Grande confusione nell’opinione comune, e non solo, vi è intorno al senso della legalità. Non tanto della legalità espressione della produzione legislativa del Parlamento, ma della massima legalità, ovvero di quella “meta-legalità” – ossia di quella legalità di “livello superiore” – che “norma le norme”: la legalità costituzionale.
La legalità costituzionale è la prima vittima di quell’assassino seriale di diritti economici, sociali e politici che è il processo di integrazione europea.
Il punto non è assolutamente complesso, almeno nella sua estrema sintesi: basta rigettare integralmente le aporie della propaganda europeista. Tutta la legislazione che proviene da fonti normative che non sono diretta espressione della volontà popolare, ma che adottano – implicitamente o espressamente – il super-principio per cui andrebbero poste in essere politiche «al riparo del processo elettorale», sono di natura extra-costituzionale e tendenzialmente contra constitutionem. Ovvero sono fonti che producono una legislazione che perlopiù non giace nell’alveo della legalità costituzionale. Sono leggi che si pongono geneticamente contro l’orientamento legislativo imposto dalla Costituzione.
Ma cosa significa «al riparo del processo elettorale» (cit. M. Monti)? E cosa c’entra l’Unione Europea con questa prassi «implicitamente o espressamente» antidemocratica?
Alcuni fatti come la resistenza a rispettare il voto popolare per la Brexit sono un esempio pratico e lapalissiano, ma lo spirito antidemocratico del processo di costruzione europea è connaturato al progetto stesso.
Vediamo di sottolineare alcuni passi empiricamente evidenti: secondo la logica antidemocratica – elitista – il «bene comune» è raggiungibile esclusivamente «al riparo del processo elettorale», ovvero al «riparo» degli interessi materiali immediati del popolo, a cui negare qualsiasi sovranità poiché esso è considerato nient’altro che la sommatoria di «pance irrazionali» incapaci di raggiungere, o anche solo d’immaginare, una meta che sia configurabile come «bene comune».
Tutto il processo di unificazione europea è avvenuto «di nascosto» (cit. Majone) e «al riparo del processo elettorale». Il più importante architetto della UE, Monnet, affermò: «Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli capiscano cosa stia succedendo. Ciò può essere realizzato con fasi successive, ciascuna mascherata da uno scopo economico, ma che alla fine – irreversibilmente – porterà alla federazione».
Perché mai tutto dovrebbe essere fatto «di nascosto», paludando le scelte politiche come necessitate da «scopi economici», per edificare un «superstatato» come gli USA? E perché mai furono proprio gli Stati Uniti a spingere le élite europee a portar avanti il progetto di federazione?
A quest’ultima domanda trovare una risposta è banale: i motivi furono di natura geopolitica. L’Unione Europea era un progetto «dell’imperialismo americano» (cit. Altiero Spinelli) che sfidava l’URSS. (Oggi la Federazione Russa).
La risposta sintetica è quindi immediata: il processo di integrazione europea è un progetto economico, politico e sociale a vantaggio esclusivo delle élite americane e, a cascata, a vantaggio delle élite europee, almeno nei confronti dei rispettivi popoli. Ovvero la UE è un progetto economico, politico e sociale a svantaggio degli europei.
Se l’imperialismo USA è stato la principale forza a spingere per l’integrazione europea, non va dimenticato il grande supporto dell’élite europea, rappresentata storicamente dal conte Coudenhove-Kalergi, che sognava le glorie del Sacro Romano Impero, che bramava un governo mondiale e che abbandonava il conservatorismo aristocratico per abbracciare il liberalismo borghese.
Diventa così evidente che la massima fonte di legalità che imprime una direzione sostanzialmente democratica alla politica e alla legislazione, ossia la Costituzione nazionale, viene messa da parte in favore di una normativa che nasce da super-entità sovranazionali che non sono altro che “filtri” che permettono alle élite internazionali – europee e americane, con vocazioni imperialiste e cosmopolitiche – di prendere decisioni «di nascosto» e «al riparo del processo elettorale».
Poiché gran parte dell’attuale legislazione nazionale è di derivazione eurounionista, la legalità vigente è in gran parte extra-costituzionale e – essendo questa espressione degli interessi dell’élite economica che viene lobbisticamente rappresentata nei consessi europei – imprime un ordine oligarchico agli stati nazionali.
Nella storia del pensiero elitista, che nella modernità è rappresentato dal pensiero liberale e nella post-modernità da quello «neoliberale», il «bene comune» è privatisticamente inteso e contrapposto al democratico «interesse pubblico», agli «interessi generali». Ossia nella visione elitaria della borghesia liberale non esiste altro interesse che il proprio: e questo può essere presentato in diversi modi al popolo sovrano ricondotto a massa informe, plebea, priva di qualsiasi discernimento che non sia volto ad appagare il proprio stomaco e il proprio desiderio riproduttivo. Il tema dominante dell’elitismo, e sua «norma “morale” fondamentale», è quello per cui esisterebbero motivi per i quali qualsiasi sacrificio deve essere fatto dalle masse e qualsiasi vita potenzialmente sacrificata: quindi il «bene comune», ovvero gli interessi privati dell’élite, viene travestito da «sovrappopolazione», da «cambiamenti climatici», da «inquinamento», da «ecologia», dove la divinizzazione del nuovo totem corrisponde alla divinizzazione dell’organizzazione sociale naturalizzata. L’ecologia è ad esempio, nella modernità, una metafora della naturalizzazione dell’economia, e della cristallizzazione dei rapporti sociali che questa sottende, insieme ai rapporti di forza e ai privilegi. L’ecosostenibilità, per tornare a tema, è quindi la metafora della «stabilità monetaria», il dogma finanziario che tutela gli interessi dell’élite che vive di rendita (che è appunto norma fondamentale su cui sono imperniati i Trattati UE).
Le Costituzioni moderne pongono invece alla loro base l’inviolabilità della vita e della dignità umana: ovvero fanno propria un’etica umanitarista che, nel capitalismo, si concretizza nella tutela del lavoro (piena occupazione e redditi dignitosi) e nella sua «stabilità» (che è il contrario della «flessibilità» del lavoro precarizzato).
L’Unione Europea – come si deduce dalle citazioni degli illustri europeisti precedentemente riportate – è dall’origine intrisa di questo elitismo: le masse che pensano solo a consumare e a riprodursi (inquinando…) non sono all’altezza di potersi sovranamente confrontare con «le sfide del futuro». Quindi devono – contra constitutionem – cedere sovranità alla UE, ossia a quell’istituzione che altro non è che la maschera della classe dominante (illuminata…) in grado di fare attività di lobbying a livello internazionale.
Va inoltre sottolineato che – secondo l’elitaria classe egemone – gli europei hanno un grave difetto: sull’onda della tradizione greca, hanno osato invertire «l’ordine naturale» progettando dei sistemi democratici in cui «la sovranità appartiene al popolo».
(Certo è che sostituire gli europei con popoli che non hanno nessuna nozione della tradizione democratica è una soluzione che ormai viene pure spacciata senza riserve; così, giusto per rendere politicamente significativo il supporto delle élite all’immigrazione. Senza dimenticare che la politica “noborder” è una politica di classe volta a comprimere i salari, ovvero i diritti dei lavoratori, e quindi del popolo sovrano).
Ecco che con la scusa di dover «far balzi in avanti» verso l’integrazione europea, con motivazioni mostrate come neutrali, squisitamente tecnico-economiche – come se la distribuzione del reddito non sia nel capitalismo il massimo motore del conflitto sociale e quindi non sia in sé tutto fuorché «neutrale» – al popolo viene chiesto di cedere sovranità.
Sottratta al popolo la sovranità monetaria, resa libera la circolazione di capitali, beni e persone, non c’è più alcun argine politico ai rapporti di forza internazionali, cristallizzati da quel coacervo di incomprensibili – QUINDI antidemocratiche – norme che portano il nome di Trattati europei. Scardinato così l’art.11 della Costituzione che impone «condizioni di parità» per la ratifica di qualsiasi trattato internazionale, una volta firmati trattati liberoscambisti quali sono quelli UE, queste «condizioni» volte a salvaguardare «l’interesse nazionale» non possono essere più ricercate nel momento in cui vengono lasciate «libere» le forze economiche; libere di invadere barbaricamente i paesi senza alcun sostanziale limite da parte dello Stato. La legge a livello nazionale è così imposta da queste stesse forze devastatrici, in grado di spolpare intere filiere produttive e lasciare solo deindustrializzazione, debiti e disoccupazione. La nuova legalità non è più conforme a Costituzione: e, come ammoniva Calamandrei, in questo modo la Costituzione, frustrata nei suoi principi fondamentalissimi, non è che si sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe stata letteralmente distrutta. E le forze politiche sarebbero barbaramente tornate in libertà, senza alcuna costrizione di carattere legalitario-costituzionale.
Forse che per mettere fine a questa macelleria sociale patrocinata dall’Unione Europea sia necessaria una nuova fase costituente? E se così fosse, esisterebbero le risorse culturali adeguate per creare una Costituzione all’altezza di quella del 1948?
Mentre ci poniamo queste domande siamo difronte a un nuovo trattato internazionale di origine eurounionista – il MES – che preannuncia una nuova ondata di invasioni barbariche.
16/12/2019 di Bazaar
(Fonti e approfondimenti: https://orizzonte48.blogspot.com/2019/12/superata-la-legalita-costituzionalecome.html)
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La legalità, la Costituzione e le invasioni barbariche
Grande confusione nell’opinione comune, e non solo, vi è intorno al senso della legalità. Non tanto della legalità espressione della produzione legislativa del Parlamento, ma della massima legalità, ovvero di quella “meta-legalità” – ossia di quella legalità di “livello superiore” – che “norma le norme”: la legalità costituzionale.
La legalità costituzionale è la prima vittima di quell’assassino seriale di diritti economici, sociali e politici che è il processo di integrazione europea.
Il punto non è assolutamente complesso, almeno nella sua estrema sintesi: basta rigettare integralmente le aporie della propaganda europeista. Tutta la legislazione che proviene da fonti normative che non sono diretta espressione della volontà popolare, ma che adottano – implicitamente o espressamente – il super-principio per cui andrebbero poste in essere politiche «al riparo del processo elettorale», sono di natura extra-costituzionale e tendenzialmente contra constitutionem. Ovvero sono fonti che producono una legislazione che perlopiù non giace nell’alveo della legalità costituzionale. Sono leggi che si pongono geneticamente contro l’orientamento legislativo imposto dalla Costituzione.
Ma cosa significa «al riparo del processo elettorale» (cit. M. Monti)? E cosa c’entra l’Unione Europea con questa prassi «implicitamente o espressamente» antidemocratica?
Alcuni fatti come la resistenza a rispettare il voto popolare per la Brexit sono un esempio pratico e lapalissiano, ma lo spirito antidemocratico del processo di costruzione europea è connaturato al progetto stesso.
Vediamo di sottolineare alcuni passi empiricamente evidenti: secondo la logica antidemocratica – elitista – il «bene comune» è raggiungibile esclusivamente «al riparo del processo elettorale», ovvero al «riparo» degli interessi materiali immediati del popolo, a cui negare qualsiasi sovranità poiché esso è considerato nient’altro che la sommatoria di «pance irrazionali» incapaci di raggiungere, o anche solo d’immaginare, una meta che sia configurabile come «bene comune».
Tutto il processo di unificazione europea è avvenuto «di nascosto» (cit. Majone) e «al riparo del processo elettorale». Il più importante architetto della UE, Monnet, affermò: «Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli capiscano cosa stia succedendo. Ciò può essere realizzato con fasi successive, ciascuna mascherata da uno scopo economico, ma che alla fine – irreversibilmente – porterà alla federazione».
Perché mai tutto dovrebbe essere fatto «di nascosto», paludando le scelte politiche come necessitate da «scopi economici», per edificare un «superstatato» come gli USA? E perché mai furono proprio gli Stati Uniti a spingere le élite europee a portar avanti il progetto di federazione?
A quest’ultima domanda trovare una risposta è banale: i motivi furono di natura geopolitica. L’Unione Europea era un progetto «dell’imperialismo americano» (cit. Altiero Spinelli) che sfidava l’URSS. (Oggi la Federazione Russa).
La risposta sintetica è quindi immediata: il processo di integrazione europea è un progetto economico, politico e sociale a vantaggio esclusivo delle élite americane e, a cascata, a vantaggio delle élite europee, almeno nei confronti dei rispettivi popoli. Ovvero la UE è un progetto economico, politico e sociale a svantaggio degli europei.
Se l’imperialismo USA è stato la principale forza a spingere per l’integrazione europea, non va dimenticato il grande supporto dell’élite europea, rappresentata storicamente dal conte Coudenhove-Kalergi, che sognava le glorie del Sacro Romano Impero, che bramava un governo mondiale e che abbandonava il conservatorismo aristocratico per abbracciare il liberalismo borghese.
Diventa così evidente che la massima fonte di legalità che imprime una direzione sostanzialmente democratica alla politica e alla legislazione, ossia la Costituzione nazionale, viene messa da parte in favore di una normativa che nasce da super-entità sovranazionali che non sono altro che “filtri” che permettono alle élite internazionali – europee e americane, con vocazioni imperialiste e cosmopolitiche – di prendere decisioni «di nascosto» e «al riparo del processo elettorale».
Poiché gran parte dell’attuale legislazione nazionale è di derivazione eurounionista, la legalità vigente è in gran parte extra-costituzionale e – essendo questa espressione degli interessi dell’élite economica che viene lobbisticamente rappresentata nei consessi europei – imprime un ordine oligarchico agli stati nazionali.
Nella storia del pensiero elitista, che nella modernità è rappresentato dal pensiero liberale e nella post-modernità da quello «neoliberale», il «bene comune» è privatisticamente inteso e contrapposto al democratico «interesse pubblico», agli «interessi generali». Ossia nella visione elitaria della borghesia liberale non esiste altro interesse che il proprio: e questo può essere presentato in diversi modi al popolo sovrano ricondotto a massa informe, plebea, priva di qualsiasi discernimento che non sia volto ad appagare il proprio stomaco e il proprio desiderio riproduttivo. Il tema dominante dell’elitismo, e sua «norma “morale” fondamentale», è quello per cui esisterebbero motivi per i quali qualsiasi sacrificio deve essere fatto dalle masse e qualsiasi vita potenzialmente sacrificata: quindi il «bene comune», ovvero gli interessi privati dell’élite, viene travestito da «sovrappopolazione», da «cambiamenti climatici», da «inquinamento», da «ecologia», dove la divinizzazione del nuovo totem corrisponde alla divinizzazione dell’organizzazione sociale naturalizzata. L’ecologia è ad esempio, nella modernità, una metafora della naturalizzazione dell’economia, e della cristallizzazione dei rapporti sociali che questa sottende, insieme ai rapporti di forza e ai privilegi. L’ecosostenibilità, per tornare a tema, è quindi la metafora della «stabilità monetaria», il dogma finanziario che tutela gli interessi dell’élite che vive di rendita (che è appunto norma fondamentale su cui sono imperniati i Trattati UE).
Le Costituzioni moderne pongono invece alla loro base l’inviolabilità della vita e della dignità umana: ovvero fanno propria un’etica umanitarista che, nel capitalismo, si concretizza nella tutela del lavoro (piena occupazione e redditi dignitosi) e nella sua «stabilità» (che è il contrario della «flessibilità» del lavoro precarizzato).
L’Unione Europea – come si deduce dalle citazioni degli illustri europeisti precedentemente riportate – è dall’origine intrisa di questo elitismo: le masse che pensano solo a consumare e a riprodursi (inquinando…) non sono all’altezza di potersi sovranamente confrontare con «le sfide del futuro». Quindi devono – contra constitutionem – cedere sovranità alla UE, ossia a quell’istituzione che altro non è che la maschera della classe dominante (illuminata…) in grado di fare attività di lobbying a livello internazionale.
Va inoltre sottolineato che – secondo l’elitaria classe egemone – gli europei hanno un grave difetto: sull’onda della tradizione greca, hanno osato invertire «l’ordine naturale» progettando dei sistemi democratici in cui «la sovranità appartiene al popolo».
(Certo è che sostituire gli europei con popoli che non hanno nessuna nozione della tradizione democratica è una soluzione che ormai viene pure spacciata senza riserve; così, giusto per rendere politicamente significativo il supporto delle élite all’immigrazione. Senza dimenticare che la politica “noborder” è una politica di classe volta a comprimere i salari, ovvero i diritti dei lavoratori, e quindi del popolo sovrano).
Ecco che con la scusa di dover «far balzi in avanti» verso l’integrazione europea, con motivazioni mostrate come neutrali, squisitamente tecnico-economiche – come se la distribuzione del reddito non sia nel capitalismo il massimo motore del conflitto sociale e quindi non sia in sé tutto fuorché «neutrale» – al popolo viene chiesto di cedere sovranità.
Sottratta al popolo la sovranità monetaria, resa libera la circolazione di capitali, beni e persone, non c’è più alcun argine politico ai rapporti di forza internazionali, cristallizzati da quel coacervo di incomprensibili – QUINDI antidemocratiche – norme che portano il nome di Trattati europei. Scardinato così l’art.11 della Costituzione che impone «condizioni di parità» per la ratifica di qualsiasi trattato internazionale, una volta firmati trattati liberoscambisti quali sono quelli UE, queste «condizioni» volte a salvaguardare «l’interesse nazionale» non possono essere più ricercate nel momento in cui vengono lasciate «libere» le forze economiche; libere di invadere barbaricamente i paesi senza alcun sostanziale limite da parte dello Stato. La legge a livello nazionale è così imposta da queste stesse forze devastatrici, in grado di spolpare intere filiere produttive e lasciare solo deindustrializzazione, debiti e disoccupazione. La nuova legalità non è più conforme a Costituzione: e, come ammoniva Calamandrei, in questo modo la Costituzione, frustrata nei suoi principi fondamentalissimi, non è che si sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe stata letteralmente distrutta. E le forze politiche sarebbero barbaramente tornate in libertà, senza alcuna costrizione di carattere legalitario-costituzionale.
Forse che per mettere fine a questa macelleria sociale patrocinata dall’Unione Europea sia necessaria una nuova fase costituente? E se così fosse, esisterebbero le risorse culturali adeguate per creare una Costituzione all’altezza di quella del 1948?
Mentre ci poniamo queste domande siamo difronte a un nuovo trattato internazionale di origine eurounionista – il MES – che preannuncia una nuova ondata di invasioni barbariche.
16/12/2019 di Bazaar
(Fonti e approfondimenti: https://orizzonte48.blogspot.com/2019/12/superata-la-legalita-costituzionalecome.html)