Il concetto di identità è un concetto complesso, come spesso accade per quei concetti che possono apparire ovvi, scontati.
Noi ne tratteggeremo alcuni aspetti con lo scopo di chiarire il senso dei più importanti fatti politici che ci riguardano e che riguardano i paesi investiti dalla globalizzazione.
Iniziamo col sottolineare che l’identità ha direttamente a che fare con la coscienza, con la consapevolezza; e che questa ha un significato psicologico fondamentale per la persona umana in quanto permette il riconoscimento e l’autodeterminarsi proprio e reciproco. Riconoscimento che, per il processo stesso di distinguere ciò che è diverso da ciò che è simile, si realizza intersoggettivamente. Ovvero l’identità personale si forma col confronto con gli altri, e questo confronto produce tanto una maggiore autocoscienza, quanto una coscienza sociale, ossia un’identificazione in gruppi e classi sociali.
Tutto ciò produce benessere, inclusione e forza.
La riflessione e la critica si affinano proprio – parafrasando Aristotele – trovando le diversità in ciò che appare simile e trovando le somiglianze in ciò che appare diverso.
Riconoscere il simile e il diverso nel fluire tumultuoso del mondo della vita è ciò che ci permette di identificare e di identificarci, ovvero produce coscienza.
Ad esempio la coscienza sociale e politica si manifesta quando si acquisisce una chiara identità di classe: ovvero quando ci si riconosce come appartenenti ad un determinato gruppo sociale composto da persone che ha simili interessi economici e politici. L’identificare i propri interessi comporta quindi l’identificarsi con altre persone che condividono questi stessi interessi. Acquisire questa coscienza è un risultato fondamentale per chi appartiene a classi formate da un gran numero di persone eterogenee: la coscienza di classe è ciò che produce solidarietà in persone che, oggi, la globalizzazione neoliberale mette in competizione.
Va sottolineato che è psicologicamente difficile per chi si sente socialmente “escluso” prendere autonomamente coscienza di essere in realtà “incluso” in una classe di persone: una società esclusiva – exclusive – tende a creare persone che per motivi economici sono emarginate, sole, senza identità; persone che si colpevolizzano della loro condizione e che hanno difficoltà a solidarizzare con chi è nelle medesime condizioni. La vergogna, il senso di colpa e fallimento sono alimentati dalla comunicazione massmediatica.
È anche importante sottolineare alcune dinamiche di un altro ceto oppresso dalla globalizzazione: quello imprenditoriale. Nonostante questo ceto sia formato da persone che più facilmente si riconoscono come classe, per motivi che possono essere legati alle dimensioni dell’impresa (per es. ridotte) e al tipo di attività (ad es. fatturato che dipende dalla domanda di beni nazionali), questo gruppo sociale può essere ricondotto alla classe “allargata” dei lavoratori, nonostante il suo reddito dipenda precipuamente dai profitti e non dai salari.
A livello microeconomico esiste effettivamente un conflitto tra piccoli-e-medi imprenditori e lavoratori dipendenti visto che – a livello di impresa – maggiori sono i salari minori sono i profitti, ma a livello aggregato, macroeconomico, i maggiori salari permettono agli stessi lavoratori di comprare una quota maggiore di beni e i servizi prodotti, aumentando indirettamente gli stessi profitti delle imprese il cui fatturato dipende in gran parte dal mercato interno.
Possiamo quindi affermare che questo genere di imprenditori – la grande maggioranza in Italia – ha la necessità di prendere coscienza di appartenere a una classe sociale che guadagna economicamente, in prestigio, e in influenza, grazie ad uno Stato che interviene keynesianamente in economia, che tutela l’occupazione e che coordina l’attività economica negli interessi generali. Ovvero questo ceto imprenditoriale, a dispetto delle apparenze, acquisisce coscienza di classe quando si identifica con i lavoratori piuttosto che con la grande imprenditoria industriale e finanziari, come per motivi psicologici tende – ed è spinto – a fare.
Certo è che la maturazione di questo tipo di coscienza sociale e politica è manipolata dai media di massa, dagli organi di informazione e dall’orientamento che «le forze sociali dominanti dietro la pubblica autorità» imprimono al «sistema educativo di istruzione e formazione».
La solidarietà che nasce dall’identità di classe permette unità e rappresentatività politica.
Ma questa solidarietà non può che nascere in un contesto in cui l’arena politica stessa sia possibile: lo Stato nazionale. Quindi l’unità delle parti politiche in dialettica viene ritrovata nell’unità nazionale, che permette la risoluzione degli interessi confliggenti dentro le istituzioni nazionali.
Cosa significa? Significa che l’identità e l’unità nazionali sono propedeutiche a qualsiasi istituzione che permetta la dialettica democratica. Ovvero l’identità nazionale produce quel senso solidaristico che permette alle diverse identità che caratterizzano le comunità sociali di un territorio delimitato di riconoscersi reciprocamente e di formare un’unità.
È la solidarietà che nasce da una forte coscienza nazionale che, ad esempio, permette ai francesi di scendere in piazza a protestare contro norme ritenute oppressive senza che siano chiari specifici interessi di classe o le dinamiche stesse dell’oppressione.
È parte della cultura francese avere una forte coscienza nazionale; certo, la realtà di appartenere ad uno Stato imperialista, con una lunga tradizione coloniale, presenta il vantaggio di subire tendenzialmente meno ingerenze straniere nella vita politica nazionale, e, soprattutto, di non subire continuamente propaganda volta ad umiliare il sentimento patrio e ad aizzare conflitti tra sezioni della società. Il sentimento patrio è proprio la spinta che porta ad unirsi e a solidarizzare.
È quindi necessario denunciare che in Italia, noti esponenti dell’Unione Europea, le più alte cariche dello Stato e la maggior parte dei politici e degli intellettuali europeisti – con l’ausilio dell’esercito dei media di massa – non fanno altro che offendere il nostro orgoglio nazionale con l’obiettivo dichiarato di alienare la sovranità in favore di potenze ostili estere che si nascondono dietro il paravento delle istituzioni “sovranazionali”.
E l’offesa alla sovranità nazionale procede di pari passo con l’umiliazione della sovranità popolare.
L’identità nazionale – e quindi la valorizzazione delle proprie radici, delle tradizioni, e di tutti i segni e i simboli che permettono il reciproco riconoscimento – è ciò che permette la solidarietà tra connazionali, e quindi la possibilità stessa di uno Stato sociale, a partire dal servizio sanitario nazionale fino ad arrivare alla previdenza pubblica.
Tutto ciò viene messo in crisi dalla globalizzazione e dalle sue istituzioni sovranazionali: emigrazione e immigrazione sradicano, distruggono culture e producono ghettizzazione. I conflitti tra diverse identità non più tutelate dalle frontiere nazionali indeboliscono sempre più il sentimento patrio, alimentandosi così, in senso antisolidaristico, l’identitarismo etnico.
E questi conflitti vengono aizzati dalle classi e dalle nazioni che egemonizzano la globalizzazione così come i conflitti di carattere intergenerazionale, tra diversi ceti, ideologie, tra i sessi, tra religioni, e via, in modo che non si possano formare né unità nazionale né solidarietà di classe.
Va poi sottolineato che l’identità nazionale si rafforza di pari passo con la volontà unitaria di perseguire l’interesse nazionale.
È di questi giorni la notizia [qui: link] in cui si denuncia un atto unilaterale dell’Algeria volto a far di sua esclusiva pertinenza acque internazionali fino al limite delle acque territoriali presso la costa sarda. A dare l’allarme questa volta non c’è stato un on. Claudio Borghi Aquilini, noto per essere riuscito ad intervenire tempestivamente prima che venissero ceduti tratti di mare ai francesi.
Ora: non possiamo non pensare ad una nazione che ha dimostrato di avere in tutte le sue parti sociali una forte coscienza nazionale, ovvero il Regno Unito. Lo spirito di scissione che anche le sue classi dirigenti hanno mostrato rispetto all’ideologia dominante europeista e globalista ha permesso agli inglesi di recuperare gran parte della propria indipendenza nazionale insieme alla libertà di autodeterminarsi.
E uno dei primi provvedimenti dopo la Brexit dovrebbe essere a questo punto significativo per noi italiani: le autorità delle Isole della Manica hanno temporaneamente sospeso l’accesso nelle loro acque ai pescherecci francesi.
(Confini, identità nazionale e sovranità popolare sono intimamente legati)
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Identità, nazione e globalizzazione: dai Gilet Gialli alla Brexit
Il concetto di identità è un concetto complesso, come spesso accade per quei concetti che possono apparire ovvi, scontati.
Noi ne tratteggeremo alcuni aspetti con lo scopo di chiarire il senso dei più importanti fatti politici che ci riguardano e che riguardano i paesi investiti dalla globalizzazione.
Iniziamo col sottolineare che l’identità ha direttamente a che fare con la coscienza, con la consapevolezza; e che questa ha un significato psicologico fondamentale per la persona umana in quanto permette il riconoscimento e l’autodeterminarsi proprio e reciproco. Riconoscimento che, per il processo stesso di distinguere ciò che è diverso da ciò che è simile, si realizza intersoggettivamente. Ovvero l’identità personale si forma col confronto con gli altri, e questo confronto produce tanto una maggiore autocoscienza, quanto una coscienza sociale, ossia un’identificazione in gruppi e classi sociali.
Tutto ciò produce benessere, inclusione e forza.
La riflessione e la critica si affinano proprio – parafrasando Aristotele – trovando le diversità in ciò che appare simile e trovando le somiglianze in ciò che appare diverso.
Riconoscere il simile e il diverso nel fluire tumultuoso del mondo della vita è ciò che ci permette di identificare e di identificarci, ovvero produce coscienza.
Ad esempio la coscienza sociale e politica si manifesta quando si acquisisce una chiara identità di classe: ovvero quando ci si riconosce come appartenenti ad un determinato gruppo sociale composto da persone che ha simili interessi economici e politici. L’identificare i propri interessi comporta quindi l’identificarsi con altre persone che condividono questi stessi interessi. Acquisire questa coscienza è un risultato fondamentale per chi appartiene a classi formate da un gran numero di persone eterogenee: la coscienza di classe è ciò che produce solidarietà in persone che, oggi, la globalizzazione neoliberale mette in competizione.
Va sottolineato che è psicologicamente difficile per chi si sente socialmente “escluso” prendere autonomamente coscienza di essere in realtà “incluso” in una classe di persone: una società esclusiva – exclusive – tende a creare persone che per motivi economici sono emarginate, sole, senza identità; persone che si colpevolizzano della loro condizione e che hanno difficoltà a solidarizzare con chi è nelle medesime condizioni. La vergogna, il senso di colpa e fallimento sono alimentati dalla comunicazione massmediatica.
È anche importante sottolineare alcune dinamiche di un altro ceto oppresso dalla globalizzazione: quello imprenditoriale. Nonostante questo ceto sia formato da persone che più facilmente si riconoscono come classe, per motivi che possono essere legati alle dimensioni dell’impresa (per es. ridotte) e al tipo di attività (ad es. fatturato che dipende dalla domanda di beni nazionali), questo gruppo sociale può essere ricondotto alla classe “allargata” dei lavoratori, nonostante il suo reddito dipenda precipuamente dai profitti e non dai salari.
A livello microeconomico esiste effettivamente un conflitto tra piccoli-e-medi imprenditori e lavoratori dipendenti visto che – a livello di impresa – maggiori sono i salari minori sono i profitti, ma a livello aggregato, macroeconomico, i maggiori salari permettono agli stessi lavoratori di comprare una quota maggiore di beni e i servizi prodotti, aumentando indirettamente gli stessi profitti delle imprese il cui fatturato dipende in gran parte dal mercato interno.
Possiamo quindi affermare che questo genere di imprenditori – la grande maggioranza in Italia – ha la necessità di prendere coscienza di appartenere a una classe sociale che guadagna economicamente, in prestigio, e in influenza, grazie ad uno Stato che interviene keynesianamente in economia, che tutela l’occupazione e che coordina l’attività economica negli interessi generali. Ovvero questo ceto imprenditoriale, a dispetto delle apparenze, acquisisce coscienza di classe quando si identifica con i lavoratori piuttosto che con la grande imprenditoria industriale e finanziari, come per motivi psicologici tende – ed è spinto – a fare.
Certo è che la maturazione di questo tipo di coscienza sociale e politica è manipolata dai media di massa, dagli organi di informazione e dall’orientamento che «le forze sociali dominanti dietro la pubblica autorità» imprimono al «sistema educativo di istruzione e formazione».
La solidarietà che nasce dall’identità di classe permette unità e rappresentatività politica.
Ma questa solidarietà non può che nascere in un contesto in cui l’arena politica stessa sia possibile: lo Stato nazionale. Quindi l’unità delle parti politiche in dialettica viene ritrovata nell’unità nazionale, che permette la risoluzione degli interessi confliggenti dentro le istituzioni nazionali.
Cosa significa? Significa che l’identità e l’unità nazionali sono propedeutiche a qualsiasi istituzione che permetta la dialettica democratica. Ovvero l’identità nazionale produce quel senso solidaristico che permette alle diverse identità che caratterizzano le comunità sociali di un territorio delimitato di riconoscersi reciprocamente e di formare un’unità.
È la solidarietà che nasce da una forte coscienza nazionale che, ad esempio, permette ai francesi di scendere in piazza a protestare contro norme ritenute oppressive senza che siano chiari specifici interessi di classe o le dinamiche stesse dell’oppressione.
È parte della cultura francese avere una forte coscienza nazionale; certo, la realtà di appartenere ad uno Stato imperialista, con una lunga tradizione coloniale, presenta il vantaggio di subire tendenzialmente meno ingerenze straniere nella vita politica nazionale, e, soprattutto, di non subire continuamente propaganda volta ad umiliare il sentimento patrio e ad aizzare conflitti tra sezioni della società. Il sentimento patrio è proprio la spinta che porta ad unirsi e a solidarizzare.
È quindi necessario denunciare che in Italia, noti esponenti dell’Unione Europea, le più alte cariche dello Stato e la maggior parte dei politici e degli intellettuali europeisti – con l’ausilio dell’esercito dei media di massa – non fanno altro che offendere il nostro orgoglio nazionale con l’obiettivo dichiarato di alienare la sovranità in favore di potenze ostili estere che si nascondono dietro il paravento delle istituzioni “sovranazionali”.
E l’offesa alla sovranità nazionale procede di pari passo con l’umiliazione della sovranità popolare.
L’identità nazionale – e quindi la valorizzazione delle proprie radici, delle tradizioni, e di tutti i segni e i simboli che permettono il reciproco riconoscimento – è ciò che permette la solidarietà tra connazionali, e quindi la possibilità stessa di uno Stato sociale, a partire dal servizio sanitario nazionale fino ad arrivare alla previdenza pubblica.
Tutto ciò viene messo in crisi dalla globalizzazione e dalle sue istituzioni sovranazionali: emigrazione e immigrazione sradicano, distruggono culture e producono ghettizzazione. I conflitti tra diverse identità non più tutelate dalle frontiere nazionali indeboliscono sempre più il sentimento patrio, alimentandosi così, in senso antisolidaristico, l’identitarismo etnico.
E questi conflitti vengono aizzati dalle classi e dalle nazioni che egemonizzano la globalizzazione così come i conflitti di carattere intergenerazionale, tra diversi ceti, ideologie, tra i sessi, tra religioni, e via, in modo che non si possano formare né unità nazionale né solidarietà di classe.
Va poi sottolineato che l’identità nazionale si rafforza di pari passo con la volontà unitaria di perseguire l’interesse nazionale.
È di questi giorni la notizia [qui: link] in cui si denuncia un atto unilaterale dell’Algeria volto a far di sua esclusiva pertinenza acque internazionali fino al limite delle acque territoriali presso la costa sarda. A dare l’allarme questa volta non c’è stato un on. Claudio Borghi Aquilini, noto per essere riuscito ad intervenire tempestivamente prima che venissero ceduti tratti di mare ai francesi.
Ora: non possiamo non pensare ad una nazione che ha dimostrato di avere in tutte le sue parti sociali una forte coscienza nazionale, ovvero il Regno Unito. Lo spirito di scissione che anche le sue classi dirigenti hanno mostrato rispetto all’ideologia dominante europeista e globalista ha permesso agli inglesi di recuperare gran parte della propria indipendenza nazionale insieme alla libertà di autodeterminarsi.
E uno dei primi provvedimenti dopo la Brexit dovrebbe essere a questo punto significativo per noi italiani: le autorità delle Isole della Manica hanno temporaneamente sospeso l’accesso nelle loro acque ai pescherecci francesi.
(Confini, identità nazionale e sovranità popolare sono intimamente legati)
9-2-2020
Bazaar