Sono trascorse più o meno serene per gli Italiani le giornate di festa tra Natale e l’Epifania: dopo la corsa agli acquisti dei “pensierini” da mettere sotto l’albero e le consolatorie mangiate in famiglia, la tradizionale cornice di botti e girandole che ha accompagnato la fine anche di quest’anno e le calze della befana, siamo di nuovo al lavoro, immersi nei problemi della quotidianità e spesso troppo presi dagli stessi per realizzare la portata degli eventi che si avvicendano a livello politico ed istituzionale.
Vale la pena, a mio avviso, tirare oggi le somme di quanto accaduto nell’ultimo anno, per chi non ci avesse fatto troppo caso.
A ridosso del Natale si è verificato un evento del tutto anomalo, in quanto senza precedenti, nell’ambito delle nostre Istituzioni: la rimozione di una legge già approvata dalla Camera, da parte del Capo dello Stato.
Il cosiddetto “decreto salva Roma” aveva infatti già ottenuto l’approvazione del primo dei due rami del nostro Parlamento, l’organo istituzionalmente investito del potere legislativo. Ma poiché in tale sede esso aveva subito numerose modifiche a causa di vari emendamenti apportati da diversi gruppi parlamentari, il suo contenuto non era più “conforme” a quanto indicato dal Presidente Napolitano all’esecutore governativo Letta, ma – a suo dire – “snaturato” rispetto alla sua formulazione originaria. Per tale ragione il Presidente della Repubblica ha prontamente chiamato a rapporto il suo luogotenente e gli ha semplicemente ordinato di “ritirare” il decreto, non presentandolo al Senato per la successiva approvazione. Il presidente del Consiglio ha immediatamente obbedito, ed ha “rinunciato” al decreto, buttando a mare con esso tutti gli emendamenti inseritivi ad opera del Parlamento.
Poi, per portare a termine l’originario compito, ha infilato i contenuti del decreto originario nel cosiddetto “milleproproghe” e l’ha sfornato in un baleno, bello e dorato come piaceva al Colle. Con buona pace della separazione dei poteri e della Repubblica parlamentare.
Ormai siamo così abituati alle anomalie istituzionali, nella nostra politica, che non ci facciamo nemmeno più caso.
Dal 2011, infatti, non abbiamo più avuto un Presidente del Consiglio eletto dai cittadini, ma due Presidenti nominati da Napolitano, il primo dei quali ha preso il posto del Presidente allora in carica, che ha dovuto dimettersi per compiacere i “mercati”, benché non sfiduciato dal Parlamento. Già questo soltanto basterebbe per far scatenare una rivolta in un Paese democratico normale, ma da noi no, ed è stato solo l’inizio.
L’ultimo Governo è stato costituito su indicazione di un Presidente della Repubblica rieletto per la seconda volta nonostante l’età molto avanzata: unico caso in sessant’anni di storia della nostra Repubblica. Questi ha inoltre deferito il potere di predisporre le leggi che detto Governo avrebbe dovuto far approvare ad un inedito consiglio di “Saggi”, organo del tutto inesistente nella Costituzione, ma creato ad hoc dal Colle, alla bisogna. E per garantire la “stabilità” del Governo così creato, Napolitano ha provveduto a rimpolpare le fila dei “fedelissimi” nominando in un sol colpo ben quattro nuovi senatori a vita, dopo aver nominato già nel 2011 a Senatore Monti, per poi incaricarlo di formare il governo.
Quasi ogni giorno, ormai, il Presidente-Faraone Napolitano dà le proprie provvidenziali istruzioni di governo al buon Letta, che si scapicolla ad eseguire con diligenza e tempestività da primo della classe. E sia lui che Monti, si sa, vanno molto fieri di aver fatto bene “i compiti a casa”.
L’ episodio sopra citato, dunque, non sarà certamente l’ultimo atto di imperio del solerte Presidente della nostra Repubblica: attendiamo a breve l’autoincoronazione, prassi già peraltro inaugurata da Napoleone, che con Napolitano ha in comune, guarda caso, diverse consonanti.
Battute a parte, la situazione creatasi a livello politico-istituzionale nel nostro Paese, dovrebbe creare serie preoccupazioni.
Siamo in presenza di un progressivo e crescente esautoramento dei poteri conferiti dalla Costituzione ai vari organi dello Stato e di deleghe della sovranità nazionale – che in base all’art. 1 della Carta appartiene al Popolo e solo al Popolo italiano – ad organismi sovranazionali non eletti ed immuni da ogni controllo.
Il Parlamento è spogliato delle sue prerogative ed è prossimo ad un ridimensionamento strutturale che ne dimezzerà i poteri e le funzioni di controllo sugli atti legislativi, lasciando sempre più potere al Governo. E poiché il Governo non ha più bisogno di essere guidato da persone scelte dal popolo con elezioni democratiche, ma viene nominato dal Colle fra i membri della lobby finanziario-bancaria internazionale, in sostanza non siamo più né in una Repubblica, né in una democrazia.
Siamo praticamente in un regno simile a quello degli Zar della Russia pre-sovietica, in cui ai legami di parentela viene sostituita l’appartenenza al club dei superbanchieri e dei loro consulenti.
Il capitalismo nella sua più pura essenza governa l’Italia e l’Europa.
La logica del profitto portata all’esasperazione ha dato vita ai prodotti finanziari derivati, che circolano nel sistema finanziario mondiale in entità inimmaginabili, relegando le cifre dell’economia reale ad un ruolo marginale.
Il flusso incontrollato dei capitali finanziari fra i vari Paesi, reso possibile dalla globalizzazione e dall’avvento di Internet, ha sconquassato gli equilibri economici creatisi nei decenni seguenti alla seconda guerra mondiale, dando origine alla crisi mondiale deflagrata nel 2008 e ancora da noi non assorbita, a causa del vincolo di fissità del cambio ed alla privazione degli strumenti economici necessari a fronteggiarla.
L’esigenza delle banche internazionali, in crisi per la propria imprudente avidità di maxiprofitti immediati, di ripianare le proprie perdite, ha trovato nei patrimoni dei Paesi europei un tempo solidi, come l’Italia, il Portogallo, la Francia e la Spagna, il bottino facile da cui prelevare i fondi necessari. Grazie ai governi nominati su indicazione delle stesse banche ed alle agende di governo dalle stesse dettate, la pressione fiscale impietosa e indiscriminata, oltre ai tagli ai servizi pubblici, le privatizzazione ed le vendite di beni pubblici, sono diventare strumento di depredazione delle ricchezze disponibili, previa instillazione nelle menti dei cittadini di un opportuno “senso di colpa” che potesse giustificare la “purga” imposta.
La propaganda di sistema è riuscita a convincere quasi tutti che la crisi è colpa nostra, perché “abbiamo speso troppo”, perché “siamo corrotti ed evasori” e perché i nostri politici sono incompetenti. Così abbiamo accettato senza protestare il “vincolo esterno”, il “ce lo chiede l’Europa” e ci siamo lasciati manovrare come degli imbecilli.
Tutti gli oppositori politici a questo progetto di “sacco dell’Italia” sono stati eliminati dalla scena politica grazie a campagne mediatiche di distruzione della loro immagine pubblica e sostituiti da figure compiacenti con i poteri sopraordinati, presentate come “rispettabili”, “credibili” e “serie”.
Chi ha sollevato critiche a tale sistema di governo o ha proposto modalità alternative di gestione della crisi è stato ridicolizzato o tacciato di “populismo”, quando non addirittura accusato di fascismo o antisemitismo.
Ma soprattutto si è riusciti per lungo tempo a “distrarre” gli Italiani dai problemi reali, attirando la loro attenzione su vicende di cronaca, su eventi sportivi, o su scandali veri o presunti, grazie alla collaborazione dei principali organi di informazione.
Vengono tuttora tenute nascoste le numerosissime proteste in corso negli altri Paesi europei, contro la Troika e l’UE, così come non si parla della tragica situazione della Grecia, precipitata nella povertà più nera, o dello sviluppo dell’Islanda, che si è ripresa dopo il default catastrofico subìto proprio a causa dello strozzinaggio bancario internazionale, grazie alla ritrovata autonomia economica e politica.
In questo quadro, sono arrivate a sorpresa le improvvise dimissioni irrevocabili del viceministro dell’economia Stefano Fassina, il quale ha approfittato di un’infelicissima battuta sul suo conto del neosegretario Renzi per sottrarsi alla responsabilità – ormai per lui insostenibile – di perseverare nel portare avanti un’agenda di governo irrazionale e, a suo stesso dire, dannosa per l’economia italiana.
Fassina aveva più volte manifestato il suo dissenso rispetto alle linee guida dell’agenda Letta, anche se in sedi molto riservate, ma negli ultimi giorni aveva rilasciato alcune interviste in cui per la prima volta esternava apertamente le sue critiche radicali alle proposte di Renzi ed alla struttura dell’Eurozona, proponendo sorprendentemente l’adozione di un “piano B”, ovvero di un ritorno alla sovranità italiana, per sfuggire alla morsa stritolatrice dei Trattati europei, nel caso di rifiuto della UE a cambiare drasticamente rotta.
Anche su tale fatto i media mainstream hanno prontamente messo in opera un’azione di “depistaggio”, tentando di far passare le dimissioni del viceministro come una reazione impulsiva di stizza dovuta ad un mero contrasto caratteriale fra questi e Renzi, o parlando di “beghe interne di partito”.
La verità è che le dimissioni di Fassina e la richiesta di rimpasto di governo denunciano l’insostenibilità di un governo ormai privo del sostegno necessario non solo nella maggior parte della base dello stesso PD e dell’ex PDL, ma nella stessa compagine ministeriale.
È appena iniziato un 2014 ricco di incognite e speranze per i cittadini italiani che verranno, purtroppo, nuovamente deluse.
Il mio augurio agli Italiani per l’anno appena iniziato, dunque, è quello di capire, di vedere finalmente quello che è successo e continua a succedere, e smettere di lasciarsi distrarre ed incantare da sirene che ripetono incessantemente, da troppo tempo, le stesse suadenti litanie.
Soltanto una presa di coscienza profonda e collettiva potrà far comprendere ai nostri concittadini l’urgenza di fermare il saccheggio che stiamo subendo, prima che ci sia tolto proprio tutto e non ci rimanga più né la forza per riprenderci, né la speranza di riavere la nostra libertà.
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IL SACCO DELLA REPUBBLICA – post del 7.01.2014
Sono trascorse più o meno serene per gli Italiani le giornate di festa tra Natale e l’Epifania: dopo la corsa agli acquisti dei “pensierini” da mettere sotto l’albero e le consolatorie mangiate in famiglia, la tradizionale cornice di botti e girandole che ha accompagnato la fine anche di quest’anno e le calze della befana, siamo di nuovo al lavoro, immersi nei problemi della quotidianità e spesso troppo presi dagli stessi per realizzare la portata degli eventi che si avvicendano a livello politico ed istituzionale.
Vale la pena, a mio avviso, tirare oggi le somme di quanto accaduto nell’ultimo anno, per chi non ci avesse fatto troppo caso.
A ridosso del Natale si è verificato un evento del tutto anomalo, in quanto senza precedenti, nell’ambito delle nostre Istituzioni: la rimozione di una legge già approvata dalla Camera, da parte del Capo dello Stato.
Il cosiddetto “decreto salva Roma” aveva infatti già ottenuto l’approvazione del primo dei due rami del nostro Parlamento, l’organo istituzionalmente investito del potere legislativo. Ma poiché in tale sede esso aveva subito numerose modifiche a causa di vari emendamenti apportati da diversi gruppi parlamentari, il suo contenuto non era più “conforme” a quanto indicato dal Presidente Napolitano all’esecutore governativo Letta, ma – a suo dire – “snaturato” rispetto alla sua formulazione originaria. Per tale ragione il Presidente della Repubblica ha prontamente chiamato a rapporto il suo luogotenente e gli ha semplicemente ordinato di “ritirare” il decreto, non presentandolo al Senato per la successiva approvazione. Il presidente del Consiglio ha immediatamente obbedito, ed ha “rinunciato” al decreto, buttando a mare con esso tutti gli emendamenti inseritivi ad opera del Parlamento.
Poi, per portare a termine l’originario compito, ha infilato i contenuti del decreto originario nel cosiddetto “milleproproghe” e l’ha sfornato in un baleno, bello e dorato come piaceva al Colle. Con buona pace della separazione dei poteri e della Repubblica parlamentare.
Ormai siamo così abituati alle anomalie istituzionali, nella nostra politica, che non ci facciamo nemmeno più caso.
Dal 2011, infatti, non abbiamo più avuto un Presidente del Consiglio eletto dai cittadini, ma due Presidenti nominati da Napolitano, il primo dei quali ha preso il posto del Presidente allora in carica, che ha dovuto dimettersi per compiacere i “mercati”, benché non sfiduciato dal Parlamento. Già questo soltanto basterebbe per far scatenare una rivolta in un Paese democratico normale, ma da noi no, ed è stato solo l’inizio.
L’ultimo Governo è stato costituito su indicazione di un Presidente della Repubblica rieletto per la seconda volta nonostante l’età molto avanzata: unico caso in sessant’anni di storia della nostra Repubblica. Questi ha inoltre deferito il potere di predisporre le leggi che detto Governo avrebbe dovuto far approvare ad un inedito consiglio di “Saggi”, organo del tutto inesistente nella Costituzione, ma creato ad hoc dal Colle, alla bisogna. E per garantire la “stabilità” del Governo così creato, Napolitano ha provveduto a rimpolpare le fila dei “fedelissimi” nominando in un sol colpo ben quattro nuovi senatori a vita, dopo aver nominato già nel 2011 a Senatore Monti, per poi incaricarlo di formare il governo.
Quasi ogni giorno, ormai, il Presidente-Faraone Napolitano dà le proprie provvidenziali istruzioni di governo al buon Letta, che si scapicolla ad eseguire con diligenza e tempestività da primo della classe. E sia lui che Monti, si sa, vanno molto fieri di aver fatto bene “i compiti a casa”.
L’ episodio sopra citato, dunque, non sarà certamente l’ultimo atto di imperio del solerte Presidente della nostra Repubblica: attendiamo a breve l’autoincoronazione, prassi già peraltro inaugurata da Napoleone, che con Napolitano ha in comune, guarda caso, diverse consonanti.
Battute a parte, la situazione creatasi a livello politico-istituzionale nel nostro Paese, dovrebbe creare serie preoccupazioni.
Siamo in presenza di un progressivo e crescente esautoramento dei poteri conferiti dalla Costituzione ai vari organi dello Stato e di deleghe della sovranità nazionale – che in base all’art. 1 della Carta appartiene al Popolo e solo al Popolo italiano – ad organismi sovranazionali non eletti ed immuni da ogni controllo.
Il Parlamento è spogliato delle sue prerogative ed è prossimo ad un ridimensionamento strutturale che ne dimezzerà i poteri e le funzioni di controllo sugli atti legislativi, lasciando sempre più potere al Governo. E poiché il Governo non ha più bisogno di essere guidato da persone scelte dal popolo con elezioni democratiche, ma viene nominato dal Colle fra i membri della lobby finanziario-bancaria internazionale, in sostanza non siamo più né in una Repubblica, né in una democrazia.
Siamo praticamente in un regno simile a quello degli Zar della Russia pre-sovietica, in cui ai legami di parentela viene sostituita l’appartenenza al club dei superbanchieri e dei loro consulenti.
Il capitalismo nella sua più pura essenza governa l’Italia e l’Europa.
La logica del profitto portata all’esasperazione ha dato vita ai prodotti finanziari derivati, che circolano nel sistema finanziario mondiale in entità inimmaginabili, relegando le cifre dell’economia reale ad un ruolo marginale.
Il flusso incontrollato dei capitali finanziari fra i vari Paesi, reso possibile dalla globalizzazione e dall’avvento di Internet, ha sconquassato gli equilibri economici creatisi nei decenni seguenti alla seconda guerra mondiale, dando origine alla crisi mondiale deflagrata nel 2008 e ancora da noi non assorbita, a causa del vincolo di fissità del cambio ed alla privazione degli strumenti economici necessari a fronteggiarla.
L’esigenza delle banche internazionali, in crisi per la propria imprudente avidità di maxiprofitti immediati, di ripianare le proprie perdite, ha trovato nei patrimoni dei Paesi europei un tempo solidi, come l’Italia, il Portogallo, la Francia e la Spagna, il bottino facile da cui prelevare i fondi necessari. Grazie ai governi nominati su indicazione delle stesse banche ed alle agende di governo dalle stesse dettate, la pressione fiscale impietosa e indiscriminata, oltre ai tagli ai servizi pubblici, le privatizzazione ed le vendite di beni pubblici, sono diventare strumento di depredazione delle ricchezze disponibili, previa instillazione nelle menti dei cittadini di un opportuno “senso di colpa” che potesse giustificare la “purga” imposta.
La propaganda di sistema è riuscita a convincere quasi tutti che la crisi è colpa nostra, perché “abbiamo speso troppo”, perché “siamo corrotti ed evasori” e perché i nostri politici sono incompetenti. Così abbiamo accettato senza protestare il “vincolo esterno”, il “ce lo chiede l’Europa” e ci siamo lasciati manovrare come degli imbecilli.
Tutti gli oppositori politici a questo progetto di “sacco dell’Italia” sono stati eliminati dalla scena politica grazie a campagne mediatiche di distruzione della loro immagine pubblica e sostituiti da figure compiacenti con i poteri sopraordinati, presentate come “rispettabili”, “credibili” e “serie”.
Chi ha sollevato critiche a tale sistema di governo o ha proposto modalità alternative di gestione della crisi è stato ridicolizzato o tacciato di “populismo”, quando non addirittura accusato di fascismo o antisemitismo.
Ma soprattutto si è riusciti per lungo tempo a “distrarre” gli Italiani dai problemi reali, attirando la loro attenzione su vicende di cronaca, su eventi sportivi, o su scandali veri o presunti, grazie alla collaborazione dei principali organi di informazione.
Vengono tuttora tenute nascoste le numerosissime proteste in corso negli altri Paesi europei, contro la Troika e l’UE, così come non si parla della tragica situazione della Grecia, precipitata nella povertà più nera, o dello sviluppo dell’Islanda, che si è ripresa dopo il default catastrofico subìto proprio a causa dello strozzinaggio bancario internazionale, grazie alla ritrovata autonomia economica e politica.
In questo quadro, sono arrivate a sorpresa le improvvise dimissioni irrevocabili del viceministro dell’economia Stefano Fassina, il quale ha approfittato di un’infelicissima battuta sul suo conto del neosegretario Renzi per sottrarsi alla responsabilità – ormai per lui insostenibile – di perseverare nel portare avanti un’agenda di governo irrazionale e, a suo stesso dire, dannosa per l’economia italiana.
Fassina aveva più volte manifestato il suo dissenso rispetto alle linee guida dell’agenda Letta, anche se in sedi molto riservate, ma negli ultimi giorni aveva rilasciato alcune interviste in cui per la prima volta esternava apertamente le sue critiche radicali alle proposte di Renzi ed alla struttura dell’Eurozona, proponendo sorprendentemente l’adozione di un “piano B”, ovvero di un ritorno alla sovranità italiana, per sfuggire alla morsa stritolatrice dei Trattati europei, nel caso di rifiuto della UE a cambiare drasticamente rotta.
Anche su tale fatto i media mainstream hanno prontamente messo in opera un’azione di “depistaggio”, tentando di far passare le dimissioni del viceministro come una reazione impulsiva di stizza dovuta ad un mero contrasto caratteriale fra questi e Renzi, o parlando di “beghe interne di partito”.
La verità è che le dimissioni di Fassina e la richiesta di rimpasto di governo denunciano l’insostenibilità di un governo ormai privo del sostegno necessario non solo nella maggior parte della base dello stesso PD e dell’ex PDL, ma nella stessa compagine ministeriale.
È appena iniziato un 2014 ricco di incognite e speranze per i cittadini italiani che verranno, purtroppo, nuovamente deluse.
Il mio augurio agli Italiani per l’anno appena iniziato, dunque, è quello di capire, di vedere finalmente quello che è successo e continua a succedere, e smettere di lasciarsi distrarre ed incantare da sirene che ripetono incessantemente, da troppo tempo, le stesse suadenti litanie.
Soltanto una presa di coscienza profonda e collettiva potrà far comprendere ai nostri concittadini l’urgenza di fermare il saccheggio che stiamo subendo, prima che ci sia tolto proprio tutto e non ci rimanga più né la forza per riprenderci, né la speranza di riavere la nostra libertà.
Francesca Donato