Il «presidente della Banca Centrale Europe Mario Draghi ha detto che il Consiglio Direttivo della
Bce dovrebbe aprire a idee come la Teoria della Moneta Moderna»: così riporta Bloomberg, una
delle principali testate al mondo di carattere finanziario ed economico, in un articolo pubblicato il 23 settembre, edizione on line.
In eurozona, la banca centrale sovranazionale chiamata BCE, secondo i trattati europei, non può
acquistare direttamente i titoli del debito pubblico emessi dai rispettivi Stati nazionali che le hanno
ceduto sovranità monetaria, e non ne può quindi “monetizzare il deficit”. Ovvero la BCE è l’unica
banca centrale della storia che non può finanziare con base monetaria il disavanzo pubblico che,
come è noto agli studenti di economia, è il modo meno oneroso con cui lo Stato si può finanziare.
Le maggiori controindicazioni di questo tipo di finanziamento consistono nel fatto che, a causa di
“strozzature” in alcuni settori economici, o nel caso in cui si fosse raggiunto il livello di piena
occupazione, si potrebbero creare tensioni sul livello dei prezzi, ovvero potrebbe aumentare
l’inflazione. Inflazione che in Europa non si vede, avendo l’UE il problema opposto: ovvero
disoccupazione dilagante e inflazione troppo bassa (il cosiddetto “target”, ossia l’obiettivo di inflazione della BCE, dovrebbe essere il 2%: oggi un miraggio).
Draghi quindi, dovendo aggirare in qualche modo il divieto espresso dai Trattati, ha immesso nel
mercato, tramite un «alleggerimento quantitativo» (QE), una grande quantità di liquidità tramite un
programma d’acquisto di attività finanziarie e titoli di stato a media e lunga scadenza.
Questa politica monetaria, definita dai rappresentanti delle istituzioni economiche dominanti «non
convenzionale», è in realtà ciò che dovrebbe essere una comune prassi di politica economica volta
alla realizzazione dei principi fondamentalissimi della nostra Costituzione; principi garantiti da:
piena occupazione, tutela del risparmio, controllo del credito, acquisto della casa d’abitazione, ecc.
Il controllo della moneta e del credito – secondo la nostra Carta – dovrebbe essere indirizzato
strumentalmente a queste finalità, secondo i canoni della dottrina keynesiana di cui è informata la costituzione economica.
Apriamo un inciso di storia del pensiero economico: la moderna dottrina di J.M. Keynes
rivoluzionò la vecchia concezione liberale dell’economia politica, dando soluzioni agli squilibri
finanziari ed economici del capitalismo. Poiché la stabilizzazione economica andava soprattutto a
beneficio della classe lavoratrice – “direttamente” grazie all’intervento redistributivo dello Stato,
volto alla piena occupazione e a sostegno della domanda aggregata, “indirettamente” poiché la
dottrina keynesiana permetteva di evitare gli shock sociali dovuti alle crisi economiche e alle
tensioni internazionali conseguenti (che si sono periodicamente risolte in guerre sempre più
distruttive e geograficamente diffuse) – gli ordini democratici moderni furono perlopiù edificati su principi macroeconomici keynesiani.
Ovvero, se la nostra democrazia è fondata sul «lavoro», è perché tutte le forze politiche sono
convenute su quei principi di carattere socialista che sono esplicitati nella teoria macroeconomica
keynesiana.
Negli atti della commissione economica dell’Assemblea Costituente – questo accordo scientifico emetaetico – emerge con chiarezza.
Chiaramente il paradigma keynesiano – essendo funzionale a rendere effettiva la democrazia
tramite la giustizia sociale – andava a erodere il potere economico e politico delle classi
internazionalmente egemoni, e, a partire da fine anni ‘60 e inizio‘70 del secolo scorso, queste finanziarono e promossero la vecchia dottrina liberale, chiamata «neoliberale».
Uno dei dogmi di questa dottrina è appunto il “vincolo monetario” applicato allo Stato sociale e
democratico, il quale deve essere spogliato delle leve stesse che possono permettere quel benessere
diffuso volto all’inclusione sociale e alla partecipazione democratica. Ricordando il capoverso
dell’art.3 Cost.: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica
e sociale del Paese.» Poiché la giustizia sociale è sia la chiave per stabilizzare il capitalismo, sia la
via obbligata per la partecipazione democratica, il keynesismo è stato l’uovo di Colombo di quel
periodo di crescita economica e benessere chiamati i «Trenta gloriosi» (1945 – 1973).
Il vincolo monetario dello SME a fine ‘70 – propedeutico alla moneta unica – e il «divorzio» tra
Tesoro e Banca d’Italia dell’81, segnano in Italia l’inizio del sovvertimento della costituzione
economica e dell’impedimento a raggiungere i suoi obiettivi politici, sociali ed economici: le leve
della politica monetaria vengono strappate al potere democratico proprio della sovranità popolare,
per essere consegnate al potere tecnocratico proprio del mercato. Si inizia a parlare di «austerità» e
iniziano politiche monetarie sempre più restrittive, impedendo progressivamente sempre più le
politiche keynesiane volte alla socializzazione del potere economico e all’effettività della
democrazia. Lo Stato sociale va progressivamente in frantumi per l’asfissia delle finanze pubbliche
prive dei naturali strumenti previsti costituzionalmente. Il ritorno allo Stato minimo proprio degli
ordini liberali ottocenteschi, con tanto di privatizzazione dei servizi pubblici, è perseguito dalle oligarchie economiche mentre il corpo sociale non può reagire, incatenato dai vincoli monetari.
Fine della parentesi di storia economica.
Ciò che costituzionalmente sarebbe assolutamente “convenzionale”, se non proprio
costituzionalmente obbligatorio, negli ultimi decenni di vetero-liberalismo è diventato “non
convenzionale”: Draghi pare quindi rendersi conto che per uscire dal disastro economico e sociale
europeo è necessario porre in essere politiche economiche espansive di matrice keynesiana.
Ma perché citare questa teoria economica chiamata MMT, legata ad economisti essenzialmente post-keynesiani? Perché non citare apertamente Keynes?
Sicuramente meno si parla di keynesismo – rimosso dalla mente dei ministri delle finanze di gran
parte del pianeta – meglio è; o, almeno, meglio è per i banchieri e il loro codazzo di economisti,
giornalisti e docenti che in questi decenni hanno propugnato totalitaristicamente il neoliberalismo.
Quindi usare un “brand” – Teoria Monetaria Moderna – dietro cui si cela ciò che dovrebbero essere
le classiche (abbandonate) ricette keynesiane, può essere interpretato come un: «le nostre ricette
(ottocentesche) neoliberali hanno fallito, bene, proviamo questa nuova teoria (che nuova non è)».
Altrimenti qualcuno potrebbe pensare che la macelleria sociale di questi lustri sia stata fatta apposta e negli interessi di qualcuno (la classe dei grandi redditieri). Non sia mai.
Ma c’è dell’altro: come scriveva a febbraio di quest’anno l’economista Krugman sul New York
Times, i seguaci della MMT che esprimono «messianiche» (sic) affermazioni per cui il keynesismo
convenzionale sarebbe in qualche modo sbagliato, «tendono ad essere poco chiari intorno a cosa
esattamente sarebbero le loro differenze rispetto all’approccio convenzionale». Inoltre hanno la «forteinclinazione a respingere via qualsiasi tentativo di dare un senso a ciò che stanno dicendo».
Krugman, Nobel e famoso opinionista, è solito ricevere una grande quantità di corrispondenza da
parte dei suoi lettori: e, senza troppi mezzi termini, descrive i seguaci della MMT come una specie di setta.
Perché Draghi cita proprio, in quel contesto e in quel modo, questa teoria…“messianico-settaria”?
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Finanziamento con base monetaria del deficit e lo strano caso della MMT
delle principali testate al mondo di carattere finanziario ed economico, in un articolo pubblicato il 23 settembre, edizione on line.
disoccupazione dilagante e inflazione troppo bassa (il cosiddetto “target”, ossia l’obiettivo di inflazione della BCE, dovrebbe essere il 2%: oggi un miraggio).
programma d’acquisto di attività finanziarie e titoli di stato a media e lunga scadenza.
Negli atti della commissione economica dell’Assemblea Costituente – questo accordo scientifico emetaetico – emerge con chiarezza.
periodo di crescita economica e benessere chiamati i «Trenta gloriosi» (1945 – 1973).
Fine della parentesi di storia economica.
europeo è necessario porre in essere politiche economiche espansive di matrice keynesiana.
Perché Draghi cita proprio, in quel contesto e in quel modo, questa teoria…“messianico-settaria”?
30/09/19 di Bazaar