di cosa? Una società privata garantisce poi, praticamente in modo autoreferenziale, tutto il processo a partire dalle iscrizioni.
Nello slogan pentastellato «uno vale uno» è implicita un’identità tra opinioni politiche e loro pubblica espressione nelle sedi istituzionali; ma è evidente che il concetto stesso di «cittadinanza digitale», da cui nasce questa iniziativa, inficia dalle fondamenta questa possibilità. La «cittadinanza digitale» prevede la ricontestualizzazione dei diritti civili e politici della persona nel campo della digitalizzazione; campo caratterizzato dalle vulnerabilità strutturali accennate sopra e che per motivi sempre strutturali comporta un livello di mediazione maggiore, non minore, rispetto all’usuale partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese. E questo lo si nota proprio appena il medium viene utilizzato per esprimere una volontà politica.
La tecnica non sostituisce l’intermediazione umana: semplicemente la sostituisce con delle macchine che vengono spacciate per neutrali ma che, in realtà, mascherano l’intermediazione di soggetti tendenzialmente illegittimi. Ovvero i proprietari delle macchine.
Insomma, per via deduttiva – analiticamente – la prassi di disintermediare con l’ausilio di un mezzo tecnologico raggiunge solo l’obiettivo di sostituire un medium con un altro quando va bene, o di aggiungerne un altro tout-court quando va male, aumentando il controllo e le possibilità di manipolazione dei processi mediati.
Piuttosto sconcertante risulta anche la retorica della “trasparenza” che la tecnologia dovrebbe permettere: nella concezione stessa dei dispositivi tecnologici vengono sintetizzati dei rapporti sociali e i conseguenti rapporti di forza che questi esprimono. Se c’è una vittima in quel processo di digitalizzazione forzata che va sotto il nome di “agenda digitale”, è proprio la “trasparenza”: ovvero la trasparenza e la relativa responsabilità di chi crea, distribuisce e controlla le piattaforme tecnologiche. Cioè di chi è in condizione di spiare, manipolare e adulterare dati e informazioni. Opposta è invece la condizione di chi è potenzialmente “spiato”, “manipolato” e “ingannato”: in pratica, la digitalizzazione produce scarsa trasparenza per chi progetta e realizza dispositivi tecnologici (magari volti alla “trasparenza” stessa), e carenza di privacy e garanzie per chi si trova a non poter contare sul corretto trattamento dei suoi dati (o, in caso di voto elettronico, sulla affidabilità e sulla segretezza dello scrutinio).
Queste premesse analitiche sono più o meno valide per qualsiasi piattaforma digitale, e, in generale, si può agevolmente dimostrare come, in una società caratterizzata da crescenti ingiustizie sociali, il maggior uso di tecnologia aumenti gli squilibri.
Rimane da verificare cosa ci induce a constatare la recente esperienza: in che frangente, in che contesto è stata usata la piattaforma Rousseau? Invece di seguire la prassi democratica che avrebbe voluto, data la crisi di governo, che si andasse a elezioni per accertare l’opinione dell’elettorato, si è di fatto mediaticamente legittimato un esecutivo che, stando alle recenti elezioni intermedie, non rispecchia l’attuale volontà popolare; il tutto con l’ausilio di un espediente sconcertante: un rappresentativamente dubbio campione di elettori iscritti al M5S – come in un distopico racconto di fantascienza di Isaac Asimov – ha scelto al posto del popolo politicamente attivo. Con il peso di tutte le perplessità che coinvolgono lo scrutinio tramite una piattaforma digitale privata.
Ciò che è appena successo in Italia segna un drammatico precedente nel percorso verso la privatizzazione della democrazia che, in definitiva, è il vero volto della tecnocrazia.
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Digitalizzazione e tecnocrazia
Alcune considerazioni vanno fatte in merito alla “benedizione” che la piattaforma Rousseau avrebbe dato al nuovo esecutivo; esecutivo che si è formato senza la prassi democratica di passare dalle urne.
La piattaforma Rousseau è un software che avrebbe la funzione di organizzare le attività del M5S e, in particolare, di permettere agli iscritti di esprimersi su temi di particolare rilevanza che riguardano il partito nella sua dimensione tanto locale quanto nazionale. Mentre l’interazione dei cittadini per le problematiche amministrative, locali, apre effettivamente a diverse possibilità di partecipazione, lascia perplessi la sua teorica funzionalità a livello politico.
L’obiettivo politico dichiarato dai creatori della piattaforma è quello di permettere agli elettori di agire come se vi fosse una nuova possibilità di “democrazia diretta” oltre a quelle messe a disposizione dalla Costituzione: un’idea di democrazia che vede il meccanismo di rappresentatività parlamentare come superato e che considera l’assenza di «vincolo di mandato» (art.67 Cost.) una delle principali cause di ciò che viene percepito come scollamento tra la volontà dell’elettorato e la prassi degli eletti.
Secondo i promotori di questa iniziativa la piattaforma Rousseau dovrebbe aiutare a disintermediare il processo democratico permettendo piena partecipazione ai cittadini; noi abbozzeremo un’analisi che, tanto per via deduttiva quanto per via induttiva, mostrerà come questo sistema ottenga risvolti politici opposti rispetto a quelli proclamati.
Innanzitutto la presunta “disintermediazione” funzionale a una “democrazia diretta” è in realtà una finzione di fatto: ovvero la piattaforma in sé è un medium, un mezzo che è esposto per costruzione ad un indeterminato numero di manipolazioni. Manipolazioni che possono annoverare tanto la manomissione di chi gestisce la piattaforma o di chi attua attacchi informatici, quanto l’iscrizione selettiva alla piattaforma che può essere a sua volta influenzata da gruppi politici organizzati.
Non ci soffermeremo sulla quantità enorme di studi che dimostrano come il voto elettronico sia insicuro per costruzione, e su come Internet e la tecnologia digitale siano concepite per essere assolutamente vulnerabili e fallate, tanto per la comodità dei privati, quanto per quella dei governi dei paesi dominanti che possiedono monopolisticamente le piattaforme e il know-how tecnologico. Di letteratura ce n’è a volontà.
Non possono poi che rimanere forti dubbi sulla corrispondenza tra gli iscritti alla piattaforma Rousseau e gli elettori effettivi del M5S e, soprattutto, rimane il problema fondamentale della rappresentatività: gli iscritti alla piattaforma sono un campione rappresentativo degli elettori M5S? O sarebbero rappresentativi di cosa? Una società privata garantisce poi, praticamente in modo autoreferenziale, tutto il processo a partire dalle iscrizioni.
Nello slogan pentastellato «uno vale uno» è implicita un’identità tra opinioni politiche e loro pubblica espressione nelle sedi istituzionali; ma è evidente che il concetto stesso di «cittadinanza digitale», da cui nasce questa iniziativa, inficia dalle fondamenta questa possibilità. La «cittadinanza digitale» prevede la ricontestualizzazione dei diritti civili e politici della persona nel campo della digitalizzazione; campo caratterizzato dalle vulnerabilità strutturali accennate sopra e che per motivi sempre strutturali comporta un livello di mediazione maggiore, non minore, rispetto all’usuale partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese. E questo lo si nota proprio appena il medium viene utilizzato per esprimere una volontà politica.
La tecnica non sostituisce l’intermediazione umana: semplicemente la sostituisce con delle macchine che vengono spacciate per neutrali ma che, in realtà, mascherano l’intermediazione di soggetti tendenzialmente illegittimi. Ovvero i proprietari delle macchine.
Insomma, per via deduttiva – analiticamente – la prassi di disintermediare con l’ausilio di un mezzo tecnologico raggiunge solo l’obiettivo di sostituire un medium con un altro quando va bene, o di aggiungerne un altro tout-court quando va male, aumentando il controllo e le possibilità di manipolazione dei processi mediati.
Piuttosto sconcertante risulta anche la retorica della “trasparenza” che la tecnologia dovrebbe permettere: nella concezione stessa dei dispositivi tecnologici vengono sintetizzati dei rapporti sociali e i conseguenti rapporti di forza che questi esprimono. Se c’è una vittima in quel processo di digitalizzazione forzata che va sotto il nome di “agenda digitale”, è proprio la “trasparenza”: ovvero la trasparenza e la relativa responsabilità di chi crea, distribuisce e controlla le piattaforme tecnologiche. Cioè di chi è in condizione di spiare, manipolare e adulterare dati e informazioni. Opposta è invece la condizione di chi è potenzialmente “spiato”, “manipolato” e “ingannato”: in pratica, la digitalizzazione produce scarsa trasparenza per chi progetta e realizza dispositivi tecnologici (magari volti alla “trasparenza” stessa), e carenza di privacy e garanzie per chi si trova a non poter contare sul corretto trattamento dei suoi dati (o, in caso di voto elettronico, sulla affidabilità e sulla segretezza dello scrutinio).
Queste premesse analitiche sono più o meno valide per qualsiasi piattaforma digitale, e, in generale, si può agevolmente dimostrare come, in una società caratterizzata da crescenti ingiustizie sociali, il maggior uso di tecnologia aumenti gli squilibri.
Rimane da verificare cosa ci induce a constatare la recente esperienza: in che frangente, in che contesto è stata usata la piattaforma Rousseau? Invece di seguire la prassi democratica che avrebbe voluto, data la crisi di governo, che si andasse a elezioni per accertare l’opinione dell’elettorato, si è di fatto mediaticamente legittimato un esecutivo che, stando alle recenti elezioni intermedie, non rispecchia l’attuale volontà popolare; il tutto con l’ausilio di un espediente sconcertante: un rappresentativamente dubbio campione di elettori iscritti al M5S – come in un distopico racconto di fantascienza di Isaac Asimov – ha scelto al posto del popolo politicamente attivo. Con il peso di tutte le perplessità che coinvolgono lo scrutinio tramite una piattaforma digitale privata.
Ciò che è appena successo in Italia segna un drammatico precedente nel percorso verso la privatizzazione della democrazia che, in definitiva, è il vero volto della tecnocrazia.
Con buona pace di Jean-Jaques Rousseau.
11/09/19 di Bazaar
(Per approfondimenti: https://orizzonte48.blogspot.com/2019/02/lagenda-digitale-ossia-il-panapticon.html )