Per lungo tempo, di fronte a coloro che si sperticano ancora oggi per negare che l’euro sia la causa della crisi dell’Eurozona e della grave recessione dell’economia italiana e degli altri Paesi europei dell’area periferica, ho ritenuto che la ragione di tali posizioni, in contrasto con i dati e i principi fondamentali della macroeconomia, fosse principalmente l’ignoranza della materia.
Di fronte ai numerosi “io non ne capisco niente di economia, ma secondo me l’euro non c’entra…” tale conclusione è ovvia.
Ma anche per coloro che affermano “ma il nostro problema è il debito pubblico” o “i nostri politici sono ladri e spendiamo troppo per mantenerli”, è evidente come la campagna disinformativa dei principali media stia dietro a suddette convinzioni.
Ma quando a dire “l’euro non è il problema” oppure “uscirne è impossibile” è un economista, ovvero un docente in materie economiche o comunque qualcuno che abbia compiuto studi economici seri, tale giustificazione non può reggere e la causa di tali aberranti affermazioni può essere soltanto una: la malafede.
Un esempio lampante di questa ultima tipologia di “negazionisti” si è vista ieri, in tarda serata, in un noto talk show televisivo, in cui si è messo in scena un “match” fra due economisti, entrambi docenti universitari, sul tema “euro sì / euro no”, in cui ognuno esponeva, con tanto di lavagna a disposizione, le proprie argomentazioni pro o contro la permanenza nell’area euro del nostro Paese. (N.B.: non faccio i nomi di entrambi, per non fare pubblicità al “no euro” e per rispetto verso la suscettibilità del “pro euro”.)
A fronte di dati ed argomentazioni estremamente semplificate, ma del tutto logiche e fondate, dell’economista contro l’euro, l’oppositore ha risposto scrivendo sulla lavagna non dati o calcoli o immagini grafiche, ma le due seguenti parole: CLASSE DIGERENTE. Da tale arguto gioco di parole e dalla relativa metafora, è partito per argomentare che la causa della nostra crisi sta nella corruzione dei nostri politici e nella “spesa pubblica improduttiva”, e che quindi – si suppone – eliminando l’una e l’altra (anche se non ha spiegato come), la nostra economia ripartirebbe senza alcun dubbio.
All’obiezione scontata del rivale, che gli ha domandato come si spiega il fatto che i Paesi in recessione siano 8, siano tutti membri dell’Eurozona (fra questi la Finlandia) e che molti di questi non siano affatto campioni di corruzione e di spesa pubblica, il pro-euro ha opposto l’affermazione che “però l’Italia è quella che ha fatto più male”, sempre perché noi Italiani siamo macchiati dal peccato originale della furfanteria più di tutti gli altri, e quindi il resto non conta. Ha infine concluso dicendo che comunque, grazie alle politiche di austerity imposte dall’Europa, “le cose stanno migliorando”.
A parte la drammatica inconsistenza delle argomentazioni sopra riportate a sostegno della bontà dell’euro, contraddette dalla mera logica oltre che da dati noti a chi legge qualche notizia di economia (fra questi, i dati sul debito estero netto dei Paesi periferici, ovvero del debito totale, che include sia quello pubblico che privato, il quale è oggi aumentato rispetto ai livelli pre-crisi in tutti i Paesi in esame, inclusa la Spagna, ultimamente indicataci quale esempio della ripresa possibile), i quali mostrano inequivocabilmente come oggi l’Italia sia in realtà lo Stato meno indebitato verso l’estero di tutti gli altri.
Questo semplice dato dimostra come il nostro Paese sia in realtà il più affidabile se si valutano i nostri fondamentali economici e non solo i numeri del debito o del deficit pubblico (il quale, peraltro, è notoriamente composto in larga percentuale dagli interessi sul debito) e pertanto come sia del tutto infondata e pretestuosa ogni spiegazione della crisi che si basi sulla presunta inferiorità o mascalzoneria congenita dell’Italia rispetto agli altri Paesi.
A ciò si aggiungono gli ormai arcinoti dati sulle difficoltà dell’export (di tutta l’area euro) verso i Paesi emergenti dovuti alla moneta troppo forte; al livello dell’inflazione assestatosi pericolosamente molto al di sotto della soglia-obiettivo del 2%, a causa del crollo della domanda interna in tutti i Paesi dell’Eurozona (Germania inclusa), livello che si pone in rapporto inversamente proporzionale con l’aumento della disoccupazione, come dimostrato da una fondamentale legge economica espressa dalla cosiddetta “curva di Phillips” e che la politica della BCE non ha saputo (o voluto) fare crescere, con grande soddisfazione della Germania.
Non si può, dunque, ragionevolmente pensare che un docente di economia presso un’università, italiana o straniera che sia, possa ignorare tali dati e tali fondamentali leggi economiche. E quindi la sua pervicacia nel volerli negare, sottacere o mistificare può spiegarsi soltanto con un’evidente malafede.
Ma perché, viene da chiedersi a questo punto, un economista dovrebbe agire scientemente per fare disinformazione sull’euro e per sostenere politiche economiche che, con tutta evidenza, non risolveranno ma anzi peggioreranno la situazione del proprio Paese?
La risposta è tristemente facile: conflitto di interessi. Se si va a vedere chi è l’eurofilo di turno, si scopre (nel caso di specie) che trattasi di un candidato nelle liste di Scelta civica, che sosteneva Mario Monti alle scorse elezioni nazionali. Basta questo per comprendere le ragioni delle sopra riportate bugie sull’euro: far parte del partito di Monti, sostenendo il massacro del nostro Paese da questi compiuto su delega della BCE e della lobby bancaria di cui fa parte (è stato consulente di Goldman Sachs, Presidente della Commissione trilaterale e membro del Club Bilderberg sino al giorno della sua “salita in politica”) spiega molto bene il motivo del sostegno dell’euro contro ogni evidenza ed ad ogni costo: un probabile “ritorno” in termini politici e forse anche schiettamente economici, per lo stesso professore.
Lasci a chi legge la valutazione etica di tale comportamento; la morale è semplice: quando parla un difensore dell’euro, specie se è un esperto di economia, andiamo a vedere la sua biografia. Lì troveremo senza dubbio le ragioni della sua presa di posizione. E sarà facile, a quel punto, capire chi dice la verità e chi è disposto a sacrificare il bene dell’Italia e la vita degli Italiani per un mero tornaconto personale.
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LA FORZA DELLA (MALA)FEDE
Per lungo tempo, di fronte a coloro che si sperticano ancora oggi per negare che l’euro sia la causa della crisi dell’Eurozona e della grave recessione dell’economia italiana e degli altri Paesi europei dell’area periferica, ho ritenuto che la ragione di tali posizioni, in contrasto con i dati e i principi fondamentali della macroeconomia, fosse principalmente l’ignoranza della materia.
Di fronte ai numerosi “io non ne capisco niente di economia, ma secondo me l’euro non c’entra…” tale conclusione è ovvia.
Ma anche per coloro che affermano “ma il nostro problema è il debito pubblico” o “i nostri politici sono ladri e spendiamo troppo per mantenerli”, è evidente come la campagna disinformativa dei principali media stia dietro a suddette convinzioni.
Ma quando a dire “l’euro non è il problema” oppure “uscirne è impossibile” è un economista, ovvero un docente in materie economiche o comunque qualcuno che abbia compiuto studi economici seri, tale giustificazione non può reggere e la causa di tali aberranti affermazioni può essere soltanto una: la malafede.
Un esempio lampante di questa ultima tipologia di “negazionisti” si è vista ieri, in tarda serata, in un noto talk show televisivo, in cui si è messo in scena un “match” fra due economisti, entrambi docenti universitari, sul tema “euro sì / euro no”, in cui ognuno esponeva, con tanto di lavagna a disposizione, le proprie argomentazioni pro o contro la permanenza nell’area euro del nostro Paese. (N.B.: non faccio i nomi di entrambi, per non fare pubblicità al “no euro” e per rispetto verso la suscettibilità del “pro euro”.)
A fronte di dati ed argomentazioni estremamente semplificate, ma del tutto logiche e fondate, dell’economista contro l’euro, l’oppositore ha risposto scrivendo sulla lavagna non dati o calcoli o immagini grafiche, ma le due seguenti parole: CLASSE DIGERENTE. Da tale arguto gioco di parole e dalla relativa metafora, è partito per argomentare che la causa della nostra crisi sta nella corruzione dei nostri politici e nella “spesa pubblica improduttiva”, e che quindi – si suppone – eliminando l’una e l’altra (anche se non ha spiegato come), la nostra economia ripartirebbe senza alcun dubbio.
All’obiezione scontata del rivale, che gli ha domandato come si spiega il fatto che i Paesi in recessione siano 8, siano tutti membri dell’Eurozona (fra questi la Finlandia) e che molti di questi non siano affatto campioni di corruzione e di spesa pubblica, il pro-euro ha opposto l’affermazione che “però l’Italia è quella che ha fatto più male”, sempre perché noi Italiani siamo macchiati dal peccato originale della furfanteria più di tutti gli altri, e quindi il resto non conta. Ha infine concluso dicendo che comunque, grazie alle politiche di austerity imposte dall’Europa, “le cose stanno migliorando”.
A parte la drammatica inconsistenza delle argomentazioni sopra riportate a sostegno della bontà dell’euro, contraddette dalla mera logica oltre che da dati noti a chi legge qualche notizia di economia (fra questi, i dati sul debito estero netto dei Paesi periferici, ovvero del debito totale, che include sia quello pubblico che privato, il quale è oggi aumentato rispetto ai livelli pre-crisi in tutti i Paesi in esame, inclusa la Spagna, ultimamente indicataci quale esempio della ripresa possibile), i quali mostrano inequivocabilmente come oggi l’Italia sia in realtà lo Stato meno indebitato verso l’estero di tutti gli altri.
Questo semplice dato dimostra come il nostro Paese sia in realtà il più affidabile se si valutano i nostri fondamentali economici e non solo i numeri del debito o del deficit pubblico (il quale, peraltro, è notoriamente composto in larga percentuale dagli interessi sul debito) e pertanto come sia del tutto infondata e pretestuosa ogni spiegazione della crisi che si basi sulla presunta inferiorità o mascalzoneria congenita dell’Italia rispetto agli altri Paesi.
A ciò si aggiungono gli ormai arcinoti dati sulle difficoltà dell’export (di tutta l’area euro) verso i Paesi emergenti dovuti alla moneta troppo forte; al livello dell’inflazione assestatosi pericolosamente molto al di sotto della soglia-obiettivo del 2%, a causa del crollo della domanda interna in tutti i Paesi dell’Eurozona (Germania inclusa), livello che si pone in rapporto inversamente proporzionale con l’aumento della disoccupazione, come dimostrato da una fondamentale legge economica espressa dalla cosiddetta “curva di Phillips” e che la politica della BCE non ha saputo (o voluto) fare crescere, con grande soddisfazione della Germania.
Non si può, dunque, ragionevolmente pensare che un docente di economia presso un’università, italiana o straniera che sia, possa ignorare tali dati e tali fondamentali leggi economiche. E quindi la sua pervicacia nel volerli negare, sottacere o mistificare può spiegarsi soltanto con un’evidente malafede.
Ma perché, viene da chiedersi a questo punto, un economista dovrebbe agire scientemente per fare disinformazione sull’euro e per sostenere politiche economiche che, con tutta evidenza, non risolveranno ma anzi peggioreranno la situazione del proprio Paese?
La risposta è tristemente facile: conflitto di interessi. Se si va a vedere chi è l’eurofilo di turno, si scopre (nel caso di specie) che trattasi di un candidato nelle liste di Scelta civica, che sosteneva Mario Monti alle scorse elezioni nazionali. Basta questo per comprendere le ragioni delle sopra riportate bugie sull’euro: far parte del partito di Monti, sostenendo il massacro del nostro Paese da questi compiuto su delega della BCE e della lobby bancaria di cui fa parte (è stato consulente di Goldman Sachs, Presidente della Commissione trilaterale e membro del Club Bilderberg sino al giorno della sua “salita in politica”) spiega molto bene il motivo del sostegno dell’euro contro ogni evidenza ed ad ogni costo: un probabile “ritorno” in termini politici e forse anche schiettamente economici, per lo stesso professore.
Lasci a chi legge la valutazione etica di tale comportamento; la morale è semplice: quando parla un difensore dell’euro, specie se è un esperto di economia, andiamo a vedere la sua biografia. Lì troveremo senza dubbio le ragioni della sua presa di posizione. E sarà facile, a quel punto, capire chi dice la verità e chi è disposto a sacrificare il bene dell’Italia e la vita degli Italiani per un mero tornaconto personale.
Francesca Donato
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