Una delle questioni che vengono poste più di frequente dai cittadini italiani, riguardo alla rappresentatività dei nostri ultimi tre Presidenti del Consiglio, concerne la loro nomina da parte del Presidente della Repubblica fra soggetti sforniti del mandato elettorale, non essendo stati votati dai cittadini come candidati premier, nell’ambito del nostro sistema elettorale basato sul principio maggioritario – bipolare.
L’obiezione di chi vuole legittimare comunque la nomina degli stessi premier si richiama al dettato della nostra Costituzione, che all’art. 92, comma 2, non prevede alcun particolare requisito per la nomina del Presidente del Consiglio da parte del Capo dello Stato, il quale per essere confermato tale deve soltanto ottenere la fiducia delle Camere ai sensi dell’art. 94.
Per comprendere appieno i temini della questione occorre però soffermarsi con maggiore attenzione sull’analisi del dettato normativo, in quanto le scarne disposizioni costituzionali in materia sono da leggersi unitamente alla L. 23 agosto 1988 n. 400, che le integra, avendo la stessa fornito una disciplina organica della struttura e dei compiti spettanti al Governo, ed unitamente altresì all’adozione – nel nostro ordinamento – del sistema elettorale maggioritario, che ha portato all’instaurarsi anche nel nostro Paese del bipolarismo (o bipartitismo allargato), attribuendo una supremazia al Capo del Governo sul Gabinetto e sui singoli ministeri prima assente, la quale dovrebbe derivargli proprio dalla “forza politica” ottenuta grazie all’investitura del voto popolare.
Il sistema maggioritario, difatti, è in uso – tranne che nel nostro Paese – in sistemi elettorali di tipo presidenziale o semi-presidenziale, nei quali cioè il Presidente viene eletto direttamente dai cittadini, dopo essere stato individuato – nel sistema statunitense – come candidato premier nell’ambito dei rispettivi partiti di appartenenza contrapposti nella competizione elettorale attraverso le “primarie”.
Gli ampi poteri attribuiti dunque al capo dello Stato/ Capo del Governo in questi sistemi presidenziali si giustificano, pertanto, proprio grazie al voto popolare che sceglie direttamente il premier, che concentra su di sè i poteri che nel nostro ordinamento sono invece diversamente ripartiti fra il Presidente del Consiglio ed il Presidente della Repubblica.
È evidente, dunque, come l’applicazione del sistema maggioritario-bipolare attualmente disgiunta dall’elezione diretta del premier, dia luogo ad un’incongruenza tutta italiana, che va ad incidere negativamente e pesantemente sull’effettiva rappresentatività e legittimazione democratica del Presidente del Consiglio da noi eletto in base al regime vigente.
Gli esempi più significativi di sistema di governo maggioritario-bipolare, pur con le rispettive differenziazioni, si rinvengono negli ordinamenti francese, britannico e statunitense.
Nel sistema elettorale francese, il premier è il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo a partire dal 1962, il quale gode di un’influenza sulle vicende nazionali notevolmente superiore a quella degli altri capi di stato in Europa occidentale, soprattutto nel caso in cui la maggioranza dell’Assemblea nazionale sia espressa dal suo partito.
Di conseguenza, il presidente è la figura preminente del sistema politico francese. Egli nomina il primo ministro e, anche se non può dimetterlo de iure, se il primo ministro è della sua fazione politica, può in pratica farlo rinunciare su richiesta. Nomina inoltre i ministri, i viceministri e i segretari. Quando il partito o i sostenitori del presidente controllano il Parlamento, il presidente è il giocatore dominante nell’azione esecutiva, scegliendo chiunque desidera per il Governo, e facendogli seguire la sua agenda politica. Quando invece gli oppositori politici del presidente controllano il Parlamento, il predominio del presidente può essere severamente limitato, poiché deve scegliere un primo ministro e un Gabinetto che riflettano la maggioranza parlamentare, e che seguiranno l’agenda della maggioranza. Quando la Presidenza e il Parlamento sono espressione di partiti di diversi schieramenti, l’intesa nella divisione del potere è conosciuta come coabitazione.
Il Regno Unito, invece, è una monarchia parlamentare “di fatto”, poiché non esiste una costituzione scritta e solo il Bill of Rights del 1689 stabilisce la sovranità parlamentare sul monarca. Tuttavia, benché in linea teorica il sovrano possa nominare Primo ministro qualsiasi cittadino britannico, la convenzione non scritta vuole che si tratti del leader del partito che vince le elezioni.
Il Parlamento è composto da due rami: una Camera dei Lord formata da membri per diritto ereditario e membri nominati, che svolge una funzione di emendamento e veto sulle leggi approvate dall’altro ramo, e la Camera dei Comuni, che è il vero fulcro della democrazia inglese.
Infine, vi è il modello presidenziale statunitense, contraddistinto dalla natura federale dello Stato, nel quale il Presidente gode di amplissimi poteri grazie al voto popolare, il quale avviene però attraverso modalità molto complesse.
Il primo passo è costituito dalle elezioni primarie che i due soli partiti presenti nel sistema, Democratici e i Repubblicani, tengono nei vari Stati del Paese. Le primarie possono svolgersi in due modi diversi, il primo è quello del “Caucus” dove la scelta del candidato avviene per mano di un’assemblea dei rappresentanti locali del partito; il secondo invece è quello di una consultazione popolare che può essere “aperta” quando un elettore può scegliere tra tutti i candidati presentati dalle diverse formazioni, oppure “chiusa” dove al contrario è consentito esprimere la preferenza solo per gli esponenti del partito per cui si risulta registrati. I candidati che nel corso delle primarie hanno conquistato la maggioranza assoluta dei delegati ricevono la nomination a concorrere per la Casa Bianca dalle rispettive Conventions, nel corso delle quali viene ufficializzata anche la designazione del vice – Presidente che formerà il “ticket” per la campagna elettorale e che, secondo la Costituzione, non deve provenire dallo stesso Stato di origine dell’aspirante alla presidenza. Successivamente, i due candidati provvedono a designare le persone che andranno a ricoprire l’incarico di Elettore presidenziale, scelte nei diversi Stati attraverso diverse procedure. La campagna entra così nella fase decisiva che culminerà nel voto di Novembre. Nel primo martedì che segue il primo lunedì del mese di Novembre è fissato ex lege il giorno in cui tenere le elezioni presidenziali. Il Presidente è eletto in maniera indiretta da un collegio di 538 “Grandi Elettori” in rappresentanza dei 50 Stati dell’Unione e del District of Columbia (D.C.), territorio dove è situata la capitale federale Washington, che dispongono di una quota di Elettori pari a quella dei senatori e dei deputati che ognuno di essi elegge al Congresso.
Simile più a 50 distinte votazioni che non ad un’unica consultazione a livello nazionale, il sistema presenta innumerevoli particolarità e può dar luogo a delle notevoli distorsioni tra il voto popolare e quello del Collegio Elettorale, portando all’elezione di Presidenti eletti con un numero di voti inferiore a quelli del rivale. L’ultimo caso di questo genere si è avuto nel 2000, quando il candidato Democratico e vice – Presidente in carica Al Gore sopravanzò il Repubblicano George W. Bush di oltre 500.000 voti, conquistando però 267 “Grandi Elettori” contro i 271 del rivale.
Qualora invece nessuno dei candidati ottenga la maggioranza all’interno del Collegio Elettorale, è previsto che l’elezione del Presidente spetti alla Camera dei Rappresentanti e quella del vice – Presidente al Senato, una situazione questa accaduta due volte ma in epoca ormai remota.
Tornando al sistema italiano, lo spirito del Costituente si muoveva nell’ottica di evitare rigurgiti autoritaristici quali quelli che portarono al colpo di Stato fascista, pertanto le norme degli artt. 92-96 Cost. hanno evidenziato l’importanza della collegialità e del riparto delle funzioni nell’ambito del Governo della Repubblica stabilendo i tre momenti chiave dell’attività dell’esecutivo, consistenti: nella collegialità dell’indirizzo politico del Governo, attribuito al Consiglio dei Ministri; nei poteri di direzione e contenimento del Presidente del Consiglio e nell’autonomia decisionale e responsabilità individuale dei singoli Ministri.
Non era, dunque, nelle intenzioni del Costituente e della legge 400/88 concentrare nella persona del Presidente del Consiglio l’autonomia e totale direzione dell’indirizzo politico, tanto che questi veniva definito, nei confronti dei ministri, quale primus inter pares (riconoscendogli cioè uno status di pari grado rispetto ai singoli ministri).
Oggi invece, l’attività del Governo ha perso la caratteristica di direzione plurima dissociata dei singoli Ministri, essendo venuto meno il principio di unitarietà e collegialità dell’organo esecutivo, affermandosi il principio della supremazia del Capo del Governo sul Gabinetto e sui singoli Ministri conseguente alla forza politica derivatagli dall’investitura popolare, ottenuta tramite il sistema elettorale maggioritario sul modello misto britannico-statunitense. In parole povere, benché la Costituzione non lo richieda, la prassi instauratasi a partire dall’introduzione del maggioritario in Italia, ha visto il Capo dello Stato dare l’incarico di formare il governo al leader del partito che aveva ottenuto la maggioranza alle elezioni, eletto quale parlamentare nel proprio schieramento grazie alla posizione n. 1 nella lista (bloccata) del partito di appartenenza.
Addirittura, nelle ultime tornate elettorali, il Partito Democratico ha scelto – ponendo grande enfasi sull’aspetto democratico di tale opzione – di svolgere le “primarie” del partito per far scegliere ai propri elettori il candidato premier. Ciò era avvenuto anche in occasione delle elezioni tenutesi nel febbraio 2013, in cui il vincitore delle primarie del PD fu L’On.le Bersani.
A dispetto di ciò, visto l’insuccesso del suddetto leader nell’ottenere la fiducia delle Camere per la formazione del Governo, il Presidente Napolitano ha ritenuto di conferire l’incarico ad Enrico Letta, divenuto Presidente del Consiglio fino alla scorsa primavera, quando con un meccanismo inedito nella nostra storia repubblicana ha visto la sostituzione dello stesso da parte dell’allora Sindaco di Firenze, da poco nominato segretario del PD al posto dello stesso Bersani, Matteo Renzi.
Ma ancora prima, in maniera più eclatante, la prassi e financo la normativa costituzionale di nomina del Presidente del Consiglio sono state brutalmente sovvertite con la nomina, nel novembre 2011, del neo-senatore a vita Prof. Mario Monti (fresco di nomina da parte del P.D.R. pochissimi giorni prima), il quale non era mai stato nemmeno candidato né iscritto ad alcun partito politico. Fatto ancor più straordinario in quanto avvenuto a seguito delle dimissioni rassegnate dal precedente premier Silvio Berlusconi (in assenza, quindi, di una formale sfiducia), senza l’indizione di nuove elezioni.
L’attuale Presidente del Consiglio non ha dunque – come il predecessore Monti – ricevuto alcun mandato parlamentare dagli elettori, non essendo mai stato nemmeno candidato alle elezioni politiche, ed è stato nominato dal Capo dello Stato a seguito delle dimissioni del precedente premier, senza indire nuove elezioni.
Ebbene, l’attuale Presidente del Consiglio concentra di fatto su di sè il potere esecutivo senza alcuna forma di reale coordinazione con i singoli ministri, i quali – ad eccezione del Ministro per l’economia – sono figure chiaramente subalterne allo stesso, scelte non a caso fra soggetti per lo più provenienti dalla cerchia politica locale e/o personale dell’ex Sindaco di Firenze.
Inoltre – tramite il suddetto meccanismo e l’anomala alleanza col nuovo partito (NCD) creatosi dalla scissione del PDL, l’ex partito antagonista che deteneva la maggioranza di Governo, ed il ricorso sistematico allo strumento del decreto-legge anche palesemente al di fuori dei casi di necessità ed urgenza espressamente previsti dalla Costituzione per la legittimità dello stesso – il premier Renzi accentra su di sè anche un’ampia quota di potere legislativo, in spregio del fondamentale principio di divisione dei poteri fondante il nostro Ordinamento, che riserva tale potere alle Camere ed alle Regioni – nei rispettivi ambiti di competenza – consentendone l’esercizio al Governo solo in via residuale, eccezionale e delimitata dall’approvazione dei decreti legge da parte del Parlamento. Anche quest’ultimo limite, peraltro, è stato di fatto rimosso tramite il continuo ricorso al voto di fiducia, in sede di ratifica dei D.L. da parte delle Camere, che ha totalmente svuotato di ogni rilevanza e significato il ruolo dell’opposizione nel processo parlamentare di formazione delle leggi.
Ora, negare che il sistema sopra descritto configuri un’evidente e grave alterazione dei principi fondamentali del nostro Ordinamento Repubblicano e democratico, è atteggiamento ascrivibile unicamente a profonda ignoranza del nostro sistema politico, del nostro impianto costituzionale e della natura stessa della democrazia, oppure – spesso, ritengo – frutto di convenienza politica congiunta a preoccupante malafede.
Mi auguro profondamente che quello in carica sia l’ultimo Governo non legittimato democraticamente dal voto dei cittadini italiani, perché se così non fosse, potremmo tranquillamente prendere atto di trovarci imprigionati in un sistema sovversivo della forma repubblicana, i cui artefici dovranno ritenersi gravemente responsabili del tradimento dei principi fondamentali della nostra Costituzione, con tutte le conseguenze dalla stessa e dal nostro Codice penale previsti e cogenti.
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IL PREMIER NON ELETTO E LO SVUOTAMENTO DELLA DEMOCRAZIA
Una delle questioni che vengono poste più di frequente dai cittadini italiani, riguardo alla rappresentatività dei nostri ultimi tre Presidenti del Consiglio, concerne la loro nomina da parte del Presidente della Repubblica fra soggetti sforniti del mandato elettorale, non essendo stati votati dai cittadini come candidati premier, nell’ambito del nostro sistema elettorale basato sul principio maggioritario – bipolare.
L’obiezione di chi vuole legittimare comunque la nomina degli stessi premier si richiama al dettato della nostra Costituzione, che all’art. 92, comma 2, non prevede alcun particolare requisito per la nomina del Presidente del Consiglio da parte del Capo dello Stato, il quale per essere confermato tale deve soltanto ottenere la fiducia delle Camere ai sensi dell’art. 94.
Per comprendere appieno i temini della questione occorre però soffermarsi con maggiore attenzione sull’analisi del dettato normativo, in quanto le scarne disposizioni costituzionali in materia sono da leggersi unitamente alla L. 23 agosto 1988 n. 400, che le integra, avendo la stessa fornito una disciplina organica della struttura e dei compiti spettanti al Governo, ed unitamente altresì all’adozione – nel nostro ordinamento – del sistema elettorale maggioritario, che ha portato all’instaurarsi anche nel nostro Paese del bipolarismo (o bipartitismo allargato), attribuendo una supremazia al Capo del Governo sul Gabinetto e sui singoli ministeri prima assente, la quale dovrebbe derivargli proprio dalla “forza politica” ottenuta grazie all’investitura del voto popolare.
Il sistema maggioritario, difatti, è in uso – tranne che nel nostro Paese – in sistemi elettorali di tipo presidenziale o semi-presidenziale, nei quali cioè il Presidente viene eletto direttamente dai cittadini, dopo essere stato individuato – nel sistema statunitense – come candidato premier nell’ambito dei rispettivi partiti di appartenenza contrapposti nella competizione elettorale attraverso le “primarie”.
Gli ampi poteri attribuiti dunque al capo dello Stato/ Capo del Governo in questi sistemi presidenziali si giustificano, pertanto, proprio grazie al voto popolare che sceglie direttamente il premier, che concentra su di sè i poteri che nel nostro ordinamento sono invece diversamente ripartiti fra il Presidente del Consiglio ed il Presidente della Repubblica.
È evidente, dunque, come l’applicazione del sistema maggioritario-bipolare attualmente disgiunta dall’elezione diretta del premier, dia luogo ad un’incongruenza tutta italiana, che va ad incidere negativamente e pesantemente sull’effettiva rappresentatività e legittimazione democratica del Presidente del Consiglio da noi eletto in base al regime vigente.
Gli esempi più significativi di sistema di governo maggioritario-bipolare, pur con le rispettive differenziazioni, si rinvengono negli ordinamenti francese, britannico e statunitense.
Nel sistema elettorale francese, il premier è il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo a partire dal 1962, il quale gode di un’influenza sulle vicende nazionali notevolmente superiore a quella degli altri capi di stato in Europa occidentale, soprattutto nel caso in cui la maggioranza dell’Assemblea nazionale sia espressa dal suo partito.
Di conseguenza, il presidente è la figura preminente del sistema politico francese. Egli nomina il primo ministro e, anche se non può dimetterlo de iure, se il primo ministro è della sua fazione politica, può in pratica farlo rinunciare su richiesta. Nomina inoltre i ministri, i viceministri e i segretari. Quando il partito o i sostenitori del presidente controllano il Parlamento, il presidente è il giocatore dominante nell’azione esecutiva, scegliendo chiunque desidera per il Governo, e facendogli seguire la sua agenda politica. Quando invece gli oppositori politici del presidente controllano il Parlamento, il predominio del presidente può essere severamente limitato, poiché deve scegliere un primo ministro e un Gabinetto che riflettano la maggioranza parlamentare, e che seguiranno l’agenda della maggioranza. Quando la Presidenza e il Parlamento sono espressione di partiti di diversi schieramenti, l’intesa nella divisione del potere è conosciuta come coabitazione.
Il Regno Unito, invece, è una monarchia parlamentare “di fatto”, poiché non esiste una costituzione scritta e solo il Bill of Rights del 1689 stabilisce la sovranità parlamentare sul monarca. Tuttavia, benché in linea teorica il sovrano possa nominare Primo ministro qualsiasi cittadino britannico, la convenzione non scritta vuole che si tratti del leader del partito che vince le elezioni.
Il Parlamento è composto da due rami: una Camera dei Lord formata da membri per diritto ereditario e membri nominati, che svolge una funzione di emendamento e veto sulle leggi approvate dall’altro ramo, e la Camera dei Comuni, che è il vero fulcro della democrazia inglese.
Infine, vi è il modello presidenziale statunitense, contraddistinto dalla natura federale dello Stato, nel quale il Presidente gode di amplissimi poteri grazie al voto popolare, il quale avviene però attraverso modalità molto complesse.
Il primo passo è costituito dalle elezioni primarie che i due soli partiti presenti nel sistema, Democratici e i Repubblicani, tengono nei vari Stati del Paese. Le primarie possono svolgersi in due modi diversi, il primo è quello del “Caucus” dove la scelta del candidato avviene per mano di un’assemblea dei rappresentanti locali del partito; il secondo invece è quello di una consultazione popolare che può essere “aperta” quando un elettore può scegliere tra tutti i candidati presentati dalle diverse formazioni, oppure “chiusa” dove al contrario è consentito esprimere la preferenza solo per gli esponenti del partito per cui si risulta registrati. I candidati che nel corso delle primarie hanno conquistato la maggioranza assoluta dei delegati ricevono la nomination a concorrere per la Casa Bianca dalle rispettive Conventions, nel corso delle quali viene ufficializzata anche la designazione del vice – Presidente che formerà il “ticket” per la campagna elettorale e che, secondo la Costituzione, non deve provenire dallo stesso Stato di origine dell’aspirante alla presidenza. Successivamente, i due candidati provvedono a designare le persone che andranno a ricoprire l’incarico di Elettore presidenziale, scelte nei diversi Stati attraverso diverse procedure. La campagna entra così nella fase decisiva che culminerà nel voto di Novembre. Nel primo martedì che segue il primo lunedì del mese di Novembre è fissato ex lege il giorno in cui tenere le elezioni presidenziali. Il Presidente è eletto in maniera indiretta da un collegio di 538 “Grandi Elettori” in rappresentanza dei 50 Stati dell’Unione e del District of Columbia (D.C.), territorio dove è situata la capitale federale Washington, che dispongono di una quota di Elettori pari a quella dei senatori e dei deputati che ognuno di essi elegge al Congresso.
Simile più a 50 distinte votazioni che non ad un’unica consultazione a livello nazionale, il sistema presenta innumerevoli particolarità e può dar luogo a delle notevoli distorsioni tra il voto popolare e quello del Collegio Elettorale, portando all’elezione di Presidenti eletti con un numero di voti inferiore a quelli del rivale. L’ultimo caso di questo genere si è avuto nel 2000, quando il candidato Democratico e vice – Presidente in carica Al Gore sopravanzò il Repubblicano George W. Bush di oltre 500.000 voti, conquistando però 267 “Grandi Elettori” contro i 271 del rivale.
Qualora invece nessuno dei candidati ottenga la maggioranza all’interno del Collegio Elettorale, è previsto che l’elezione del Presidente spetti alla Camera dei Rappresentanti e quella del vice – Presidente al Senato, una situazione questa accaduta due volte ma in epoca ormai remota.
Tornando al sistema italiano, lo spirito del Costituente si muoveva nell’ottica di evitare rigurgiti autoritaristici quali quelli che portarono al colpo di Stato fascista, pertanto le norme degli artt. 92-96 Cost. hanno evidenziato l’importanza della collegialità e del riparto delle funzioni nell’ambito del Governo della Repubblica stabilendo i tre momenti chiave dell’attività dell’esecutivo, consistenti: nella collegialità dell’indirizzo politico del Governo, attribuito al Consiglio dei Ministri; nei poteri di direzione e contenimento del Presidente del Consiglio e nell’autonomia decisionale e responsabilità individuale dei singoli Ministri.
Non era, dunque, nelle intenzioni del Costituente e della legge 400/88 concentrare nella persona del Presidente del Consiglio l’autonomia e totale direzione dell’indirizzo politico, tanto che questi veniva definito, nei confronti dei ministri, quale primus inter pares (riconoscendogli cioè uno status di pari grado rispetto ai singoli ministri).
Oggi invece, l’attività del Governo ha perso la caratteristica di direzione plurima dissociata dei singoli Ministri, essendo venuto meno il principio di unitarietà e collegialità dell’organo esecutivo, affermandosi il principio della supremazia del Capo del Governo sul Gabinetto e sui singoli Ministri conseguente alla forza politica derivatagli dall’investitura popolare, ottenuta tramite il sistema elettorale maggioritario sul modello misto britannico-statunitense. In parole povere, benché la Costituzione non lo richieda, la prassi instauratasi a partire dall’introduzione del maggioritario in Italia, ha visto il Capo dello Stato dare l’incarico di formare il governo al leader del partito che aveva ottenuto la maggioranza alle elezioni, eletto quale parlamentare nel proprio schieramento grazie alla posizione n. 1 nella lista (bloccata) del partito di appartenenza.
Addirittura, nelle ultime tornate elettorali, il Partito Democratico ha scelto – ponendo grande enfasi sull’aspetto democratico di tale opzione – di svolgere le “primarie” del partito per far scegliere ai propri elettori il candidato premier. Ciò era avvenuto anche in occasione delle elezioni tenutesi nel febbraio 2013, in cui il vincitore delle primarie del PD fu L’On.le Bersani.
A dispetto di ciò, visto l’insuccesso del suddetto leader nell’ottenere la fiducia delle Camere per la formazione del Governo, il Presidente Napolitano ha ritenuto di conferire l’incarico ad Enrico Letta, divenuto Presidente del Consiglio fino alla scorsa primavera, quando con un meccanismo inedito nella nostra storia repubblicana ha visto la sostituzione dello stesso da parte dell’allora Sindaco di Firenze, da poco nominato segretario del PD al posto dello stesso Bersani, Matteo Renzi.
Ma ancora prima, in maniera più eclatante, la prassi e financo la normativa costituzionale di nomina del Presidente del Consiglio sono state brutalmente sovvertite con la nomina, nel novembre 2011, del neo-senatore a vita Prof. Mario Monti (fresco di nomina da parte del P.D.R. pochissimi giorni prima), il quale non era mai stato nemmeno candidato né iscritto ad alcun partito politico. Fatto ancor più straordinario in quanto avvenuto a seguito delle dimissioni rassegnate dal precedente premier Silvio Berlusconi (in assenza, quindi, di una formale sfiducia), senza l’indizione di nuove elezioni.
L’attuale Presidente del Consiglio non ha dunque – come il predecessore Monti – ricevuto alcun mandato parlamentare dagli elettori, non essendo mai stato nemmeno candidato alle elezioni politiche, ed è stato nominato dal Capo dello Stato a seguito delle dimissioni del precedente premier, senza indire nuove elezioni.
Ebbene, l’attuale Presidente del Consiglio concentra di fatto su di sè il potere esecutivo senza alcuna forma di reale coordinazione con i singoli ministri, i quali – ad eccezione del Ministro per l’economia – sono figure chiaramente subalterne allo stesso, scelte non a caso fra soggetti per lo più provenienti dalla cerchia politica locale e/o personale dell’ex Sindaco di Firenze.
Inoltre – tramite il suddetto meccanismo e l’anomala alleanza col nuovo partito (NCD) creatosi dalla scissione del PDL, l’ex partito antagonista che deteneva la maggioranza di Governo, ed il ricorso sistematico allo strumento del decreto-legge anche palesemente al di fuori dei casi di necessità ed urgenza espressamente previsti dalla Costituzione per la legittimità dello stesso – il premier Renzi accentra su di sè anche un’ampia quota di potere legislativo, in spregio del fondamentale principio di divisione dei poteri fondante il nostro Ordinamento, che riserva tale potere alle Camere ed alle Regioni – nei rispettivi ambiti di competenza – consentendone l’esercizio al Governo solo in via residuale, eccezionale e delimitata dall’approvazione dei decreti legge da parte del Parlamento. Anche quest’ultimo limite, peraltro, è stato di fatto rimosso tramite il continuo ricorso al voto di fiducia, in sede di ratifica dei D.L. da parte delle Camere, che ha totalmente svuotato di ogni rilevanza e significato il ruolo dell’opposizione nel processo parlamentare di formazione delle leggi.
Ora, negare che il sistema sopra descritto configuri un’evidente e grave alterazione dei principi fondamentali del nostro Ordinamento Repubblicano e democratico, è atteggiamento ascrivibile unicamente a profonda ignoranza del nostro sistema politico, del nostro impianto costituzionale e della natura stessa della democrazia, oppure – spesso, ritengo – frutto di convenienza politica congiunta a preoccupante malafede.
Mi auguro profondamente che quello in carica sia l’ultimo Governo non legittimato democraticamente dal voto dei cittadini italiani, perché se così non fosse, potremmo tranquillamente prendere atto di trovarci imprigionati in un sistema sovversivo della forma repubblicana, i cui artefici dovranno ritenersi gravemente responsabili del tradimento dei principi fondamentali della nostra Costituzione, con tutte le conseguenze dalla stessa e dal nostro Codice penale previsti e cogenti.
Francesca Donato
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