Il Governo, preso atto che l’Italia ha rischiato di restare isolata, tagliata fuori dal mondo, ha inserito nel decreto “Cura Italia” le misure necessarie per salvare la nostra compagnia aerea, un asset fondamentale, specialmente se visto come integrato all’infrastruttura ferroviaria.
Alitalia è stata l’unica compagnia ad effettuare voli da e per la penisola, dopo l’imponente volume di cancellazioni che hanno isolato l’Italia dal punto di vista del trasporto aereo. Nel momento del bisogno Alitalia ha saputo rispondere come sempre, dimostrandosi essenziale per il paese.
Non dimentichiamo però che il trasporto aereo in Italia (ed ora anche in Europa) ha dei problemi che vanno risolti.
Si pensi, ad esempio, ad Air Italy posta in liquidazione volontaria, lasciando “a terra” sia i dipendenti che l’indotto e i passeggeri, causando gravi disagi principalmente in Sardegna.
Il tema Alitalia va affrontato mettendo da parte definitivamente la parola “spezzatino”: ora è prioritario studiare un vero e proprio piano industriale che coinvolga tutto il sistema di trasporto nazionale.
Serve un piano industriale a livello interno ed europeo per la ripresa del paese, che sia profittevole per il settore del trasporto aereo come parte di un sistema intermodale di mobilità.
Il giusto piano industriale dovrebbe puntare decisamente sulle rotte di lungo raggio, che preveda investimenti in flotta, ossia l’esatto contrario di quanto è stato fatto nel corso degli ultimi anni, alla disperata ricerca di una cura dimagrante per rendere la società più snella e appetibile all’ennesimo compratore straniero.
I costi vanno ridotti subito eliminando le rotte inutili, sfruttando invece l’alta velocità con il treno. La nazionalizzazione potrebbe partire con il piede giusto se pensata in questo modo. Questo è il momento di pensare ad una “Newco” insieme a Trenitalia e possibilmente Anas, quindi aereo-treno-gomma.
Gli episodi di queste ultime settimane hanno dimostrato che chi guardava ai modelli low-cost come Ryan Air si sbagliava, perchè la connettività nel trasporto aereo, specialmente per lo sviluppo economico, va pensata con logica O&D (origine e destinazione) e non con rotte punto-punto.
Probabilmente una nuova rotta aperta da una low-cost potrebbe sembrare appetibile perchè genera volumi di traffico in fase iniziale, proprio perchè costituisce una novità, ma una soluzione strutturata e strutturale va proiettata sul medio e lungo termine.
Inoltre le low-cost hanno fruito di molti aiuti economici sotto forma di contratti di comarketing, sempre a carico dei contribuenti, portando pezzi del nostro PIL all’estero e pagando quindi meno tasse rispetto ad Alitalia. E quando parliamo di trasporto aereo in Italia e indotto aeroportuale, parliamo di circa il 5% del nostro PIL.
L’Italia è un paese autorevole che rappresenta un’eccellenza nel mondo e quindi ha bisogno di una compagnia aerea nazionale, collegamenti aerei diretti con altri paesi, un network ampio e alleanze adeguate.
L’Italia è diventata il modello europeo nell’affrontare l’emergenza Coronavirus. Potrebbe diventarlo anche in questo caso, implementando un modello di business per il trasporto integrato all’altezza degli altri paesi europei.
Chi oggi parla di ennesimo salvataggio a discapito dei cittadini dimentica le gestioni scellerate degli ultimi anni: si veda per esempio la gestione Etihad, molto ben documentata nelle ultime inchieste giudiziarie pubblicate sulle principali testate nazionali. Quindi il problema non è lo strumento, in questo caso rappresentato dalla nostra compagnia aerea, ma chi lo ha usato in modo sbagliato e per il proprio tornaconto.
Alitalia e il trasporto intermodale vanno pensati come un unico sistema di promozione territoriale e del “Made in Italy”, come un motore solido e robusto per lo sviluppo del paese.
E’ arrivato il momento che lo stato, oltre ad una partecipazione azionaria diretta o indiretta, abbia funzione di sorveglianza per evitare che quanto successo per le gestioni passate, non si verifichi nuovamente, puntando alla trasparenza e alla parsimonia nell’uso delle risorse economiche e finanziarie.
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Nazionalizzazione Alitalia: passata l’emergenza il nostro paese potrà tornare a volare, più forte di prima
Il Governo, preso atto che l’Italia ha rischiato di restare isolata, tagliata fuori dal mondo, ha inserito nel decreto “Cura Italia” le misure necessarie per salvare la nostra compagnia aerea, un asset fondamentale, specialmente se visto come integrato all’infrastruttura ferroviaria.
Alitalia è stata l’unica compagnia ad effettuare voli da e per la penisola, dopo l’imponente volume di cancellazioni che hanno isolato l’Italia dal punto di vista del trasporto aereo. Nel momento del bisogno Alitalia ha saputo rispondere come sempre, dimostrandosi essenziale per il paese.
Non dimentichiamo però che il trasporto aereo in Italia (ed ora anche in Europa) ha dei problemi che vanno risolti.
Si pensi, ad esempio, ad Air Italy posta in liquidazione volontaria, lasciando “a terra” sia i dipendenti che l’indotto e i passeggeri, causando gravi disagi principalmente in Sardegna.
Il tema Alitalia va affrontato mettendo da parte definitivamente la parola “spezzatino”: ora è prioritario studiare un vero e proprio piano industriale che coinvolga tutto il sistema di trasporto nazionale.
Serve un piano industriale a livello interno ed europeo per la ripresa del paese, che sia profittevole per il settore del trasporto aereo come parte di un sistema intermodale di mobilità.
Il giusto piano industriale dovrebbe puntare decisamente sulle rotte di lungo raggio, che preveda investimenti in flotta, ossia l’esatto contrario di quanto è stato fatto nel corso degli ultimi anni, alla disperata ricerca di una cura dimagrante per rendere la società più snella e appetibile all’ennesimo compratore straniero.
I costi vanno ridotti subito eliminando le rotte inutili, sfruttando invece l’alta velocità con il treno. La nazionalizzazione potrebbe partire con il piede giusto se pensata in questo modo. Questo è il momento di pensare ad una “Newco” insieme a Trenitalia e possibilmente Anas, quindi aereo-treno-gomma.
Gli episodi di queste ultime settimane hanno dimostrato che chi guardava ai modelli low-cost come Ryan Air si sbagliava, perchè la connettività nel trasporto aereo, specialmente per lo sviluppo economico, va pensata con logica O&D (origine e destinazione) e non con rotte punto-punto.
Probabilmente una nuova rotta aperta da una low-cost potrebbe sembrare appetibile perchè genera volumi di traffico in fase iniziale, proprio perchè costituisce una novità, ma una soluzione strutturata e strutturale va proiettata sul medio e lungo termine.
Inoltre le low-cost hanno fruito di molti aiuti economici sotto forma di contratti di comarketing, sempre a carico dei contribuenti, portando pezzi del nostro PIL all’estero e pagando quindi meno tasse rispetto ad Alitalia. E quando parliamo di trasporto aereo in Italia e indotto aeroportuale, parliamo di circa il 5% del nostro PIL.
L’Italia è un paese autorevole che rappresenta un’eccellenza nel mondo e quindi ha bisogno di una compagnia aerea nazionale, collegamenti aerei diretti con altri paesi, un network ampio e alleanze adeguate.
L’Italia è diventata il modello europeo nell’affrontare l’emergenza Coronavirus. Potrebbe diventarlo anche in questo caso, implementando un modello di business per il trasporto integrato all’altezza degli altri paesi europei.
Chi oggi parla di ennesimo salvataggio a discapito dei cittadini dimentica le gestioni scellerate degli ultimi anni: si veda per esempio la gestione Etihad, molto ben documentata nelle ultime inchieste giudiziarie pubblicate sulle principali testate nazionali. Quindi il problema non è lo strumento, in questo caso rappresentato dalla nostra compagnia aerea, ma chi lo ha usato in modo sbagliato e per il proprio tornaconto.
Alitalia e il trasporto intermodale vanno pensati come un unico sistema di promozione territoriale e del “Made in Italy”, come un motore solido e robusto per lo sviluppo del paese.
E’ arrivato il momento che lo stato, oltre ad una partecipazione azionaria diretta o indiretta, abbia funzione di sorveglianza per evitare che quanto successo per le gestioni passate, non si verifichi nuovamente, puntando alla trasparenza e alla parsimonia nell’uso delle risorse economiche e finanziarie.
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