In questi giorni ho meditato a lungo sul senso del pass vaccinale. Dato per scontato che non sia, e probabilmente non è mai stato, se non per qualche ingenuo, un meccanismo di salvaguardia sanitaria, visto che i vaccinati si possono contagiare e sono contagiosi per gli altri (il problema della carica virale non rileva per la ratio del provvedimento e comunque è oggetto ancora di studi e ipotesi) e dato altresì che ogni logica di protezione ”sociale” attuata in via eccezionale non trova fondamento, atteso che la pandemia non ha più alcun numero per essere ritenuta ancora tale, e che pertanto risulta inesistente il presupposto dell’urgenza e dello stato di emergenza, è giusto chiedersi quale senso abbia un lasciapassare sociale, per esercitare i propri diritti democratici.
Ancora di più la domanda si pone se pensiamo che è appena entrato in vigore il cosiddetto “super green pass”, ovvero l’estensione del permesso anche all’attività lavorativa, pubblica e privata, la cui mancanza porta il lavoratore ad essere considerato assente ingiustificato dal posto di lavoro, con privazione dello stipendio ed altre sanzioni economiche, come la non validità ai fini pensionistici del periodo di assenza. Questa misura, unica in Europa, che accomuna l’Italia al solo altro Paese che ha adottato una norma simile, ovvero l’Arabia Saudita (non proprio un modello di democrazia…), entra in vigore a pochi mesi dalla fine formale dello stato di emergenza, stabilito per il 31 dicembre, e nonostante, come detto, i numeri dei ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive siano assolutamente nella norma e i contagi stiano calando.
L’assurdità di considerare necessario l’avere un lasciapassare per lavorare, in assenza di pandemia, non ha portato peraltro il Governo a ripensare alla misura, preferendo arrivare allo scontro sociale con alcune categorie di lavoratori, i portuali e i trasportatori, categorie che rischiano di paralizzare ogni scambio economico e di condurre l’Italia a una crisi seria di approvvigionamento. Perché tutto ciò? Perché questa durezza e questa impermeabilità ad ogni voce di buon senso che chiede di ripensarci?
La risposta più corretta che mi sono dato è che il green pass è soprattutto un fatto sociale, un metodo che non si vuole abbandonare perché rappresenta il possibile futuro del rapporto fra cittadino e potere.
Il green pass è un premio e allo stesso tempo una condanna.
È un premio perché palesemente è stato istituito per favorire chi si è vaccinato, per dargli una ricompensa per la sua obbedienza, concedendogli una libertà, sempre limitata e circoscritta, ma che lo faccia sentire privilegiato rispetto al ribelle no vax. Il green pass è lo zuccherino che si dà al cavallo dopo che ha fatto correttamente l’esercizio, è la carezza del padrone al proprio cane ubbidiente. E, come si fa con questi animali, li si lascia liberi di correre, dentro il recinto, o dentro il parco, togliendo loro sella e guinzaglio.
Ma il green pass è contemporaneamente una condanna, perché è anche la stessa sella o il guinzaglio: una volta sottomessi all’idea che i diritti che si godono non siano riconosciuti ab origine, ma concessi, la libertà vera, quella democratica riconosciuta e tutelata dalla Costituzione semplicemente scompare.
I cittadini diventano soggetti concessionari e non titolari dei diritti sociali e questi possono essere condizionati a prove di ubbidienza. Il green pass, infatti, per come è tecnicamente congegnato, si presta ad essere applicato anche in altre situazioni, ad esempio il godimento del diritto di partecipazione alla vita sociale e politica del Paese può essere condizionato all’assolvimento degli obblighi tributari, assolvimento che verrebbe immesso nel Qrcode e rilevato da apposita app. Oppure lo stile di vita ecologicamente sostenibile, secondo i parametri decisi dal Governo, potrebbe diventare misura della possibilità di svolgere alcune attività, premiando i comportamenti “green”, arbitrariamente determinati, e punendo quelli considerati inquinanti o sprecanti risorse.
Il green pass insomma va ben al di là della mera emergenza sanitaria, ma può diventare la misura della cittadinanza, il modo per indirizzare i comportamenti e reprimere ogni ribellione.
Non crediate che non ci stiano pensando. Una volta che ci avranno domati e resi docili non perderanno l’occasione di implementare un vero sistema di credito di cittadinanza.
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GREEN PASS: IL PREMIO SOCIALE
In questi giorni ho meditato a lungo sul senso del pass vaccinale. Dato per scontato che non sia, e probabilmente non è mai stato, se non per qualche ingenuo, un meccanismo di salvaguardia sanitaria, visto che i vaccinati si possono contagiare e sono contagiosi per gli altri (il problema della carica virale non rileva per la ratio del provvedimento e comunque è oggetto ancora di studi e ipotesi) e dato altresì che ogni logica di protezione ”sociale” attuata in via eccezionale non trova fondamento, atteso che la pandemia non ha più alcun numero per essere ritenuta ancora tale, e che pertanto risulta inesistente il presupposto dell’urgenza e dello stato di emergenza, è giusto chiedersi quale senso abbia un lasciapassare sociale, per esercitare i propri diritti democratici.
Ancora di più la domanda si pone se pensiamo che è appena entrato in vigore il cosiddetto “super green pass”, ovvero l’estensione del permesso anche all’attività lavorativa, pubblica e privata, la cui mancanza porta il lavoratore ad essere considerato assente ingiustificato dal posto di lavoro, con privazione dello stipendio ed altre sanzioni economiche, come la non validità ai fini pensionistici del periodo di assenza. Questa misura, unica in Europa, che accomuna l’Italia al solo altro Paese che ha adottato una norma simile, ovvero l’Arabia Saudita (non proprio un modello di democrazia…), entra in vigore a pochi mesi dalla fine formale dello stato di emergenza, stabilito per il 31 dicembre, e nonostante, come detto, i numeri dei ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive siano assolutamente nella norma e i contagi stiano calando.
L’assurdità di considerare necessario l’avere un lasciapassare per lavorare, in assenza di pandemia, non ha portato peraltro il Governo a ripensare alla misura, preferendo arrivare allo scontro sociale con alcune categorie di lavoratori, i portuali e i trasportatori, categorie che rischiano di paralizzare ogni scambio economico e di condurre l’Italia a una crisi seria di approvvigionamento. Perché tutto ciò? Perché questa durezza e questa impermeabilità ad ogni voce di buon senso che chiede di ripensarci?
La risposta più corretta che mi sono dato è che il green pass è soprattutto un fatto sociale, un metodo che non si vuole abbandonare perché rappresenta il possibile futuro del rapporto fra cittadino e potere.
Il green pass è un premio e allo stesso tempo una condanna.
È un premio perché palesemente è stato istituito per favorire chi si è vaccinato, per dargli una ricompensa per la sua obbedienza, concedendogli una libertà, sempre limitata e circoscritta, ma che lo faccia sentire privilegiato rispetto al ribelle no vax. Il green pass è lo zuccherino che si dà al cavallo dopo che ha fatto correttamente l’esercizio, è la carezza del padrone al proprio cane ubbidiente. E, come si fa con questi animali, li si lascia liberi di correre, dentro il recinto, o dentro il parco, togliendo loro sella e guinzaglio.
Ma il green pass è contemporaneamente una condanna, perché è anche la stessa sella o il guinzaglio: una volta sottomessi all’idea che i diritti che si godono non siano riconosciuti ab origine, ma concessi, la libertà vera, quella democratica riconosciuta e tutelata dalla Costituzione semplicemente scompare.
I cittadini diventano soggetti concessionari e non titolari dei diritti sociali e questi possono essere condizionati a prove di ubbidienza. Il green pass, infatti, per come è tecnicamente congegnato, si presta ad essere applicato anche in altre situazioni, ad esempio il godimento del diritto di partecipazione alla vita sociale e politica del Paese può essere condizionato all’assolvimento degli obblighi tributari, assolvimento che verrebbe immesso nel Qrcode e rilevato da apposita app. Oppure lo stile di vita ecologicamente sostenibile, secondo i parametri decisi dal Governo, potrebbe diventare misura della possibilità di svolgere alcune attività, premiando i comportamenti “green”, arbitrariamente determinati, e punendo quelli considerati inquinanti o sprecanti risorse.
Il green pass insomma va ben al di là della mera emergenza sanitaria, ma può diventare la misura della cittadinanza, il modo per indirizzare i comportamenti e reprimere ogni ribellione.
Non crediate che non ci stiano pensando. Una volta che ci avranno domati e resi docili non perderanno l’occasione di implementare un vero sistema di credito di cittadinanza.
Ecco perché bisogna resistere.