Chiunque segua attraverso i media tradizionali (tv e stampa) il dibattito economico-politico sul tema della crisi economica , delle sue responsabilità e delle scelte politiche del governo per uscirne, si sarà accorto della unanimità delle opinioni diffuse sull’argomento.
Tutte le informazioni che vengono fornite, attraverso analisi di economisti, pareri dei vertici di organi dell’economia nazionale ed europea, giornalisti ed opinionisti vari, convergono su alcuni punti fondamentali:
1) la crisi attuale deriva dall’eccesso di spesa pubblica sostenuta nei decenni trascorsi dai governi populisti e corrotti succedutisi al potere: Andreotti – Forlani – Craxi prima, Berlusconi poi;
2) a causa di tali politiche “irresponsabili” si è accumulato l’ingente debito pubblico che oggi ci affligge ed è il principale problema alla base del declino economico italiano negli ultimi anni;
3) per rimediare alle “colpe” dei governi passati e dei cittadini che li hanno eletti, è necessario sopportare oggi i “sacrifici” che “ci chiede l’Europa” – per il nostro bene, ovviamente – al fine di “mettere i conti in ordine” e risanare la finanza pubblica;
4) per rilanciare la nostra economia è necessario fare “le riforme” che hanno fatto i tedeschi – più bravi di noi – “stringendo la cinghia” mentre noi “spendevamo allegramente”;
5) bisogna in sostanza tagliare la spesa pubblica (specie quella “improduttiva”) ed aumentare le tasse “sui ricchi”, per poter fare interventi per la crescita e l’occupazione e aiutare “i più poveri”, giustificando l’enorme pressione fiscale col fatto che “in Italia c’è un’altissima evasione e corruzione”, e chi evade è un delinquente e farabutto, perché evadere il fisco equivale a rubare soldi agli Italiani;
6) ogni altra via prospettata per uscire dalla crisi è inadeguata e fuorviante, in particolare è “folle” l’idea di uscire dall’euro, perché significherebbe svalutazione e iperinflazione, e manderebbe in rovina il Paese;
7) l’euro “ci protegge” e l’Europa (confusa con l’Eurozona) per noi è la dimensione minima in cui muoverci per “agganciare la ripresa” ed uscire dalla crisi, ma al contempo non si deve pretendere che la BCE emetta gli eurobond e acquisti il nostro debito, perché “non è giusto che la Germania paghi i nostri debiti”.
La quantità di espressioni-slogan basate su luoghi comuni economico-politici, nell’informazione veicolata da tv e giornali, è – come si può notare -impressionante.
Ma ciò che più dovrebbe indurre a riflettere il lettore o lo spettatore è la pressochè totale assenza di spazio concesso a chi esprime opinioni contrarie a quelle sopra evidenziate, o addirittura mette in discussione la validità delle politiche del governo in carica e dell’indirizzo europeo cui le stesse si conformano.
Le sparute voci di dissenso vengono relegate nei programmi di tarda serata, poste in contraddittorio con un fronte massiccio di sostenitori delle tesi luogocomuniste prevalenti, concedendo agli “eretici” (definiti espressamente tali) pochissimi minuti per esprimersi, contro le mezz’ore date ai politici del governo e giornalisti/opinionisti allineati.
Questa tecnica di controllo delle informazioni date dai media si chiama censura, ed un sistema di informazione basato sulla censura delle opinioni discordanti si chiama propaganda.
Secondo la definizione condivisa unanimemente fra storici e studiosi dell’informazione, la propaganda è “l’attività di disseminazione di idee e informazioni con lo scopo di indurre a specifiche attitudini e azioni” ovvero il “conscio, metodico e pianificato utilizzo di tecniche di persuasione per raggiungere specifici obiettivi atti a beneficiare coloro che organizzano il processo”.
Un’informazione che non costituisca propaganda dovrebbe consistere nella pura e semplice esposizione dei fatti, della realtà nella loro completezza. Al contrario, la propaganda presenta i fatti in modo selettivo (cosi’ mentendo per omissione) onde condurre l’utente ad una sintesi o conclusione particolare e predeterminata, oppure usa messaggi caricati al fine di produrre risposte emozionali, piuttosto che razionali, alle informazioni presentate.
L’uso della propaganda è dannosa per la libera e naturale formazione dell’opinione personale e pubblica ed il danno medesimo si riflette sulla persona stessa e sulla società.
Un tipico esempio di propaganda particolarmente dannosa è stata quella adottata dal regime nazista: tramite un uso sapiente dei mezzi di comunicazione di massa, orchestrata dal ministro della Propaganda Goebbels, Hitler aveva nascosto agli stessi tedeschi la realtà dei campi di sterminio e lo stesso progetto della “soluzione finale”, presentando i lager come “campi di lavoro” (all’entrata campeggiava la scritta arbeit macht frei, ovvero “il lavoro rende liberi), simili a ridenti villaggi di sani lavoratori, che quindi permettevano agli ebrei – razza inferiore – una vita più che decorosa e piacevole.
In tal modo ha potuto porre in atto il suo piano di eliminazione della razza ebraica ed inoltre, tramite l’infusione dell’idea del primato etnico e militare della Germania su tutti gli altri popoli, la propaganda nazista ha trascinato un’intera nazione in una guerra che ha devastato la Germania stessa e mezzo mondo, producendo milioni di morti.
Oggi assistiamo ad una forma meno estrema, ma non meno pericolosa, di propaganda: quella volta al perseguimento dei fini voluti da pochi soggetti detentori di poteri sovranazionali, a discapito degli interessi delle masse, rese docili da una politica fatta di promesse non mantenute.
Oggi difatti i leader, con un sapiente uso dei sondaggi e tramite i social network – attraverso i quali il controllo del pensiero stesso dei cittadini è ormai totale – conoscono quali sono i desideri e i bisogni delle persone e promettono loro di esaudirli, ma poi nei fatti compiono azioni atte a realizzare i fini indicati dalle lobby finanziarie alle quali devono i propri posti di potere, in antitesi con i bisogni ed i diritti delle persone, danneggiandole.
Il successo della propaganda dunque, necessita di un’ efficace censura sui fatti reali e sulle opinioni avverse, altrimenti essa verrebbe facilmente smantellata, pertanto la presenza di una situazione di censura è un pesante indizio di una propaganda in corso.
Inoltre, la propaganda ha la capacità di esaltare e rendere più importanti i sogni, i pensieri, i desideri rispetto alla realtà dei fatti, facendo spesso uso di simboli e di slogan, capaci di effettuare un vero e proprio “lavaggio del cervello” nei cittadini.
Come risulta da ulteriori analisi del fenomeno, la propaganda ricorre a molteplici tecniche per conseguire i suoi scopi:
– la diffusione della paura per un qualche ipotetico nemico;
– la diffusione del culto dell’autorità, proponendo delle figure rassicuranti su cui proiettare il proprio bisogno di rassicurazione e di protezione;
– l’effetto gregge, che persuade il singolo ad unirsi alla massa;
– la diffusione di volute generalizzazioni;
– l’ipersemplificazione: ricerca di risposte facili, di slogan, per spiegare questioni complesse;
– la diffusione di stereotipi.
Fra questi, lo strumento della paura è uno dei più efficaci per condizionare il pensiero e le scelte delle masse.
Durante le prime settimane del 1933, il regime nazista inondò la radio, la stampa ed i cinegiornali di notizie che dovevano alimentare la paura di una “insurrezione comunista”, canalizzando così i timori popolari verso il consenso al nazismo quale garante dell’ordine sociale, aprendo così la strada alle misure politiche che abolirono le libertà civili e democratiche in Germania.
Nel giro di pochi mesi, il regime nazista distrusse la stampa libera tedesca, che era stata molto forte negli anni precedenti.
La condizione necessaria perché un messaggio che fa leva sulla paura sia efficace è, quindi, che esso offra una soluzione alla paura stessa.
Un’altra tecnica ricorrente, utilizzata soprattutto durante il secondo conflitto mondiale, è la demonizzazione del nemico.
La parte avversaria viene mostrata grottescamente, spesso attraverso caricature, o illustrazioni che mirano a formare nell’opinione pubblica un’immagine del nemico come la rappresentazione stessa del Male, mettendone in evidenza una natura crudele e perversa, dedita a commettere atti espliciti di mostruoso disvalore morale o sociale.
Durante il nazismo il nemico erano gli ebrei: vennero diffuse informazioni pseudo-scientifiche secondo le quali gli ebrei erano una razza inferiore, più simili alle bestie che all’uomo, dediti addiritura al cannibalismo e allo sfruttamento delle persone.
Ora credo si dovrebbe riflettere sull’utilizzo di questi strumenti da parte dei media odierni.
La paura: oggi è stata inoculata nei cittadini la paura dello spread, cioè della crescita dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani che aumenterebbe a dismisura il debito pubblico.
Inoltre si è diffusa una generalizzata paura per le conseguenze di un’eventuale uscita dall’euro: lo spettro dell’iperinflazione, della perdita di valore dei patrimoni degli Italiani, di un crollo totale dell’economia e della svalutazione della lira che ci costringerebbe a “fare la spesa con la carriola”, sono le immagini più utilizzate, in totale spregio dei dati e delle analisi economiche fornite dai più autorevoli economisti internazionali, che ne smentiscono totalmente ogni fondamento.
Queste idee, poste a sostegno delle politiche a sostegno dell’euro e dell’estabilishment dell’Eurozona costituiscono il fulcro dell’attività del governo Letta e del partito politico che lo esprime, lo stesso di cui fanno parti gli altri soggetti che negli anni hanno portato avanti il piano europeo dell’instaurazione della moneta unica (Prodi, D’Alema, Amato): il PD.
L’elemento rassicurante, che funge da antidoto alla paura, è quindi la “stabilità” del Governo, ed il soggetto-guida di riferimento oggi è il ministro Letta, che ci assicura “la fiducia dei mercati” (ieri era Mario Monti), oltre all’intoccabile Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questi due politici sono dipinti oggi come gli unici possibili “salvatori della Patria”.
Il nemico giurato del PD e dell’élite politico finanziaria europea – che ha espresso più volte, quando era al potere, forti critiche all’euro e l’intenzione di far uscire l’Italia dall’Eurozona, è Silvio Berlusconi.
Anche chi – come la sottoscritta – disapprova sia lo stile di vita che il merito di molte delle scelte politiche compiute da Berlusconi, specialmente nell’ultimo biennio, non può non riconoscere come sia stata messa in atto, a livello mediatico, una vera e propria campagna di demonizzazione dello stesso, con ogni strumento possibile, a partire dalle accuse per reati infamanti (associazione mafiosa, sfruttamento della prostituzione minorile, corruzione, ecc.) alla rappresentazione caricaturale delle sue sembianze in vari contesti.
Tale insistenza mediatica sugli aspetti più negativi della figura dell’ex presidente del Consiglio continua senza sosta anche ora che il suo ruolo politico nel governo in essere ha perso del tutto rilevanza.
Il discredito gettato su Berlusconi come persona viene esteso automaticamente ad ogni proposta ed opinione espressa dallo stesso o dal suo partito di appartenenza, riguardo all’operato del governo, al contenuto dei Trattati europei, alla responsabilità dell’euro nel determinare la crisi economica italiana ed europea.
Anche le trasmissioni televisive considerate “indipendenti” in quanto fortemente critiche – sino al 2011 – verso le politiche del governo, si sono oggi allineate al “pensiero unico”, fornendo il proprio sostegno mediatico alle politiche del governo Letta, al sistema dell’Eurozona, agli interessi delle banche, continuando al contempo l’opera di demolizione dell’immagine del nemico pubblico Berlusconi, ma anche di altri politici rei di essersi schierati all’opposizione dell’attuale esecutivo, come Antonio Di Pietro ed Umberto Bossi.
La considerazione di questi fatti, unita al dato che l’Unione Europea ha stanziato appositi fondi per l’INTCEN, servizio di intelligence finalizzato alla raccolta di dati relativi a soggetti sospettati di essere evasori o euroscettici, attraverso il controllo della cittadinanza attraverso i sistemi di telecomunicazione, nonché il contenuto della Direttiva del Ministero della Difesa per il 2013 che dà alle forze armate italiane il compito preciso di reprimere ogni forma di “disordine” o moto popolare di protesta contro l’euro o l’Eurozona, sia in Italia che oltre confine (v. post del 3.08.2013), dà la misura di quanto sia forte l’impegno, a livello nazionale ed internazionale, per monitorare, reprimere o censurare ogni possibile dissenso popolare verso le politiche in atto.
Se si ritiene che questo sistema non costituisca un regime, non so cosa ci voglia ancora per riconoscerne il volto.
Ma chi parla di regime nei termini sopra esposti, viene bollato come “complottista”.
In tal caso, la mia risposta è questa: le tesi “complottistiche”, o presunte tali, nella storia anche recente sono spesso risultate fondate. Dietro ad ogni complotto c’è sempre stata la lotta per il potere. E negare che una tale lotta sia in corso anche oggi, mi sembra veramente voler raccontare una favola.
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I NUOVI GOEBBELS
Chiunque segua attraverso i media tradizionali (tv e stampa) il dibattito economico-politico sul tema della crisi economica , delle sue responsabilità e delle scelte politiche del governo per uscirne, si sarà accorto della unanimità delle opinioni diffuse sull’argomento.
Tutte le informazioni che vengono fornite, attraverso analisi di economisti, pareri dei vertici di organi dell’economia nazionale ed europea, giornalisti ed opinionisti vari, convergono su alcuni punti fondamentali:
1) la crisi attuale deriva dall’eccesso di spesa pubblica sostenuta nei decenni trascorsi dai governi populisti e corrotti succedutisi al potere: Andreotti – Forlani – Craxi prima, Berlusconi poi;
2) a causa di tali politiche “irresponsabili” si è accumulato l’ingente debito pubblico che oggi ci affligge ed è il principale problema alla base del declino economico italiano negli ultimi anni;
3) per rimediare alle “colpe” dei governi passati e dei cittadini che li hanno eletti, è necessario sopportare oggi i “sacrifici” che “ci chiede l’Europa” – per il nostro bene, ovviamente – al fine di “mettere i conti in ordine” e risanare la finanza pubblica;
4) per rilanciare la nostra economia è necessario fare “le riforme” che hanno fatto i tedeschi – più bravi di noi – “stringendo la cinghia” mentre noi “spendevamo allegramente”;
5) bisogna in sostanza tagliare la spesa pubblica (specie quella “improduttiva”) ed aumentare le tasse “sui ricchi”, per poter fare interventi per la crescita e l’occupazione e aiutare “i più poveri”, giustificando l’enorme pressione fiscale col fatto che “in Italia c’è un’altissima evasione e corruzione”, e chi evade è un delinquente e farabutto, perché evadere il fisco equivale a rubare soldi agli Italiani;
6) ogni altra via prospettata per uscire dalla crisi è inadeguata e fuorviante, in particolare è “folle” l’idea di uscire dall’euro, perché significherebbe svalutazione e iperinflazione, e manderebbe in rovina il Paese;
7) l’euro “ci protegge” e l’Europa (confusa con l’Eurozona) per noi è la dimensione minima in cui muoverci per “agganciare la ripresa” ed uscire dalla crisi, ma al contempo non si deve pretendere che la BCE emetta gli eurobond e acquisti il nostro debito, perché “non è giusto che la Germania paghi i nostri debiti”.
La quantità di espressioni-slogan basate su luoghi comuni economico-politici, nell’informazione veicolata da tv e giornali, è – come si può notare -impressionante.
Ma ciò che più dovrebbe indurre a riflettere il lettore o lo spettatore è la pressochè totale assenza di spazio concesso a chi esprime opinioni contrarie a quelle sopra evidenziate, o addirittura mette in discussione la validità delle politiche del governo in carica e dell’indirizzo europeo cui le stesse si conformano.
Le sparute voci di dissenso vengono relegate nei programmi di tarda serata, poste in contraddittorio con un fronte massiccio di sostenitori delle tesi luogocomuniste prevalenti, concedendo agli “eretici” (definiti espressamente tali) pochissimi minuti per esprimersi, contro le mezz’ore date ai politici del governo e giornalisti/opinionisti allineati.
Questa tecnica di controllo delle informazioni date dai media si chiama censura, ed un sistema di informazione basato sulla censura delle opinioni discordanti si chiama propaganda.
Secondo la definizione condivisa unanimemente fra storici e studiosi dell’informazione, la propaganda è “l’attività di disseminazione di idee e informazioni con lo scopo di indurre a specifiche attitudini e azioni” ovvero il “conscio, metodico e pianificato utilizzo di tecniche di persuasione per raggiungere specifici obiettivi atti a beneficiare coloro che organizzano il processo”.
Un’informazione che non costituisca propaganda dovrebbe consistere nella pura e semplice esposizione dei fatti, della realtà nella loro completezza. Al contrario, la propaganda presenta i fatti in modo selettivo (cosi’ mentendo per omissione) onde condurre l’utente ad una sintesi o conclusione particolare e predeterminata, oppure usa messaggi caricati al fine di produrre risposte emozionali, piuttosto che razionali, alle informazioni presentate.
L’uso della propaganda è dannosa per la libera e naturale formazione dell’opinione personale e pubblica ed il danno medesimo si riflette sulla persona stessa e sulla società.
Un tipico esempio di propaganda particolarmente dannosa è stata quella adottata dal regime nazista: tramite un uso sapiente dei mezzi di comunicazione di massa, orchestrata dal ministro della Propaganda Goebbels, Hitler aveva nascosto agli stessi tedeschi la realtà dei campi di sterminio e lo stesso progetto della “soluzione finale”, presentando i lager come “campi di lavoro” (all’entrata campeggiava la scritta arbeit macht frei, ovvero “il lavoro rende liberi), simili a ridenti villaggi di sani lavoratori, che quindi permettevano agli ebrei – razza inferiore – una vita più che decorosa e piacevole.
In tal modo ha potuto porre in atto il suo piano di eliminazione della razza ebraica ed inoltre, tramite l’infusione dell’idea del primato etnico e militare della Germania su tutti gli altri popoli, la propaganda nazista ha trascinato un’intera nazione in una guerra che ha devastato la Germania stessa e mezzo mondo, producendo milioni di morti.
Oggi assistiamo ad una forma meno estrema, ma non meno pericolosa, di propaganda: quella volta al perseguimento dei fini voluti da pochi soggetti detentori di poteri sovranazionali, a discapito degli interessi delle masse, rese docili da una politica fatta di promesse non mantenute.
Oggi difatti i leader, con un sapiente uso dei sondaggi e tramite i social network – attraverso i quali il controllo del pensiero stesso dei cittadini è ormai totale – conoscono quali sono i desideri e i bisogni delle persone e promettono loro di esaudirli, ma poi nei fatti compiono azioni atte a realizzare i fini indicati dalle lobby finanziarie alle quali devono i propri posti di potere, in antitesi con i bisogni ed i diritti delle persone, danneggiandole.
Il successo della propaganda dunque, necessita di un’ efficace censura sui fatti reali e sulle opinioni avverse, altrimenti essa verrebbe facilmente smantellata, pertanto la presenza di una situazione di censura è un pesante indizio di una propaganda in corso.
Inoltre, la propaganda ha la capacità di esaltare e rendere più importanti i sogni, i pensieri, i desideri rispetto alla realtà dei fatti, facendo spesso uso di simboli e di slogan, capaci di effettuare un vero e proprio “lavaggio del cervello” nei cittadini.
Come risulta da ulteriori analisi del fenomeno, la propaganda ricorre a molteplici tecniche per conseguire i suoi scopi:
– la diffusione della paura per un qualche ipotetico nemico;
– la diffusione del culto dell’autorità, proponendo delle figure rassicuranti su cui proiettare il proprio bisogno di rassicurazione e di protezione;
– l’effetto gregge, che persuade il singolo ad unirsi alla massa;
– la diffusione di volute generalizzazioni;
– l’ipersemplificazione: ricerca di risposte facili, di slogan, per spiegare questioni complesse;
– la diffusione di stereotipi.
Fra questi, lo strumento della paura è uno dei più efficaci per condizionare il pensiero e le scelte delle masse.
Durante le prime settimane del 1933, il regime nazista inondò la radio, la stampa ed i cinegiornali di notizie che dovevano alimentare la paura di una “insurrezione comunista”, canalizzando così i timori popolari verso il consenso al nazismo quale garante dell’ordine sociale, aprendo così la strada alle misure politiche che abolirono le libertà civili e democratiche in Germania.
Nel giro di pochi mesi, il regime nazista distrusse la stampa libera tedesca, che era stata molto forte negli anni precedenti.
La condizione necessaria perché un messaggio che fa leva sulla paura sia efficace è, quindi, che esso offra una soluzione alla paura stessa.
Un’altra tecnica ricorrente, utilizzata soprattutto durante il secondo conflitto mondiale, è la demonizzazione del nemico.
La parte avversaria viene mostrata grottescamente, spesso attraverso caricature, o illustrazioni che mirano a formare nell’opinione pubblica un’immagine del nemico come la rappresentazione stessa del Male, mettendone in evidenza una natura crudele e perversa, dedita a commettere atti espliciti di mostruoso disvalore morale o sociale.
Durante il nazismo il nemico erano gli ebrei: vennero diffuse informazioni pseudo-scientifiche secondo le quali gli ebrei erano una razza inferiore, più simili alle bestie che all’uomo, dediti addiritura al cannibalismo e allo sfruttamento delle persone.
Ora credo si dovrebbe riflettere sull’utilizzo di questi strumenti da parte dei media odierni.
La paura: oggi è stata inoculata nei cittadini la paura dello spread, cioè della crescita dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani che aumenterebbe a dismisura il debito pubblico.
Inoltre si è diffusa una generalizzata paura per le conseguenze di un’eventuale uscita dall’euro: lo spettro dell’iperinflazione, della perdita di valore dei patrimoni degli Italiani, di un crollo totale dell’economia e della svalutazione della lira che ci costringerebbe a “fare la spesa con la carriola”, sono le immagini più utilizzate, in totale spregio dei dati e delle analisi economiche fornite dai più autorevoli economisti internazionali, che ne smentiscono totalmente ogni fondamento.
Queste idee, poste a sostegno delle politiche a sostegno dell’euro e dell’estabilishment dell’Eurozona costituiscono il fulcro dell’attività del governo Letta e del partito politico che lo esprime, lo stesso di cui fanno parti gli altri soggetti che negli anni hanno portato avanti il piano europeo dell’instaurazione della moneta unica (Prodi, D’Alema, Amato): il PD.
L’elemento rassicurante, che funge da antidoto alla paura, è quindi la “stabilità” del Governo, ed il soggetto-guida di riferimento oggi è il ministro Letta, che ci assicura “la fiducia dei mercati” (ieri era Mario Monti), oltre all’intoccabile Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questi due politici sono dipinti oggi come gli unici possibili “salvatori della Patria”.
Il nemico giurato del PD e dell’élite politico finanziaria europea – che ha espresso più volte, quando era al potere, forti critiche all’euro e l’intenzione di far uscire l’Italia dall’Eurozona, è Silvio Berlusconi.
Anche chi – come la sottoscritta – disapprova sia lo stile di vita che il merito di molte delle scelte politiche compiute da Berlusconi, specialmente nell’ultimo biennio, non può non riconoscere come sia stata messa in atto, a livello mediatico, una vera e propria campagna di demonizzazione dello stesso, con ogni strumento possibile, a partire dalle accuse per reati infamanti (associazione mafiosa, sfruttamento della prostituzione minorile, corruzione, ecc.) alla rappresentazione caricaturale delle sue sembianze in vari contesti.
Tale insistenza mediatica sugli aspetti più negativi della figura dell’ex presidente del Consiglio continua senza sosta anche ora che il suo ruolo politico nel governo in essere ha perso del tutto rilevanza.
Il discredito gettato su Berlusconi come persona viene esteso automaticamente ad ogni proposta ed opinione espressa dallo stesso o dal suo partito di appartenenza, riguardo all’operato del governo, al contenuto dei Trattati europei, alla responsabilità dell’euro nel determinare la crisi economica italiana ed europea.
Anche le trasmissioni televisive considerate “indipendenti” in quanto fortemente critiche – sino al 2011 – verso le politiche del governo, si sono oggi allineate al “pensiero unico”, fornendo il proprio sostegno mediatico alle politiche del governo Letta, al sistema dell’Eurozona, agli interessi delle banche, continuando al contempo l’opera di demolizione dell’immagine del nemico pubblico Berlusconi, ma anche di altri politici rei di essersi schierati all’opposizione dell’attuale esecutivo, come Antonio Di Pietro ed Umberto Bossi.
La considerazione di questi fatti, unita al dato che l’Unione Europea ha stanziato appositi fondi per l’INTCEN, servizio di intelligence finalizzato alla raccolta di dati relativi a soggetti sospettati di essere evasori o euroscettici, attraverso il controllo della cittadinanza attraverso i sistemi di telecomunicazione, nonché il contenuto della Direttiva del Ministero della Difesa per il 2013 che dà alle forze armate italiane il compito preciso di reprimere ogni forma di “disordine” o moto popolare di protesta contro l’euro o l’Eurozona, sia in Italia che oltre confine (v. post del 3.08.2013), dà la misura di quanto sia forte l’impegno, a livello nazionale ed internazionale, per monitorare, reprimere o censurare ogni possibile dissenso popolare verso le politiche in atto.
Se si ritiene che questo sistema non costituisca un regime, non so cosa ci voglia ancora per riconoscerne il volto.
Ma chi parla di regime nei termini sopra esposti, viene bollato come “complottista”.
In tal caso, la mia risposta è questa: le tesi “complottistiche”, o presunte tali, nella storia anche recente sono spesso risultate fondate. Dietro ad ogni complotto c’è sempre stata la lotta per il potere. E negare che una tale lotta sia in corso anche oggi, mi sembra veramente voler raccontare una favola.
Francesca Donato