Ormai pare che non esista altro rimedio alla conclamata situazione di affanno che il sistema sanitario nazionale, e nello specifico siciliano, sta affrontando – a causa dell’aumento di casi sintomatici di soggetti affetti da Covid-19 – se non quello di togliere l’aria e il lavoro ai cittadini.
A fronte dell’ampiamente previsto e annunciato ripresentarsi del Coronavirus in autunno, in coincidenza con la riapertura delle scuole (seppur con una gravità dei quadri clinici nettamente attenuata rispetto alla forma vista la scorsa primavera), il governo siciliano, così come quello nazionale, si è fatto trovare di nuovo impreparato e disorganizzato a gestire numeri superiori all’ordinario.
Così, a parte qualche mugugno di facciata, il nostro Presidente nulla fa per contrastare l’ennesimo DPCM, stavolta addirittura creativo di poteri inediti in testa al Ministro Speranza, in aggiunta alle già macroscopiche violazioni dei principi costituzionali di legalità formale e sostanziale.
E i cittadini inermi e rassegnati sono costretti a subire un’altra mazzata alla propria vita lavorativa, sociale, culturale. Senza, peraltro, avere chiaro perché uscire di casa dalle 22.00 alle 5.00 sia più pericoloso che uscire dalle 5.00 alle 22.00, o perché sia contagioso il bancone del bar ma non quello del supermercato.
E, ancora più grave, senza sapere se fra 15 giorni le chiusure sin’ora imposte ad alcune attività si estenderanno anche ad altre, replicando la spettrale situazione vissuta pochi mesi fa.
La Sicilia rischia di uscire devastata non dalla seconda ondata di Covid-19, ma dalla protratta incapacità di affrontare seriamente, con efficienza e programmazione, questa come altre situazioni emergenziali già sperimentate in passato, anche molto recente: alluvioni, incendi, smottamenti, e via dicendo.
Oggi, oltre che sul piano sanitario, il disastro si manifesta in tutta la sua tragicità soprattutto sul piano economico, perché in Sicilia, come nel resto del Paese, le imprese sono state, di fatto, abbandonate al loro destino.
Il governo della regione siciliana ha deciso di non opporsi ai provvedimenti del governo nazionale, nonostante essi siano evidentemente volti a peggiorare la già grave crisi economica: il tracollo che ne conseguirà, sarà pertanto una sua indubbia responsabilità.
Il Presidente Musumeci da mesi afferma di voler predisporre piani di sicurezza e rinforzare le strutture sanitarie, nonché di voler provvedere ai supporti economici per famiglie ed imprese.
Ma ancora oggi è in corso il balletto per le provviste alle piccole e medie imprese; i voucher alle aziende turistiche sono rinviati a data da destinarsi e l’annunciato intervento di riorganizzazione sanitaria arranca ormai da mesi, lasciando peraltro spesso inascoltate le proposte mirate e di buon senso che provengono dal comparto medico.
Insomma, a otto mesi dalla scoperta che il Coronavirus cinese circolava anche in Italia, il governo nazionale e quello regionale hanno dimostrato di non saper pianificare una vera strategia di gestione del fenomeno, che restituisse al Paese un sistema sanitario all’altezza della situazione, ma si sono limitati a sfornare una sequela di interventi disorganici e spesso inutili, reiterando chiusure e divieti senza saper, per converso, fornire il necessario supporto economico e sociale alle categorie colpite ed ai più svantaggiati.
Il Presidente della regione Siciliana ha il rango di un ministro, col diritto di sedere in Consiglio dei ministri per le decisioni che riguardano la Sicilia, ed ha competenza per la tutela del diritto alla salute dei cittadini siciliani.
Inoltre, come gli altri Presidenti di Regione, può modulare in senso meno restrittivo le misure prese dal governo al livello nazionale, esercitando quell’autonomia decisionale che lo Statuto e la Costituzione gli riconoscono, col solo limite di non far mancare ai propri cittadini i “livelli essenziali delle prestazioni” fondamentali, cui hanno diritto.
Invece di lamentarsi, dunque, potrebbe senz’altro impugnare davanti al TAR il provvedimento che dispone la “zona arancione” per eccesso di potere, chiedendone l’immediata sospensione cautelare, e ciò restituirebbe intanto a tutte le attività chiuse la possibilità di lavorare, nel rispetto dei protocolli di sicurezza previsti dal CTS.
Dovrebbe poi finalmente accogliere le indicazioni fornitegli dal proprio CTS, attivando le procedure necessarie a reperire nuove risorse umane e strumentali per far fronte alla richiesta di assistenza sanitaria sul territorio.
Ed infine, dovrebbe controllare con la massima attenzione il funzionamento degli uffici che si occupano di erogare i sussidi a chi ne ha diritto.
L’attuale crisi economica e sanitaria è senz’altro una sfida gravosa e complessa, che nessuno può ridurre ad una banale incombenza. Il peso delle scelte e delle azioni necessarie è notevole, ma il presidente Musumeci è tenuto a farsene carico con coraggio e maggiore determinazione, perché a questo compito lo chiama la storia.
Presidente, si muova e lo faccia in fretta, perché non c’è più tempo da perdere.
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In Sicilia emergenza sanitaria ed economica sono un mix letale che non può essere gestito con approssimazione e lentezza
Ormai pare che non esista altro rimedio alla conclamata situazione di affanno che il sistema sanitario nazionale, e nello specifico siciliano, sta affrontando – a causa dell’aumento di casi sintomatici di soggetti affetti da Covid-19 – se non quello di togliere l’aria e il lavoro ai cittadini.
A fronte dell’ampiamente previsto e annunciato ripresentarsi del Coronavirus in autunno, in coincidenza con la riapertura delle scuole (seppur con una gravità dei quadri clinici nettamente attenuata rispetto alla forma vista la scorsa primavera), il governo siciliano, così come quello nazionale, si è fatto trovare di nuovo impreparato e disorganizzato a gestire numeri superiori all’ordinario.
Così, a parte qualche mugugno di facciata, il nostro Presidente nulla fa per contrastare l’ennesimo DPCM, stavolta addirittura creativo di poteri inediti in testa al Ministro Speranza, in aggiunta alle già macroscopiche violazioni dei principi costituzionali di legalità formale e sostanziale.
E i cittadini inermi e rassegnati sono costretti a subire un’altra mazzata alla propria vita lavorativa, sociale, culturale. Senza, peraltro, avere chiaro perché uscire di casa dalle 22.00 alle 5.00 sia più pericoloso che uscire dalle 5.00 alle 22.00, o perché sia contagioso il bancone del bar ma non quello del supermercato.
E, ancora più grave, senza sapere se fra 15 giorni le chiusure sin’ora imposte ad alcune attività si estenderanno anche ad altre, replicando la spettrale situazione vissuta pochi mesi fa.
La Sicilia rischia di uscire devastata non dalla seconda ondata di Covid-19, ma dalla protratta incapacità di affrontare seriamente, con efficienza e programmazione, questa come altre situazioni emergenziali già sperimentate in passato, anche molto recente: alluvioni, incendi, smottamenti, e via dicendo.
Oggi, oltre che sul piano sanitario, il disastro si manifesta in tutta la sua tragicità soprattutto sul piano economico, perché in Sicilia, come nel resto del Paese, le imprese sono state, di fatto, abbandonate al loro destino.
Il governo della regione siciliana ha deciso di non opporsi ai provvedimenti del governo nazionale, nonostante essi siano evidentemente volti a peggiorare la già grave crisi economica: il tracollo che ne conseguirà, sarà pertanto una sua indubbia responsabilità.
Il Presidente Musumeci da mesi afferma di voler predisporre piani di sicurezza e rinforzare le strutture sanitarie, nonché di voler provvedere ai supporti economici per famiglie ed imprese.
Ma ancora oggi è in corso il balletto per le provviste alle piccole e medie imprese; i voucher alle aziende turistiche sono rinviati a data da destinarsi e l’annunciato intervento di riorganizzazione sanitaria arranca ormai da mesi, lasciando peraltro spesso inascoltate le proposte mirate e di buon senso che provengono dal comparto medico.
Insomma, a otto mesi dalla scoperta che il Coronavirus cinese circolava anche in Italia, il governo nazionale e quello regionale hanno dimostrato di non saper pianificare una vera strategia di gestione del fenomeno, che restituisse al Paese un sistema sanitario all’altezza della situazione, ma si sono limitati a sfornare una sequela di interventi disorganici e spesso inutili, reiterando chiusure e divieti senza saper, per converso, fornire il necessario supporto economico e sociale alle categorie colpite ed ai più svantaggiati.
Il Presidente della regione Siciliana ha il rango di un ministro, col diritto di sedere in Consiglio dei ministri per le decisioni che riguardano la Sicilia, ed ha competenza per la tutela del diritto alla salute dei cittadini siciliani.
Inoltre, come gli altri Presidenti di Regione, può modulare in senso meno restrittivo le misure prese dal governo al livello nazionale, esercitando quell’autonomia decisionale che lo Statuto e la Costituzione gli riconoscono, col solo limite di non far mancare ai propri cittadini i “livelli essenziali delle prestazioni” fondamentali, cui hanno diritto.
Invece di lamentarsi, dunque, potrebbe senz’altro impugnare davanti al TAR il provvedimento che dispone la “zona arancione” per eccesso di potere, chiedendone l’immediata sospensione cautelare, e ciò restituirebbe intanto a tutte le attività chiuse la possibilità di lavorare, nel rispetto dei protocolli di sicurezza previsti dal CTS.
Dovrebbe poi finalmente accogliere le indicazioni fornitegli dal proprio CTS, attivando le procedure necessarie a reperire nuove risorse umane e strumentali per far fronte alla richiesta di assistenza sanitaria sul territorio.
Ed infine, dovrebbe controllare con la massima attenzione il funzionamento degli uffici che si occupano di erogare i sussidi a chi ne ha diritto.
L’attuale crisi economica e sanitaria è senz’altro una sfida gravosa e complessa, che nessuno può ridurre ad una banale incombenza. Il peso delle scelte e delle azioni necessarie è notevole, ma il presidente Musumeci è tenuto a farsene carico con coraggio e maggiore determinazione, perché a questo compito lo chiama la storia.
Presidente, si muova e lo faccia in fretta, perché non c’è più tempo da perdere.