IL DIBATTITO SUL BILANCIO ITALIANO E LA QUESTIONE DELLA SOVRANITÀ
di Jacques Sapir
Direttore degli studi (in pensione) presso l’ EHESS-Parigi – Direttore del CEMI – Membro straniero dell’Accademia Russa delle scienze
L’attuale crisi che oppone l’Italia e la Commissione europea sul progetto di bilancio italiano, in seguito alla sua pubblicazione, verte apparentemente su delle percentuali. In realtà, si tratta della questione essenziale di sapere chi è legittimato a decidere del bilancio italiano: il governo che proviene dalle elezioni democratiche o la Commissione e le sue varie appendici che pretendono di imporre regole provenienti dai trattati. Tale questione è fondamentale oggi: si governa in nome del popolo o in nome delle regole? Essa ha ovvie implicazioni: chi ha il potere di governare, il legislatore la cui legittimità deriva dalla sovranità democratica o il giudice che governa nel nome di un diritto?
Dietro la questione della percentuale di deficit consentito o rifiutato al governo italiano non c’è solo la questione della fondatezza della decisione italiana, ma anche la questione di sapere se l’Italia è ancora una nazione sovrana. Questo spiega che il sostegno al governo italiano sia giunto da tutti i partiti per i quali la sovranità è uno dei fondamenti della politica, e in particolare dalla France Insoumise. La questione della sovranità è quindi di centrale importanza in questo conflitto. L’aspirazione alla sovranità dei popoli si esprime oggi in molti Paesi e in forme diverse. Eppure questa sovranità è messa in discussione dalla pratica delle istituzioni dell’Unione Europea. Ne sono prova le dichiarazioni fatte da Jean-Claude Juncker in occasione delle elezioni greche del gennaio 2015 .
Sovranità fondamentale
Il conflitto tra la sovranità delle nazioni, e quindi dei popoli, e la logica della governance dell’Unione europea non è nuovo.
Ciò che il comportamento dell’ Unione Europea e delle istituzioni dell’Eurozona mette in discussione è fondamentalmente questa garanzia della democrazia e della libertà che è la sovranità. Se le nostre decisioni di cittadini dovessero essere fin dall’inizio limitate da un potere superiore, a cosa servirebbe fare causa comune? E se non c’è più utilità o necessità per i cittadini di fare causa comune, di unirsi intorno a questa “Res publica”, così cara agli antichi Romani, quali saranno le barriere di fronte all’ascesa del comunitarismo, nonché all’ anomia che distruggerà le nostre società?
Il mantenimento di questo passaggio dall’individuale al collettivo è in realtà una necessità imperiosa di fronte alle crisi, sia economiche e sociali, che politiche e culturali che attraversiamo. E la democrazia, nell’esercizio delle scelte, implica che possano essere prese delle decisioni e che quest’ultime non possano essere limitate a priori da regole o trattati. La Commissione ricorda regolarmente che i trattati sono stati firmati, da Maastricht a Lisbona. Bisogna ricordarsi che nessuna generazione ha il diritto di incatenare le seguenti con le propire scelte, come ha scritto uno dei padri della costituzione americana.
Ma la sovranità è anche fondamentale per la distinzione tra cio’ che è giusto e legale, tra la legittimità e la legalità,come mostra Carl Schmitt nella sua opera del 1932. Fondamentalmente, essere sovrani è avere la capacità di decidere, come lo stesso Carl Schmitt ha espresso anche nella forma “E’ sovrano colui che decide nella situazione eccezionale”. Poiché la costrizione intrinseca in ogni atto giuridico non può essere giustificata solo dal punto di vista della legalità, che, per definizione, è sempre formale. Il presunto primato che il positivismo giuridico intende conferire alla legalità porta in realtà a un sistema totale, impermeabile a qualsiasi contestazione. Questo ha storicamente permesso la giustificazione di regimi iniqui, come l’Apartheid in Sudafrica, come viene illustrato nell’opera di David Dyzenhaus. Ma questo positivismo giuridico ha un vantaggio decisivo nell’attuale mondo politico. E’ esso che consente, o che dovrebbe consentire, ad un politico “liberale” di rivendicare la purezza originale e non alle mani sporche del Principe di una volta, come mostra bene Bellamy .
Sovranità e DemocrAzione
Vediamo che la questione della sovranità è fondamentale. È questa sovranità che permette la libertà della comunità politica, di ciò che viene chiamato il popolo, ossia l’insieme dei cittadini, di quegli individui che si riconoscono nelle istituzioni politiche, legato che abbiamo ereditato dai Romani. La nozione di “popolo” è quindi principalmente politica, e questo si estende naturalmente alla cultura che proviene dalle istituzioni, e non etnica. Dobbiamo quindi capire che cosa costituisce un “popolo”. Quando parliamo di un “popolo” non parliamo di una comunità etnica o religiosa, ma di quella comunità politica di individui riuniti che prendono in mano il proprio futuro, almeno alle origini della Repubblica.
Questa libertà politica passa allora dalla libertà dell’insieme territoriale su cui vive questo popolo e del suo governo. Non si può pensare “popolo” senza pensare, nello stesso movimento, “Nazione”. Quest’ultima si è sostituita alla “Città” degli antichi. E’ illuminante una citazione di Cicerone: « ogni popolo che su un tale raduno di una moltitudine (…) ogni città che è l’organizzazione del popolo; ogni Res Publica che è come ho detto la cosa del popolo, deve essere guidata da un Consiglio per poter durare ». Ciò che è importante qui è il modo in cui Cicerone classifica gerarchicamente il passaggio dalla “moltitudine” al popolo, con l’esistenza di interessi comuni, e poi presenta la Città, che egli concepisce come un insieme di istituzioni e non come un luogo di abitazione (la città non è il l’oppidum) come quadro organizzativo di questo “popolo”. La nozione di sovranità è quindi fondamentale, ma anche centrale, per l’esistenza della Res Publica. Questa “cosa pubblica”, decisiva per le rappresentazioni politiche dei Romani, può essere costituita solo attraverso l’uguaglianza giuridica dei cittadini che assicura loro (o deve assicurare) un pari diritto alla partecipazione politica, alle scelte nella vita della “Città”.
Questo, il Presidente Emmanuel Macron non sembra averlo capito. Infatti, insiste a parlare di “sovranità europea”. Ma dov’è il popolo europeo? Dov’è la cultura politica comune, frutto dell’accumulo di centinaia di anni di lotte, compromessi, istituzioni ? La sovranità implica un “popolo”, dobbiamo ricordarlo, e non esiste un popolo europeo, come era stato stabilito dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe. La sentenza del 30 giugno 2009 stipula effettivamente che, dati i limiti del processo democratico in Europa, solo gli Stati-Nazioni sono i depositari della legittimità democratica. Dire che ne sono i custodi non è in alcun modo contraddittorio con la sovranità popolare. Così, a Roma, l’imperatore era delegato della sovranità popolare, ma non l’aveva né abolita né sostituita. Gli imperatori romani sono spesso presentati come sovrani onnipotenti. Questo equivale a dimenticare da dove viene la loro sovranità. Nella legge di investitura dell’ imperatore Vespasiano (69-79 D.C.), la Lex de Empire Vespasiani, la ratifica degli atti dell’imperatore compiuta prima della sua investitura formale era detta Come se tutto fosse stato compiuto in nome del popolo ». Si percepisce che l’origine della sovranità risiede nel popolo, anche se quest’ultimo ne ha delegato l’esercizio all’imperatore. Il concetto di “sovranità popolare”, che alcuni ritengono sia stato “inventato” dalla Rivoluzione Francese, esisteva già a Roma, e consisteva in un controllo popolare sui magistrati. Quindi c’era realmente un discorso che stabiliva il primato del “popolo”, come nei casi in cui era il “popolo“ a decidere se un uomo poteva venire eletto a esercitare delle funzioni più alte rispetto alle sue precedenti competenze.
Allora la libertà del “popolo” nel contesto della “nazione” è appunto chiamata sovranità. La nazione è dunque il quadro in cui si organizza questo corpo politico che è il popolo. Questa sovranità è la capacità di decidere. Ecco perché la sovranità è essenziale all’esistenza della democrazia ; è la sua condizione necessaria anche se non sufficiente. La sovranità è una e non va divisa, ma i suoi usi sono multipli. Dunque, parlare di sovranità di “sinistra” o di “destra” non ha senso. Ci furono, certamente, delle nazioni sovrane nelle quali il popolo non era libero. Ma non si è mai visto un popolo libero in una nazione schiava. La formazione dello Stato come principio indipendente dalla proprietà del Principe avvenne in un doppio movimento di formazione della nazione come entità politica e del popolo come attore collettivo. Le forme che questa costituzione assume possono variare in funzione dei fattori storici e culturali, ma rispondono alla stessa invariante. Quella del doppio movimento della costituzione sia della Nazione che del Popolo. Ed è per questo che la sovranità è ormai un concetto fondamentale e decisivo nelle battaglie politiche attuali. Difendere la sovranità di un Paese, ieri la Grecia e oggi l’Italia, è dunque oggi un imperativo assoluto per chi difende la democrazia e la libertà.
Un “momento sovranista”?
Stiamo vivendo da ormai più di tre anni un “momento sovranista”. Questa parola, maledetta ieri, è oggi sulla bocca di tutti, compresi coloro che non capiscono cosa questo implichi, come il Presidente Emmanuel Macron. Questo “momento sovranista” fa parte del grande ritorno delle nazioni, conseguente al fallimento degli Stati Uniti nel costruire un’egemonia sostenibile, come constatai nel 2008. Questo movimento assume tuttavia un senso particolare in Europa. Cio’ è dovuto al fatto che le istituzioni dell’Unione Europea, che troppo spesso vengono confuse con il concetto di Europa, hanno gradualmente violato sia la democrazia che la sovranità.
Più di dieci anni fa, nel 2005 per la precisione, il popolo francese e quello dei Paesi Bassi respingevano alle elezioni il progetto di trattato costituzionale, redatto a grandi spese dalle élite politiche. Non hanno respinto questo progetto per motivi congiunturali, lungi da questo. Il rifiuto era il rifiuto di un progetto; rifletteva un movimento di fondo. Da allora, passo dopo passo, abbiamo invaso la libertà politica dei popoli, fino ad arrivare allo scandalo inaudito costutuito dal confronto tra un governo democraticamente eletto, quello della Grecia, e le istituzioni europee. Dobbiamo ricordare cosa fu questo scandalo. Non fu più un semplice voto che venne poi violato, perché la posizione del popolo greco, espressa il 25 gennaio, elezione che portò SYRIZA al potere, fu rinforzata dal risultato del referendum del 5 luglio che diede al “No” al memorandum quasi il 62% dei voti.
Cio’ che venne violato, con l’impudenza cinica di un Jean-Claude Juncker o un Defg, fu in realtà la sovranità di un Paese. Eppure, quando avevamo visto dopo l’elezione del 25 gennaio 2015 in Grecia il partito della sinistra radicale SYRIZA scegliere di allearsi con un partito di destra, certamente, ma sovranista, e non con il centro-sinistra (To Potami) o anche con i socialisti del PASOK, si pensava che questa questione di sovranità fosse stata completamente integrata dalla direzione di SYRIZA. Il corso della crisi ha dimostrato che anche all’interno di questo partito vi erano importanti divergenze e una mancanza significativa di chiarimenti. È l’esistenza di queste divergenze che ha permesso alle istituzioni europee di trovare la leva sulla quale premere per costringere Alexis Tsipras, primo ministro, a rinnegare se stesso. Questa à una lezione che tutti coloro che vogliono vivere liberi devono imparare a memoria e che ancora oggi ossessiona coloro che aspirano a riconquistare questa sovranità.
Ricordiamo allora questa citazione di Jean-Claude Juncker, il successore dell’ineffabile Barroso, a capo della commissione europea: ” Non vi può essere alcuna scelta democratica contro i trattati europei ». Questa dichiarazione rivelatrice risale all’elezione greca del 25 gennaio 2015, che vide appunto la vittoria di SYRIZA. In poche parole, è detto tutto. È l’affermazione tranquilla e soddisfatta della superiorità di istituzioni non elette sul voto degli elettori, della superiorità del principio tecnocratico sul principio democratico. Riprendono, scientemente o no, il discorso dell’Unione Sovietica riguardo ai Paesi dell’Est nel 1968, in occasione dell’intervento del Patto di Varsavia a Praga : è la famosa teoria della sovranità limitata. Ostentano di considerare i Paesi membri dell’Unione Europea come colonie, o più precisamente dei “domini”, la cui sovranità era soggetta a quella della metropoli (Gran Bretagna). Solo che in questo caso non ci sono metropoli. L’Unione Europea sarebbe quindi un sistema coloniale senza metropoli. Questo ci porta a pensare che la sovranità è, fra tutti i beni, quello più prezioso, e a trarne le conseguenze che la logica impone. Qualcuno lo ha fatto, come Stefano Fassina In Italia. Occorrerà trarne le conseguenze, tutte le conseguenze.
La sovranità non è sufficiente
Ma la sovranità non è sufficiente. Definirsi un popolo sovrano significa porre immediatamente la questione di cosa fare e di quali decisioni prendere. La sovranità è valida solo attraverso il suo esercizio. Essa non può quindi sostituire il dibattito politico naturale sulle scelte da adottare, sulle condizioni stesse di tali decisioni. E si vede chiaramente che su questo punto le polemiche saranno amare e numerose. E ha senso che lo siano. Le istituzioni in cui viviamo, istituzioni che sono del resto cambiate molte volte, sono il prodotto di questi conflitti, a volte messi da parte, ma mai estinti.
La democrazia implica conflitto, implica lotta politica e implica, dopo il momento della lotta e del conflitto, il compromesso, creatore esso stesso di istituzioni. Perché questi conflitti avvengano, perché le opinioni si affrontino e perché possa emergere un compromesso temporaneo, occorre essere liberi di farlo. Liberi, naturalmente, nel senso di libertà di espressione e di manifestazione. Ma, più fondamentalmente, non ci devono essere limiti all’espressione e allo svolgimento del conflitto politico. Qualsiasi tentativo di limitare preventivamente il conflitto politico, di assegnargli un corso programmato in anticipo proprio come si vorrebbe canalizzare un corso d’acqua, porta, alla fin fine, a limitare le scelte e ad uccidere la democrazia. E’ questo il problema che pongono le norme europee sul deficit di bilancio e altro. Sì, la democrazia è fragile come ha detto recentemente Pierre Moscovici. Ma non nel senso che crede lui. Perché la democrazia non si limita al dibattito, per quanto importante esso possa essere. La democrazia implica che vengano prese delle decisioni e che quest’ultime non possano essere limitate preventivamente. E’ questo che implica l’esistenza preliminare della sovranità. Ecco perché essa è un principio necessario anche se non è sufficiente. Essere sovrani, va ricordato, è avere la capacità di decidere ; Carl Schmitt l’ha ripetuto più volte nella sua opera. Ecco perché non dobbiamo esitare a confrontarci su questa questione della sovranità e a leggere Carl Schmitt.
La questione del rapporto della decisione con regole e norme è un fattore sostanziale del dibattito sulla sovranità. Dire che viviamo oggi un momento sovranista equivale a dire che il sistema di regole e norme stabilite in passato, viene considerato ormai come una costrizione insopportabile. Così fu in un altro famoso dibattito, quello che negli Stati Uniti oppose i sostenitori della schiavitù agli abolizionisti. I fautori dell’”istituzione speciale” sostennero erano state stabilite delle regole, le quali costringevano la decisione politica. Arrivarono ad invocare il principio di proprietà per difendere l’indifendibile. Ma questo non fece altro che infiammare il dibattito, rendendolo ancora più inconciliabile. Voler imporre ciò che un autore americano ha definito con grande precisione delle “Gag-Rules”, regole delle quali possiamo capire l’utilità con i limiti cognitivi di ogni individuo, porta solamente alla guerra civile. Le regole e le norme sono necessarie, naturalmente, e anche solo per il fatto che non si puo’ allo stesso tempo discutere di tutto. La nozione di saturazione delle capacità cognitive degli individui deve essere ben compresa se non si vuole tenere un discorso ingenuo sulla democrazia . Tuttavia, questa stessa nozione implica che non si possano far durare all’infinito tali norme e tali regole e che esse possano essere messe in discussione.
Il legale e il legittimo
Questa rimessa in discusisone allora pone la questione della distinzione tra legalità e legittimità. Va inteso che ogni regola non vale solo per le condizioni di stabilità che essa permette, ma vale anche per le condizioni in cui è stata emanata. Oltre a ciò, la regola è valida solo perché può essere contestata. Ciò impone di distinguere la legalità, in altre parole le condizioni nelle quali questa regola viene rispettata, dalla legittimità, in altre parole le condizioni in cui è stata emanata e da chi. Che cosa spinge gli individui a piegarsi a delle regole e rispettare delle norme? Non è mai la funzionalità di queste regole e norme, benché essa sia ovvia. Il rispetto delle regole implica un’istanza di forza che rende costosa la rottura con questa stessa regola , che sia su un piano monetario, materiale o anche simbolico. Il rispetto delle regole richiede pertanto un’ autorità, cioè, la combinazione di un potere di punire e sanzionare, e una legittimità a farlo. Porre la questione della legittimità ci riporta immediatamente alla questione della sovranità, perché senza la sovranità non c’è e non ci può essere legittimità.
Tuttavia, l’ossessione per il rispetto delle regole, un’ossessione che vediamo oggi nel discorso della Commissione europea, rimanda a due logiche, distinte ma convergenti. La prima si basa sulla sostituzione della tecnica alla politica. Questo tema è antico. Carl Schmitt, ancora lui, ma anche Max Weber, hanno scritto pagine ammirevoli su questo argomento. Ma il cosiddetto “discorso tecnico” lo è spesso soltanto in apparenza. Questo discorso di solito è confezionato nei pannolini di un tecnicismo reale, in economia si chiama econometria, il cui scopo reale, pero’, è quello di mascherare la volontà profondamente politica di tale discorso sotto gli orpelli di metodi matematici complessi.
Ciò che questi economisti presentano come considerazioni tecniche, e che spesso non sono altro che una pallida imitazione della fisica del XIX secolo, in particolare le considerazioni monetarie, sono in realtà tentativi di limitare le forme umane di governance. Questo discorso di alcuni economisti, ci riferiamo particolarmente ai cosiddetti “neoclassici”, è fondamentalmente politico. Ma solo raramente si dichiara come tale. Questo discorso mira ad eliminare il principio di sovranità, come appare chiaramente con Robert Lucas. Questo autore è arrivato ad affermare che l’economia cessò di esistere non appena sorse l’incertezza, che è come ammettere la pretesa probabilistica di una certa economia.
Egli è fondamentalmente ostile a tutto ciò che può rappresentare l’irruzione della politica, ma questa ostilità deriva da motivazioni che sono fondamentalmente politiche. Cio’ è visibile chiaramente nelle riflessioni tardive di Hayek. Il filosofo italiano Diego Fusaro lo dice riguardo all’Euro. Non è solo una moneta, ma una forma di governance, o più precisamente, di pressione sui governi per ottenere da essi una conformità politica. Non possiamo far altro che essere d’accordo con lui. Ma questa pressione è ancor più pericolosa in quanto si cela sotto la pretesa di una cosiddetta razionalità economica.
Ma l’ossessione per le regole riguarda anche un’altra patologia. Gli studi di casi proposti nell’opera di David Dyzenhaus, La costituzione del diritto, giungono, in ultima analisi, a mettere in evidenza una critica del positivismo. Questa è fondamentale. Aiuta a capire come l’ossessione per la Rule of Law (ossia la legalità formale) e la fedeltà al testo vada spesso a vantaggio delle politiche governative, nonché sovra-governative. Più volte, questo autore evoca la propria analisi delle perversioni del sistema giuridico dell’ Apartheid ricordando che questa giurisprudenza umiliante era meno legata alle convinzioni razziste dei giudici sud-africani che al loro “positivismo». Nel principio, questo positivismo rappresenta un tentativo di superare il dualismo di cui parla Schmitt tra la norma e l’eccezione. Ma possiamo ben vedere che è un tentativo insufficiente e superficiale. Si ferma a metà strada e arriva, in questo senso, ad esiti che sono di gran lunga peggiori delle posizioni apertamente schmittiane (come quelle di Carl J. Friedrich). In quanto Via di mezzo, il positivismo fallisce perché non prende abbastanza sul serio l’eccezione. Esso continua a concepire le detenzioni e le deroghe come atti perfettamente “legali”, concretizzando norme più generali e prendendo da esse l’ autorizzazione. È quindi possibile, sulle orme di David Dyzenhaus, considerare che il potere di eccezione risiede nel potere di cui dispongono tutti i cittadini, e il governo in primo luogo, di adottare misure che consentano il ritorno più veloce possibile alla normalità. Benché diffuso, questo potere non sfugge alla Rule of Law, perché una volta che il segnale d’allarme sarà spento, le autorità e gli individui dovranno essere in grado di dimostrare che hanno agito secondo la necessità rigorosa.
Il tema della sovranità quindi irriga in profondità il dibattito che oppone attualmente il governo italiano e la Commissione europea. Questo dibattito non è un dibattito su delle cifre o delle percentuali. È un dibattito fondamentale per determinare in che società vogliamo vivere.
Il tema della sovranità conduce logicamente alla questione della democrazia, ma anche al rapporto che può esistere tra la legalità e la legittimità. Per questo motivo è assolutamente fondamentale per il futuro delle nostre società.
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IL DIBATTITO SUL BILANCIO ITALIANO E LA QUESTIONE DELLA SOVRANITÀ
IL DIBATTITO SUL BILANCIO ITALIANO E LA QUESTIONE DELLA SOVRANITÀ
di Jacques Sapir
Direttore degli studi (in pensione) presso l’ EHESS-Parigi – Direttore del CEMI – Membro straniero dell’Accademia Russa delle scienze
L’attuale crisi che oppone l’Italia e la Commissione europea sul progetto di bilancio italiano, in seguito alla sua pubblicazione, verte apparentemente su delle percentuali. In realtà, si tratta della questione essenziale di sapere chi è legittimato a decidere del bilancio italiano: il governo che proviene dalle elezioni democratiche o la Commissione e le sue varie appendici che pretendono di imporre regole provenienti dai trattati. Tale questione è fondamentale oggi: si governa in nome del popolo o in nome delle regole? Essa ha ovvie implicazioni: chi ha il potere di governare, il legislatore la cui legittimità deriva dalla sovranità democratica o il giudice che governa nel nome di un diritto?
Dietro la questione della percentuale di deficit consentito o rifiutato al governo italiano non c’è solo la questione della fondatezza della decisione italiana, ma anche la questione di sapere se l’Italia è ancora una nazione sovrana. Questo spiega che il sostegno al governo italiano sia giunto da tutti i partiti per i quali la sovranità è uno dei fondamenti della politica, e in particolare dalla France Insoumise. La questione della sovranità è quindi di centrale importanza in questo conflitto. L’aspirazione alla sovranità dei popoli si esprime oggi in molti Paesi e in forme diverse. Eppure questa sovranità è messa in discussione dalla pratica delle istituzioni dell’Unione Europea. Ne sono prova le dichiarazioni fatte da Jean-Claude Juncker in occasione delle elezioni greche del gennaio 2015 .
Sovranità fondamentale
Il conflitto tra la sovranità delle nazioni, e quindi dei popoli, e la logica della governance dell’Unione europea non è nuovo.
Ciò che il comportamento dell’ Unione Europea e delle istituzioni dell’Eurozona mette in discussione è fondamentalmente questa garanzia della democrazia e della libertà che è la sovranità. Se le nostre decisioni di cittadini dovessero essere fin dall’inizio limitate da un potere superiore, a cosa servirebbe fare causa comune? E se non c’è più utilità o necessità per i cittadini di fare causa comune, di unirsi intorno a questa “Res publica”, così cara agli antichi Romani, quali saranno le barriere di fronte all’ascesa del comunitarismo, nonché all’ anomia che distruggerà le nostre società?
Il mantenimento di questo passaggio dall’individuale al collettivo è in realtà una necessità imperiosa di fronte alle crisi, sia economiche e sociali, che politiche e culturali che attraversiamo. E la democrazia, nell’esercizio delle scelte, implica che possano essere prese delle decisioni e che quest’ultime non possano essere limitate a priori da regole o trattati. La Commissione ricorda regolarmente che i trattati sono stati firmati, da Maastricht a Lisbona. Bisogna ricordarsi che nessuna generazione ha il diritto di incatenare le seguenti con le propire scelte, come ha scritto uno dei padri della costituzione americana.
Ma la sovranità è anche fondamentale per la distinzione tra cio’ che è giusto e legale, tra la legittimità e la legalità, come mostra Carl Schmitt nella sua opera del 1932. Fondamentalmente, essere sovrani è avere la capacità di decidere, come lo stesso Carl Schmitt ha espresso anche nella forma “E’ sovrano colui che decide nella situazione eccezionale”. Poiché la costrizione intrinseca in ogni atto giuridico non può essere giustificata solo dal punto di vista della legalità, che, per definizione, è sempre formale. Il presunto primato che il positivismo giuridico intende conferire alla legalità porta in realtà a un sistema totale, impermeabile a qualsiasi contestazione. Questo ha storicamente permesso la giustificazione di regimi iniqui, come l’Apartheid in Sudafrica, come viene illustrato nell’opera di David Dyzenhaus. Ma questo positivismo giuridico ha un vantaggio decisivo nell’attuale mondo politico. E’ esso che consente, o che dovrebbe consentire, ad un politico “liberale” di rivendicare la purezza originale e non alle mani sporche del Principe di una volta, come mostra bene Bellamy .
Sovranità e DemocrAzione
Vediamo che la questione della sovranità è fondamentale. È questa sovranità che permette la libertà della comunità politica, di ciò che viene chiamato il popolo, ossia l’insieme dei cittadini, di quegli individui che si riconoscono nelle istituzioni politiche, legato che abbiamo ereditato dai Romani. La nozione di “popolo” è quindi principalmente politica, e questo si estende naturalmente alla cultura che proviene dalle istituzioni, e non etnica. Dobbiamo quindi capire che cosa costituisce un “popolo”. Quando parliamo di un “popolo” non parliamo di una comunità etnica o religiosa, ma di quella comunità politica di individui riuniti che prendono in mano il proprio futuro, almeno alle origini della Repubblica.
Questa libertà politica passa allora dalla libertà dell’insieme territoriale su cui vive questo popolo e del suo governo. Non si può pensare “popolo” senza pensare, nello stesso movimento, “Nazione”. Quest’ultima si è sostituita alla “Città” degli antichi. E’ illuminante una citazione di Cicerone: « ogni popolo che su un tale raduno di una moltitudine (…) ogni città che è l’organizzazione del popolo; ogni Res Publica che è come ho detto la cosa del popolo, deve essere guidata da un Consiglio per poter durare ». Ciò che è importante qui è il modo in cui Cicerone classifica gerarchicamente il passaggio dalla “moltitudine” al popolo, con l’esistenza di interessi comuni, e poi presenta la Città, che egli concepisce come un insieme di istituzioni e non come un luogo di abitazione (la città non è il l’oppidum) come quadro organizzativo di questo “popolo”. La nozione di sovranità è quindi fondamentale, ma anche centrale, per l’esistenza della Res Publica. Questa “cosa pubblica”, decisiva per le rappresentazioni politiche dei Romani, può essere costituita solo attraverso l’uguaglianza giuridica dei cittadini che assicura loro (o deve assicurare) un pari diritto alla partecipazione politica, alle scelte nella vita della “Città”.
Questo, il Presidente Emmanuel Macron non sembra averlo capito. Infatti, insiste a parlare di “sovranità europea”. Ma dov’è il popolo europeo? Dov’è la cultura politica comune, frutto dell’accumulo di centinaia di anni di lotte, compromessi, istituzioni ? La sovranità implica un “popolo”, dobbiamo ricordarlo, e non esiste un popolo europeo, come era stato stabilito dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe. La sentenza del 30 giugno 2009 stipula effettivamente che, dati i limiti del processo democratico in Europa, solo gli Stati-Nazioni sono i depositari della legittimità democratica. Dire che ne sono i custodi non è in alcun modo contraddittorio con la sovranità popolare. Così, a Roma, l’imperatore era delegato della sovranità popolare, ma non l’aveva né abolita né sostituita. Gli imperatori romani sono spesso presentati come sovrani onnipotenti. Questo equivale a dimenticare da dove viene la loro sovranità. Nella legge di investitura dell’ imperatore Vespasiano (69-79 D.C.), la Lex de Empire Vespasiani, la ratifica degli atti dell’imperatore compiuta prima della sua investitura formale era detta Come se tutto fosse stato compiuto in nome del popolo ». Si percepisce che l’origine della sovranità risiede nel popolo, anche se quest’ultimo ne ha delegato l’esercizio all’imperatore. Il concetto di “sovranità popolare”, che alcuni ritengono sia stato “inventato” dalla Rivoluzione Francese, esisteva già a Roma, e consisteva in un controllo popolare sui magistrati. Quindi c’era realmente un discorso che stabiliva il primato del “popolo”, come nei casi in cui era il “popolo“ a decidere se un uomo poteva venire eletto a esercitare delle funzioni più alte rispetto alle sue precedenti competenze.
Allora la libertà del “popolo” nel contesto della “nazione” è appunto chiamata sovranità. La nazione è dunque il quadro in cui si organizza questo corpo politico che è il popolo. Questa sovranità è la capacità di decidere. Ecco perché la sovranità è essenziale all’esistenza della democrazia ; è la sua condizione necessaria anche se non sufficiente. La sovranità è una e non va divisa, ma i suoi usi sono multipli. Dunque, parlare di sovranità di “sinistra” o di “destra” non ha senso. Ci furono, certamente, delle nazioni sovrane nelle quali il popolo non era libero. Ma non si è mai visto un popolo libero in una nazione schiava. La formazione dello Stato come principio indipendente dalla proprietà del Principe avvenne in un doppio movimento di formazione della nazione come entità politica e del popolo come attore collettivo. Le forme che questa costituzione assume possono variare in funzione dei fattori storici e culturali, ma rispondono alla stessa invariante. Quella del doppio movimento della costituzione sia della Nazione che del Popolo. Ed è per questo che la sovranità è ormai un concetto fondamentale e decisivo nelle battaglie politiche attuali. Difendere la sovranità di un Paese, ieri la Grecia e oggi l’Italia, è dunque oggi un imperativo assoluto per chi difende la democrazia e la libertà.
Un “momento sovranista”?
Stiamo vivendo da ormai più di tre anni un “momento sovranista”. Questa parola, maledetta ieri, è oggi sulla bocca di tutti, compresi coloro che non capiscono cosa questo implichi, come il Presidente Emmanuel Macron. Questo “momento sovranista” fa parte del grande ritorno delle nazioni, conseguente al fallimento degli Stati Uniti nel costruire un’egemonia sostenibile, come constatai nel 2008. Questo movimento assume tuttavia un senso particolare in Europa. Cio’ è dovuto al fatto che le istituzioni dell’Unione Europea, che troppo spesso vengono confuse con il concetto di Europa, hanno gradualmente violato sia la democrazia che la sovranità.
Più di dieci anni fa, nel 2005 per la precisione, il popolo francese e quello dei Paesi Bassi respingevano alle elezioni il progetto di trattato costituzionale, redatto a grandi spese dalle élite politiche. Non hanno respinto questo progetto per motivi congiunturali, lungi da questo. Il rifiuto era il rifiuto di un progetto; rifletteva un movimento di fondo. Da allora, passo dopo passo, abbiamo invaso la libertà politica dei popoli, fino ad arrivare allo scandalo inaudito costutuito dal confronto tra un governo democraticamente eletto, quello della Grecia, e le istituzioni europee. Dobbiamo ricordare cosa fu questo scandalo. Non fu più un semplice voto che venne poi violato, perché la posizione del popolo greco, espressa il 25 gennaio, elezione che portò SYRIZA al potere, fu rinforzata dal risultato del referendum del 5 luglio che diede al “No” al memorandum quasi il 62% dei voti.
Cio’ che venne violato, con l’impudenza cinica di un Jean-Claude Juncker o un Defg, fu in realtà la sovranità di un Paese. Eppure, quando avevamo visto dopo l’elezione del 25 gennaio 2015 in Grecia il partito della sinistra radicale SYRIZA scegliere di allearsi con un partito di destra, certamente, ma sovranista, e non con il centro-sinistra (To Potami) o anche con i socialisti del PASOK, si pensava che questa questione di sovranità fosse stata completamente integrata dalla direzione di SYRIZA. Il corso della crisi ha dimostrato che anche all’interno di questo partito vi erano importanti divergenze e una mancanza significativa di chiarimenti. È l’esistenza di queste divergenze che ha permesso alle istituzioni europee di trovare la leva sulla quale premere per costringere Alexis Tsipras, primo ministro, a rinnegare se stesso. Questa à una lezione che tutti coloro che vogliono vivere liberi devono imparare a memoria e che ancora oggi ossessiona coloro che aspirano a riconquistare questa sovranità.
Ricordiamo allora questa citazione di Jean-Claude Juncker, il successore dell’ineffabile Barroso, a capo della commissione europea: ” Non vi può essere alcuna scelta democratica contro i trattati europei ». Questa dichiarazione rivelatrice risale all’elezione greca del 25 gennaio 2015, che vide appunto la vittoria di SYRIZA. In poche parole, è detto tutto. È l’affermazione tranquilla e soddisfatta della superiorità di istituzioni non elette sul voto degli elettori, della superiorità del principio tecnocratico sul principio democratico. Riprendono, scientemente o no, il discorso dell’Unione Sovietica riguardo ai Paesi dell’Est nel 1968, in occasione dell’intervento del Patto di Varsavia a Praga : è la famosa teoria della sovranità limitata. Ostentano di considerare i Paesi membri dell’Unione Europea come colonie, o più precisamente dei “domini”, la cui sovranità era soggetta a quella della metropoli (Gran Bretagna). Solo che in questo caso non ci sono metropoli. L’Unione Europea sarebbe quindi un sistema coloniale senza metropoli. Questo ci porta a pensare che la sovranità è, fra tutti i beni, quello più prezioso, e a trarne le conseguenze che la logica impone. Qualcuno lo ha fatto, come Stefano Fassina In Italia. Occorrerà trarne le conseguenze, tutte le conseguenze.
La sovranità non è sufficiente
Ma la sovranità non è sufficiente. Definirsi un popolo sovrano significa porre immediatamente la questione di cosa fare e di quali decisioni prendere. La sovranità è valida solo attraverso il suo esercizio. Essa non può quindi sostituire il dibattito politico naturale sulle scelte da adottare, sulle condizioni stesse di tali decisioni. E si vede chiaramente che su questo punto le polemiche saranno amare e numerose. E ha senso che lo siano. Le istituzioni in cui viviamo, istituzioni che sono del resto cambiate molte volte, sono il prodotto di questi conflitti, a volte messi da parte, ma mai estinti.
La democrazia implica conflitto, implica lotta politica e implica, dopo il momento della lotta e del conflitto, il compromesso, creatore esso stesso di istituzioni. Perché questi conflitti avvengano, perché le opinioni si affrontino e perché possa emergere un compromesso temporaneo, occorre essere liberi di farlo. Liberi, naturalmente, nel senso di libertà di espressione e di manifestazione. Ma, più fondamentalmente, non ci devono essere limiti all’espressione e allo svolgimento del conflitto politico. Qualsiasi tentativo di limitare preventivamente il conflitto politico, di assegnargli un corso programmato in anticipo proprio come si vorrebbe canalizzare un corso d’acqua, porta, alla fin fine, a limitare le scelte e ad uccidere la democrazia. E’ questo il problema che pongono le norme europee sul deficit di bilancio e altro. Sì, la democrazia è fragile come ha detto recentemente Pierre Moscovici. Ma non nel senso che crede lui. Perché la democrazia non si limita al dibattito, per quanto importante esso possa essere. La democrazia implica che vengano prese delle decisioni e che quest’ultime non possano essere limitate preventivamente. E’ questo che implica l’esistenza preliminare della sovranità. Ecco perché essa è un principio necessario anche se non è sufficiente. Essere sovrani, va ricordato, è avere la capacità di decidere ; Carl Schmitt l’ha ripetuto più volte nella sua opera. Ecco perché non dobbiamo esitare a confrontarci su questa questione della sovranità e a leggere Carl Schmitt.
La questione del rapporto della decisione con regole e norme è un fattore sostanziale del dibattito sulla sovranità. Dire che viviamo oggi un momento sovranista equivale a dire che il sistema di regole e norme stabilite in passato, viene considerato ormai come una costrizione insopportabile. Così fu in un altro famoso dibattito, quello che negli Stati Uniti oppose i sostenitori della schiavitù agli abolizionisti. I fautori dell’”istituzione speciale” sostennero erano state stabilite delle regole, le quali costringevano la decisione politica. Arrivarono ad invocare il principio di proprietà per difendere l’indifendibile. Ma questo non fece altro che infiammare il dibattito, rendendolo ancora più inconciliabile. Voler imporre ciò che un autore americano ha definito con grande precisione delle “Gag-Rules”, regole delle quali possiamo capire l’utilità con i limiti cognitivi di ogni individuo, porta solamente alla guerra civile. Le regole e le norme sono necessarie, naturalmente, e anche solo per il fatto che non si puo’ allo stesso tempo discutere di tutto. La nozione di saturazione delle capacità cognitive degli individui deve essere ben compresa se non si vuole tenere un discorso ingenuo sulla democrazia . Tuttavia, questa stessa nozione implica che non si possano far durare all’infinito tali norme e tali regole e che esse possano essere messe in discussione.
Il legale e il legittimo
Questa rimessa in discusisone allora pone la questione della distinzione tra legalità e legittimità. Va inteso che ogni regola non vale solo per le condizioni di stabilità che essa permette, ma vale anche per le condizioni in cui è stata emanata. Oltre a ciò, la regola è valida solo perché può essere contestata. Ciò impone di distinguere la legalità, in altre parole le condizioni nelle quali questa regola viene rispettata, dalla legittimità, in altre parole le condizioni in cui è stata emanata e da chi. Che cosa spinge gli individui a piegarsi a delle regole e rispettare delle norme? Non è mai la funzionalità di queste regole e norme, benché essa sia ovvia. Il rispetto delle regole implica un’istanza di forza che rende costosa la rottura con questa stessa regola , che sia su un piano monetario, materiale o anche simbolico. Il rispetto delle regole richiede pertanto un’ autorità, cioè, la combinazione di un potere di punire e sanzionare, e una legittimità a farlo. Porre la questione della legittimità ci riporta immediatamente alla questione della sovranità, perché senza la sovranità non c’è e non ci può essere legittimità.
Tuttavia, l’ossessione per il rispetto delle regole, un’ossessione che vediamo oggi nel discorso della Commissione europea, rimanda a due logiche, distinte ma convergenti. La prima si basa sulla sostituzione della tecnica alla politica. Questo tema è antico. Carl Schmitt, ancora lui, ma anche Max Weber, hanno scritto pagine ammirevoli su questo argomento. Ma il cosiddetto “discorso tecnico” lo è spesso soltanto in apparenza. Questo discorso di solito è confezionato nei pannolini di un tecnicismo reale, in economia si chiama econometria, il cui scopo reale, pero’, è quello di mascherare la volontà profondamente politica di tale discorso sotto gli orpelli di metodi matematici complessi.
Ciò che questi economisti presentano come considerazioni tecniche, e che spesso non sono altro che una pallida imitazione della fisica del XIX secolo, in particolare le considerazioni monetarie, sono in realtà tentativi di limitare le forme umane di governance. Questo discorso di alcuni economisti, ci riferiamo particolarmente ai cosiddetti “neoclassici”, è fondamentalmente politico. Ma solo raramente si dichiara come tale. Questo discorso mira ad eliminare il principio di sovranità, come appare chiaramente con Robert Lucas. Questo autore è arrivato ad affermare che l’economia cessò di esistere non appena sorse l’incertezza, che è come ammettere la pretesa probabilistica di una certa economia.
Egli è fondamentalmente ostile a tutto ciò che può rappresentare l’irruzione della politica, ma questa ostilità deriva da motivazioni che sono fondamentalmente politiche. Cio’ è visibile chiaramente nelle riflessioni tardive di Hayek. Il filosofo italiano Diego Fusaro lo dice riguardo all’Euro. Non è solo una moneta, ma una forma di governance, o più precisamente, di pressione sui governi per ottenere da essi una conformità politica. Non possiamo far altro che essere d’accordo con lui. Ma questa pressione è ancor più pericolosa in quanto si cela sotto la pretesa di una cosiddetta razionalità economica.
Ma l’ossessione per le regole riguarda anche un’altra patologia. Gli studi di casi proposti nell’opera di David Dyzenhaus, La costituzione del diritto, giungono, in ultima analisi, a mettere in evidenza una critica del positivismo. Questa è fondamentale. Aiuta a capire come l’ossessione per la Rule of Law (ossia la legalità formale) e la fedeltà al testo vada spesso a vantaggio delle politiche governative, nonché sovra-governative. Più volte, questo autore evoca la propria analisi delle perversioni del sistema giuridico dell’ Apartheid ricordando che questa giurisprudenza umiliante era meno legata alle convinzioni razziste dei giudici sud-africani che al loro “positivismo». Nel principio, questo positivismo rappresenta un tentativo di superare il dualismo di cui parla Schmitt tra la norma e l’eccezione. Ma possiamo ben vedere che è un tentativo insufficiente e superficiale. Si ferma a metà strada e arriva, in questo senso, ad esiti che sono di gran lunga peggiori delle posizioni apertamente schmittiane (come quelle di Carl J. Friedrich). In quanto Via di mezzo, il positivismo fallisce perché non prende abbastanza sul serio l’eccezione. Esso continua a concepire le detenzioni e le deroghe come atti perfettamente “legali”, concretizzando norme più generali e prendendo da esse l’ autorizzazione. È quindi possibile, sulle orme di David Dyzenhaus, considerare che il potere di eccezione risiede nel potere di cui dispongono tutti i cittadini, e il governo in primo luogo, di adottare misure che consentano il ritorno più veloce possibile alla normalità. Benché diffuso, questo potere non sfugge alla Rule of Law, perché una volta che il segnale d’allarme sarà spento, le autorità e gli individui dovranno essere in grado di dimostrare che hanno agito secondo la necessità rigorosa.
Il tema della sovranità quindi irriga in profondità il dibattito che oppone attualmente il governo italiano e la Commissione europea. Questo dibattito non è un dibattito su delle cifre o delle percentuali. È un dibattito fondamentale per determinare in che società vogliamo vivere.
Il tema della sovranità conduce logicamente alla questione della democrazia, ma anche al rapporto che può esistere tra la legalità e la legittimità. Per questo motivo è assolutamente fondamentale per il futuro delle nostre società.