Finito il lavoro di trattativa al tavolo del “contratto di governo”, la pubblicazione del contenuto del programma concordato e condiviso da Lega e Movimento 5 stelle per realizzare il cambiamento di rotta promesso agli Italiani, ha suscitato la prevedibile ondata di critiche, grida di allarme, anatemi e isterie varie, da parte dei partiti esclusi dal tavolo e dai media mainstream, ancora monopolizzati da soggetti schierati con il governo uscente.
L’attesa spasmodica per il nome del premier scelto dai due leader dei diversi schieramenti, da indicare al Presidente della Repubblica per la nomina, ha scatenato scommesse e indovinelli, e preoccupa molto l’establishment europeo, che trovava nel PD il canale perfetto attraverso cui infiltrare il proprio potere di direzione e controllo nella politica italiana.
L’equilibrio “stabile” del governo decentrato di Francoforte sui nostri conti pubblici e – tramite questi – sull’intera nostra politica interna ed estera, si vede ora gravemente minacciato dal cambio di mano alla guida del Paese, che probabilmente vedrà al timone nei prossimi anni un governo “populista”, ovvero scelto dal popolo, che avrà come fondamento la volontà popolare degli Italiani (e non delle élite di potere estere) e come obiettivo la tutela degli interessi nazionali (e non di quelli tedeschi/francesi).
La reazione sui media dei commentatori e politologi di lungo corso è pressoché unanime nel condannare l’intero contenuto dell’accordo raggiunto, e si declina in maniera spesso goffa e scomposta, in taluni casi al limite del grottesco.
Gli argomenti più gettonati dal fronte non-populista (e quindi anti-cambiamento) sono, nell’ordine: la reazione dei “mercati”; lo “spread”; i “costi” insostenibili che “chissà chi pagherà”; l”Europa che dirà?”
Forse qualcuno dovrebbe spiegare agli illustri politici della prima e seconda Repubblica (perché per attaccare Di Maio e Salvini diventano oracoli anche soggetti fino a l’altro ieri impresentabili, coinvolti in molteplici scandali e processi spesso finiti con condanne anche gravi, o quantomeno “fuori tempo” perché inquadrabili in epoche politiche che ormai ci appaiono lontanissime) che i suddetti argomenti, oggi, NON FUNZIONANO più.
Dopo lo scherzetto del 2011 e quello che ne è seguito, infatti, gli elettori hanno capito alcune cose sui “mercati”, lo “spread” e il resto, che li hanno immunizzati dal virus del “fatepresto”, che fu allora tanto efficace a legittimare il governo tecnico di Mario Monti e compari, dando agli stessi l’alibi per compiere nel nostro Paese una vera e propria macelleria sociale, in pedissequa esecuzione della lista dei compiti spedita dalla BCE al nostro governo.
La teocrazia dei “mercati”, oggi, conta ormai fra i propri adepti solo i santoni che la divulgano ed i loro portaborse, ed ha dimostrato la propria capacità distruttiva non solo per il Paese reale, ma anche per i partiti che l’hanno praticata e continuano a difenderla, divenuti marginali sia nei numeri che nel peso politico.
Continuare a chiedere sacrifici umani per placare le possibili ire di divinità spietate e indefinite come “i mercati”, insomma, non ha un effetto granché positivo su chi legge o ascolta, e mi meraviglia sinceramente che ci si ostini ancora a farlo, con la veemenza di improbabili Savonarola.
L’allarme sullo spread che “schizza alle stelle” (fenomeno che nel mondo dei non-populisti pare accada curiosamente anche all’”inflazione”) viene snobbato dai cittadini con un’alzata di spalle, o perché questo spread in fondo non l’hanno mai visto, o perché – sapendo di cosa si tratta – sono consapevoli che per farlo salire veloce veloce, bastano un paio di telefonate fatte da chi conta davvero alle persone giuste, e per farlo ridiscendere basta una dichiarazione di Mario Draghi.
Risultano quindi quasi commoventi gli inutili e spericolati sforzi dei sopravvissuti alla falcidie del 4 marzo nel PD, e dei loro supporter, che attaccano il nascente governo chiamandolo “un pericolo per il Paese” dimenticandosi di aver prodotto, in questi 5 anni, effetti non proprio innocui, come l’aumento a livelli record della povertà assoluta, del precariato, dei fallimenti di imprese, dell’emigrazione, dell’immigrazione clandestina, delle acquisizioni delle nostre imprese storiche in mani estere, per non parlare dei fallimenti bancari con la “tosatura” dei risparmiatori, la creazione della figura (prima inedita) degli “esodati”, l’amputazione di organi vitali della sanità pubblica e lo svilimento della pubblica istruzione, l’affossamento della ricerca… mi fermo per non appesantire oltre l’animo di chi legge.
Dopo simili brillanti risultati (brillanti davvero, dal punto di vista dei soggetti che hanno assegnato al PD il compito di fare esattamente ciò che ha fatto), gli esponenti del governo uscente si meravigliano di aver perduto più della metà dei voti, e credono di recuperarne buona parte proponendo di ripetere le stesse ricette che ci hanno servito sin qui. Ebbene sì, lo pensano davvero: evidentemente il potere d’azione che hanno avuto senza essere ostacolati da nessuno ha bruciato loro i neuroni quanto un’overdose di ecstasy.
I cittadini italiani, che hanno la scorza dura e sono rimasti in piedi, ancora fieri e combattivi nonostante le botte prese, i diluvi di menzogne e gli stenti forzati dall’austerity, invece sono oggi più che mai vigili e lucidi, e finalmente sanno quello che vogliono, e soprattutto quello che NON VOGLIONO.
Gli Italiani non vogliono più essere l’ultima ruota del carro, né essere ingannati, umiliati, impoveriti, sacrificati su altari di alcun genere: vogliono vivere nel proprio Paese con l’orgoglio di farne parte e la possibilità di “farcela”.
Gli Italiani hanno osservato, aspettato, sperato e ascoltato; hanno sofferto, pianto, gridato di rabbia, protestato, ed alla fine hanno scoperto di essere stati traditi.
Non perdoneranno chi li ha traditi, specie coloro che davvero avevano creduto agli ideali della “sinistra” ed ai suoi sogni progressisti. Per questo, il 4 marzo, sono andati in massa alle urne (riducendo ai minimi l’astensione, che invece aveva trionfato alle scorse elezioni europee, quelle il cui il PD aveva ottenuto il 40%) e hanno scelto i partiti “antisistema”, infischiandosene delle etichette che i media avevano preparato per loro: “razzisti”, “fascisti”, “incapaci”, “ignoranti” e via dicendo.
Per tutta risposta, gli stessi politici sconfitti e gli stessi media allineati continuano ad etichettare quegli elettori come “sovranisti” e “populisti”, nemmeno accorgendosi che ormai, tali termini intenzionalmente denigratori, non solo non offendono più, ma anzi lusingano chi li riceve!
Così come è accaduto negli USA, dove il regista Oliver Stone ha efficacemente spiegato l’inaspettata elezione di Trump alla Presidenza, col fatto che “gli Americani non credono più ai media”, e nel Regno Unito, dove la doccia fredda della Brexit ha sciacquato via mesi e mesi di propaganda terroristica sui presunti effetti catastrofici del voto per il “leave”, anche in Italia i cittadini hanno imparato a decidere di testa loro, dando peso alla realtà dei fatti che sperimentano ogni giorno sulla propria pelle, invece che agli scenari teorici prospettati dai soliti colletti inamidati dei salotti televisivi.
Per questo, l’unico giudizio che conta sul governo che verrà, sarà quello dei cittadini italiani, e sarà un giudizio severo, critico e senza sconti, che guarderà ai risultati ed ai mezzi usati per raggiungerli.
Tentare di anticipare questo giudizio, o peggio ancora di esercitarlo in vece del Popolo, unico legittimato ad esprimerlo alla prova dei fatti, sarebbe un ulteriore, gravissimo errore, le cui conseguenze potrebbero essere davvero nefaste per chi si cimentasse in tale sfida.
Se un barlume di intelligenza alberga ancora nelle menti di chi occupa posti chiave nel nostro ordinamento, l’unico comportamento saggio che potrà scegliere sarà quello di lasciare spazio al nuovo governo e stare a guardare. Comunque vada, potrà solo guadagnarci.
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IL GOVERNO DEL POPOLO
Finito il lavoro di trattativa al tavolo del “contratto di governo”, la pubblicazione del contenuto del programma concordato e condiviso da Lega e Movimento 5 stelle per realizzare il cambiamento di rotta promesso agli Italiani, ha suscitato la prevedibile ondata di critiche, grida di allarme, anatemi e isterie varie, da parte dei partiti esclusi dal tavolo e dai media mainstream, ancora monopolizzati da soggetti schierati con il governo uscente.
L’attesa spasmodica per il nome del premier scelto dai due leader dei diversi schieramenti, da indicare al Presidente della Repubblica per la nomina, ha scatenato scommesse e indovinelli, e preoccupa molto l’establishment europeo, che trovava nel PD il canale perfetto attraverso cui infiltrare il proprio potere di direzione e controllo nella politica italiana.
L’equilibrio “stabile” del governo decentrato di Francoforte sui nostri conti pubblici e – tramite questi – sull’intera nostra politica interna ed estera, si vede ora gravemente minacciato dal cambio di mano alla guida del Paese, che probabilmente vedrà al timone nei prossimi anni un governo “populista”, ovvero scelto dal popolo, che avrà come fondamento la volontà popolare degli Italiani (e non delle élite di potere estere) e come obiettivo la tutela degli interessi nazionali (e non di quelli tedeschi/francesi).
La reazione sui media dei commentatori e politologi di lungo corso è pressoché unanime nel condannare l’intero contenuto dell’accordo raggiunto, e si declina in maniera spesso goffa e scomposta, in taluni casi al limite del grottesco.
Gli argomenti più gettonati dal fronte non-populista (e quindi anti-cambiamento) sono, nell’ordine: la reazione dei “mercati”; lo “spread”; i “costi” insostenibili che “chissà chi pagherà”; l”Europa che dirà?”
Forse qualcuno dovrebbe spiegare agli illustri politici della prima e seconda Repubblica (perché per attaccare Di Maio e Salvini diventano oracoli anche soggetti fino a l’altro ieri impresentabili, coinvolti in molteplici scandali e processi spesso finiti con condanne anche gravi, o quantomeno “fuori tempo” perché inquadrabili in epoche politiche che ormai ci appaiono lontanissime) che i suddetti argomenti, oggi, NON FUNZIONANO più.
Dopo lo scherzetto del 2011 e quello che ne è seguito, infatti, gli elettori hanno capito alcune cose sui “mercati”, lo “spread” e il resto, che li hanno immunizzati dal virus del “fatepresto”, che fu allora tanto efficace a legittimare il governo tecnico di Mario Monti e compari, dando agli stessi l’alibi per compiere nel nostro Paese una vera e propria macelleria sociale, in pedissequa esecuzione della lista dei compiti spedita dalla BCE al nostro governo.
La teocrazia dei “mercati”, oggi, conta ormai fra i propri adepti solo i santoni che la divulgano ed i loro portaborse, ed ha dimostrato la propria capacità distruttiva non solo per il Paese reale, ma anche per i partiti che l’hanno praticata e continuano a difenderla, divenuti marginali sia nei numeri che nel peso politico.
Continuare a chiedere sacrifici umani per placare le possibili ire di divinità spietate e indefinite come “i mercati”, insomma, non ha un effetto granché positivo su chi legge o ascolta, e mi meraviglia sinceramente che ci si ostini ancora a farlo, con la veemenza di improbabili Savonarola.
L’allarme sullo spread che “schizza alle stelle” (fenomeno che nel mondo dei non-populisti pare accada curiosamente anche all’”inflazione”) viene snobbato dai cittadini con un’alzata di spalle, o perché questo spread in fondo non l’hanno mai visto, o perché – sapendo di cosa si tratta – sono consapevoli che per farlo salire veloce veloce, bastano un paio di telefonate fatte da chi conta davvero alle persone giuste, e per farlo ridiscendere basta una dichiarazione di Mario Draghi.
Risultano quindi quasi commoventi gli inutili e spericolati sforzi dei sopravvissuti alla falcidie del 4 marzo nel PD, e dei loro supporter, che attaccano il nascente governo chiamandolo “un pericolo per il Paese” dimenticandosi di aver prodotto, in questi 5 anni, effetti non proprio innocui, come l’aumento a livelli record della povertà assoluta, del precariato, dei fallimenti di imprese, dell’emigrazione, dell’immigrazione clandestina, delle acquisizioni delle nostre imprese storiche in mani estere, per non parlare dei fallimenti bancari con la “tosatura” dei risparmiatori, la creazione della figura (prima inedita) degli “esodati”, l’amputazione di organi vitali della sanità pubblica e lo svilimento della pubblica istruzione, l’affossamento della ricerca… mi fermo per non appesantire oltre l’animo di chi legge.
Dopo simili brillanti risultati (brillanti davvero, dal punto di vista dei soggetti che hanno assegnato al PD il compito di fare esattamente ciò che ha fatto), gli esponenti del governo uscente si meravigliano di aver perduto più della metà dei voti, e credono di recuperarne buona parte proponendo di ripetere le stesse ricette che ci hanno servito sin qui. Ebbene sì, lo pensano davvero: evidentemente il potere d’azione che hanno avuto senza essere ostacolati da nessuno ha bruciato loro i neuroni quanto un’overdose di ecstasy.
I cittadini italiani, che hanno la scorza dura e sono rimasti in piedi, ancora fieri e combattivi nonostante le botte prese, i diluvi di menzogne e gli stenti forzati dall’austerity, invece sono oggi più che mai vigili e lucidi, e finalmente sanno quello che vogliono, e soprattutto quello che NON VOGLIONO.
Gli Italiani non vogliono più essere l’ultima ruota del carro, né essere ingannati, umiliati, impoveriti, sacrificati su altari di alcun genere: vogliono vivere nel proprio Paese con l’orgoglio di farne parte e la possibilità di “farcela”.
Gli Italiani hanno osservato, aspettato, sperato e ascoltato; hanno sofferto, pianto, gridato di rabbia, protestato, ed alla fine hanno scoperto di essere stati traditi.
Non perdoneranno chi li ha traditi, specie coloro che davvero avevano creduto agli ideali della “sinistra” ed ai suoi sogni progressisti. Per questo, il 4 marzo, sono andati in massa alle urne (riducendo ai minimi l’astensione, che invece aveva trionfato alle scorse elezioni europee, quelle il cui il PD aveva ottenuto il 40%) e hanno scelto i partiti “antisistema”, infischiandosene delle etichette che i media avevano preparato per loro: “razzisti”, “fascisti”, “incapaci”, “ignoranti” e via dicendo.
Per tutta risposta, gli stessi politici sconfitti e gli stessi media allineati continuano ad etichettare quegli elettori come “sovranisti” e “populisti”, nemmeno accorgendosi che ormai, tali termini intenzionalmente denigratori, non solo non offendono più, ma anzi lusingano chi li riceve!
Così come è accaduto negli USA, dove il regista Oliver Stone ha efficacemente spiegato l’inaspettata elezione di Trump alla Presidenza, col fatto che “gli Americani non credono più ai media”, e nel Regno Unito, dove la doccia fredda della Brexit ha sciacquato via mesi e mesi di propaganda terroristica sui presunti effetti catastrofici del voto per il “leave”, anche in Italia i cittadini hanno imparato a decidere di testa loro, dando peso alla realtà dei fatti che sperimentano ogni giorno sulla propria pelle, invece che agli scenari teorici prospettati dai soliti colletti inamidati dei salotti televisivi.
Per questo, l’unico giudizio che conta sul governo che verrà, sarà quello dei cittadini italiani, e sarà un giudizio severo, critico e senza sconti, che guarderà ai risultati ed ai mezzi usati per raggiungerli.
Tentare di anticipare questo giudizio, o peggio ancora di esercitarlo in vece del Popolo, unico legittimato ad esprimerlo alla prova dei fatti, sarebbe un ulteriore, gravissimo errore, le cui conseguenze potrebbero essere davvero nefaste per chi si cimentasse in tale sfida.
Se un barlume di intelligenza alberga ancora nelle menti di chi occupa posti chiave nel nostro ordinamento, l’unico comportamento saggio che potrà scegliere sarà quello di lasciare spazio al nuovo governo e stare a guardare. Comunque vada, potrà solo guadagnarci.
Francesca Donato