Ogni Natale porta con sé – sentitamente o meno – la celebrazione di una nascita; ma noi non vogliamo ricordare alcunché di sacro, se non nelle convinzioni ideologiche dei suoi padri… fondatori. Parliamo della nascita della UE, i cui padri nobili, almeno secondo certa stampa, sarebbero in odore di santità, mentre a noi, da profani, ci preme semplicemente ricordare la nostalgia che avevano costoro per il Sacro Romano Impero, da cui pensavano forse di trarre la loro «nobiltà».
Simbolico, a proposito, è sicuramente stato il recente accordo franco-tedesco avvenuto ad Aquisgrana, una delle capitali più significative proprio del Sacro Romano Impero (che, similmente alla UE, è bene ricordarlo, «non era né sacro, né romano, e nemmeno un impero» – cit.Voltaire).
Abbiamo negli ultimi articoli sottolineato più volte il ruolo dell’asse franco-tedesco nel dettare i destini dell’Unione Europea: in particolare ricordavamo le parole di Romano Prodi circa la guida tedesca, egemone economicamente, e dell’influenza francese, egemone militarmente.
Se non vi è progetto più imperiale ed elitario che costruire un’area economico-politica rifacendosi ai fasti del Sacro Romano Impero, non c’è un progetto più neoliberale di coloro che dall’esterno spinsero ad un processo federativo in ottica antisocialista e antirussa: gli statunitensi.
Se la pulsione neoliberale arrivava principalmente dagli USA, l’aristocraticismo che ha dato vita al processo di integrazione eurounionista era assolutamente europeo.
In questa occasione commentiamo le affermazioni di due personaggi fondamentali che hanno supportato e influenzato il processo eurounionista; entrambi neoliberali e antidemocratici, ma uno particolarmente noto per essere stato un fervente elitista, un altro noto per essere stato il più importante filosofo politico ed economista neoliberale del secolo scorso. Il primo è il conte Richard Nikolaus von Coudenhove-Kalergi, l’altro è Friedrich August von Hayek: entrambi europei, ed entrambi ben connessi ai circoli rappresentativi dell’influenza statunitense in Europa e nel mondo.
Per evidenziare il gene neoliberale che informa la costruzione eurounionista, evidenziamo alcuni punti fondamentali del pensiero di von Hayek, che fu personalità di spicco tanto in Europa quanto in USA:
«Il sistema federale, nella visione di Von Hayek aiuta ad impedire che i governi nazionali intervengano nell’economia [ovvero evita la possibilità di porre in essere politiche keynesiane e socialiste, ndr], in particolar modo impedisce loro di introdurre politiche protezioniste distorsive del mercato [per i liberali l’interventismo in economia a fini sociali è cattivo perché «distorce» l’allocazione efficiente delle risorse economiche: ovvero finiscono troppi soldi nelle tasche dei più poveri, ndr]. Von Hayek, proprio per il fatto che un governo centrale in una federazione multi-etnica e multi-nazionale avrebbe maggiori difficoltà nel lanciare, programmare e sostenere politiche economiche, per via dell’eterogeneità e della mancanza di coesione interna [la differenza etnica impedisce il consenso democratico necessario per governare l’economia e distribuire la ricchezza secondo giustizia sociale. ndr], ritiene che in questo modo si riuscirebbero a limitare, su base costituzionale, gli interventi di politica economica tipici degli Stati nazionali.» [http://www.thefederalist.eu]
Ossia il federalismo è una strategia dei liberali volta ad imporre il liberismo economico: la differenza nazionale ed etnica di un super-stato federale impedisce di formare un forte governo centrale in grado di essere partecipato democraticamente. Inoltre, come ricorda la tradizione costituzionale socialista, non ci può essere democrazia effettiva se non vi è giustizia sociale, ovvero se non vi è un’equa distribuzione del reddito prodotto.
Un altro autore neoliberista e federalista che collaborò con Hayek è l’economista britannico Lionel Robbins, il quale aggiunge un tassello fondamentale per comprendere il pensiero liberale sottostante all’Unione Europea:
«La scelta – scriveva Robbins – non è fra un piano o l’assenza di piano, ma fra differenti tipi di piano». Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o nazionale [notare che si dà per scontato che le riforme socialiste possono essere messe in atto solo in un contesto «nazionale, ndr]. «La “pianificazione”, nel suo significato moderno, comporta il controllo pubblico della produzione in una forma o in un’altra. L’intento del piano liberale era quello di creare un insieme di istituzioni in cui i piani dei privati potessero armonizzarsi. Lo scopo della moderna (pianificazione) è quello di sostituire i piani privati con quello pubblico – o in ogni caso di relegarli in una posizione di subordinazione».
Ovvero Robbins spiega che la «mano invisibile» del mercato che si dovrebbe autoregolare non è altro che la «mano del legislatore»: gli economisti classici avevano ingenuamente creduto che potesse spontaneamente crearsi un mercato ben ordinato e funzionante anche al livello internazionale, in una situazione di anarchia politica, i federalisti come Robbins eccepiscono che sono invece necessarie istituzioni sovranazionali.
Ma questo ordine liberale internazionale potrebbe mai contemplare la democrazia? Cosa pensavano della democrazia i liberali classici à la Hayek, così influenti sulla costruzione europea e sull’istituzionalizzazione della globalizzazione?
Hayek: «È evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una dittatura può limitare se stessa, e se autolimitata può essere più liberale nelle sue politiche di un’assemblea democratica che non conosce limiti [ovvero un dittatore è più facilmente controllabile dal mercato che una democrazia compiuta. ndr]. Devo ammettere che non è molto probabile che questo avvenga, ma anche così, in un dato momento, potrebbe essere l’unica speranza [i liberali sperano in una dittatura piuttosto che si possa realizzare una democrazia che potrebbe imporre «fini sociali» al mercato, ndr]. Non una speranza sicura perché dipenderà sempre dalla buona volontà di una persona e ci si può fidare di ben poche persone. Ma se è l’unica possibilità in un dato momento, può essere la migliore soluzione nonostante tutto. Ma solo se il governo dittatoriale conduce chiaramente ad una democrazia limitata [ovvero allo Stato minimo liberale, ndr].»
Nella stessa intervista, von Hayek affermava anche:
«La democrazia ha un compito che io chiamo “igienico” per il fatto che assicura che le procedure siano condotte in un modo, appunto, idraulico-sanitario. Non è un fine in sé. Si tratta di una norma procedurale il cui scopo è quello di promuovere la libertà. [Ovvero il processo democratico deve funzionare solo come uno sciacquone che “scarica” decisioni prese altrove, ovvero dal mercato, assicurandone la sua libertà, ndr] Ma [il processo democratico, ndr] non può assolutamente essere messo allo stesso livello della libertà. La libertà necessita di democrazia, ma preferirei temporaneamente sacrificare, ripeto temporaneamente, la democrazia, prima di dover stare senza libertà, anche se temporaneamente. [Il mercato è “libero” se al popolo viene fatto credere di influire politicamente, ma, se al popolo venisse in mente di autodeterminarsi veramente, allora è meglio una dittatura, ndr]»
Questa intervista è stata fatta al tempo di Pinochet.
Non stupiamoci quindi se vi è una qualche mancanza di democrazia in UE: i suoi padri hanno voluto un processo federativo proprio per neutralizzarla.
Per capire fino in fondo l’elitismo classista con cui è stata data ai natali la UE, è utile citare il conte Coudenhove-Kalergi, a cui dobbiamo – tra le tante cose – anche l’Inno alla Gioia di Beethoven come inno dell’Unione Europea.
Secondo il conte, giusto per capire anche il ruolo dell’emigrazione in UE, sarebbe stato necessario rendere omogenea etnicamente tutta l’Europa, passo necessario per abbattere le frontiere di tutto il mondo: «L’uomo del futuro sarà un bastardo. Le razze di oggi e le classi spariranno a causa della scomparsa di spazio, tempo e pregiudizi [e frontiere, ndt]. […] La razza eurasiatica – negroide del futuro, simile nel suo aspetto esteriore a quello degli antichi Egizi, sostituirà la diversità dei popoli con una diversità di individui» (Praktischer Idealismus, 1925, p. 22.)
Prima nota: l’antirazzismo che contraddistingue chi vuole l’immigrazione deregolamentata si radica in realtà in una concezione assolutamente razzista delle relazioni umane.
Seconda nota: l’individualismo a cui aspira l’aristocratico è proprio un caposaldo neoliberale caro oltremodo ad Hayek. In pratica afferma che il compito della UE è di distruggere i popoli europei annientandone l’identità tramite le migrazioni. Le uniche identità che rimarranno alla fine di questo processo saranno individuali, ovvero sradicate e atomizzate; quindi anche le stesse classi sociali verranno a sparire… a parte quella dell’aristocrazia finanziaria.
Direi che ci sono altri migliori natali da celebrare…
Per offrirti la migliore esperienza di navigazione possibile nel nostro sito Web utilizziamo cookie, anche di terza parte. OKPrivacy Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these cookies, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may have an effect on your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
Neoliberismo ed elitismo: i genitori 1 e 2 della UE
Ogni Natale porta con sé – sentitamente o meno – la celebrazione di una nascita; ma noi non vogliamo ricordare alcunché di sacro, se non nelle convinzioni ideologiche dei suoi padri… fondatori. Parliamo della nascita della UE, i cui padri nobili, almeno secondo certa stampa, sarebbero in odore di santità, mentre a noi, da profani, ci preme semplicemente ricordare la nostalgia che avevano costoro per il Sacro Romano Impero, da cui pensavano forse di trarre la loro «nobiltà».
Simbolico, a proposito, è sicuramente stato il recente accordo franco-tedesco avvenuto ad Aquisgrana, una delle capitali più significative proprio del Sacro Romano Impero (che, similmente alla UE, è bene ricordarlo, «non era né sacro, né romano, e nemmeno un impero» – cit.Voltaire).
Abbiamo negli ultimi articoli sottolineato più volte il ruolo dell’asse franco-tedesco nel dettare i destini dell’Unione Europea: in particolare ricordavamo le parole di Romano Prodi circa la guida tedesca, egemone economicamente, e dell’influenza francese, egemone militarmente.
Se non vi è progetto più imperiale ed elitario che costruire un’area economico-politica rifacendosi ai fasti del Sacro Romano Impero, non c’è un progetto più neoliberale di coloro che dall’esterno spinsero ad un processo federativo in ottica antisocialista e antirussa: gli statunitensi.
Se la pulsione neoliberale arrivava principalmente dagli USA, l’aristocraticismo che ha dato vita al processo di integrazione eurounionista era assolutamente europeo.
In questa occasione commentiamo le affermazioni di due personaggi fondamentali che hanno supportato e influenzato il processo eurounionista; entrambi neoliberali e antidemocratici, ma uno particolarmente noto per essere stato un fervente elitista, un altro noto per essere stato il più importante filosofo politico ed economista neoliberale del secolo scorso. Il primo è il conte Richard Nikolaus von Coudenhove-Kalergi, l’altro è Friedrich August von Hayek: entrambi europei, ed entrambi ben connessi ai circoli rappresentativi dell’influenza statunitense in Europa e nel mondo.
Per evidenziare il gene neoliberale che informa la costruzione eurounionista, evidenziamo alcuni punti fondamentali del pensiero di von Hayek, che fu personalità di spicco tanto in Europa quanto in USA:
«Il sistema federale, nella visione di Von Hayek aiuta ad impedire che i governi nazionali intervengano nell’economia [ovvero evita la possibilità di porre in essere politiche keynesiane e socialiste, ndr], in particolar modo impedisce loro di introdurre politiche protezioniste distorsive del mercato [per i liberali l’interventismo in economia a fini sociali è cattivo perché «distorce» l’allocazione efficiente delle risorse economiche: ovvero finiscono troppi soldi nelle tasche dei più poveri, ndr]. Von Hayek, proprio per il fatto che un governo centrale in una federazione multi-etnica e multi-nazionale avrebbe maggiori difficoltà nel lanciare, programmare e sostenere politiche economiche, per via dell’eterogeneità e della mancanza di coesione interna [la differenza etnica impedisce il consenso democratico necessario per governare l’economia e distribuire la ricchezza secondo giustizia sociale. ndr], ritiene che in questo modo si riuscirebbero a limitare, su base costituzionale, gli interventi di politica economica tipici degli Stati nazionali.» [http://www.thefederalist.eu]
Ossia il federalismo è una strategia dei liberali volta ad imporre il liberismo economico: la differenza nazionale ed etnica di un super-stato federale impedisce di formare un forte governo centrale in grado di essere partecipato democraticamente. Inoltre, come ricorda la tradizione costituzionale socialista, non ci può essere democrazia effettiva se non vi è giustizia sociale, ovvero se non vi è un’equa distribuzione del reddito prodotto.
Un altro autore neoliberista e federalista che collaborò con Hayek è l’economista britannico Lionel Robbins, il quale aggiunge un tassello fondamentale per comprendere il pensiero liberale sottostante all’Unione Europea:
«La scelta – scriveva Robbins – non è fra un piano o l’assenza di piano, ma fra differenti tipi di piano». Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o nazionale [notare che si dà per scontato che le riforme socialiste possono essere messe in atto solo in un contesto «nazionale, ndr]. «La “pianificazione”, nel suo significato moderno, comporta il controllo pubblico della produzione in una forma o in un’altra. L’intento del piano liberale era quello di creare un insieme di istituzioni in cui i piani dei privati potessero armonizzarsi. Lo scopo della moderna (pianificazione) è quello di sostituire i piani privati con quello pubblico – o in ogni caso di relegarli in una posizione di subordinazione».
Ovvero Robbins spiega che la «mano invisibile» del mercato che si dovrebbe autoregolare non è altro che la «mano del legislatore»: gli economisti classici avevano ingenuamente creduto che potesse spontaneamente crearsi un mercato ben ordinato e funzionante anche al livello internazionale, in una situazione di anarchia politica, i federalisti come Robbins eccepiscono che sono invece necessarie istituzioni sovranazionali.
Ma questo ordine liberale internazionale potrebbe mai contemplare la democrazia? Cosa pensavano della democrazia i liberali classici à la Hayek, così influenti sulla costruzione europea e sull’istituzionalizzazione della globalizzazione?
Hayek: «È evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una dittatura può limitare se stessa, e se autolimitata può essere più liberale nelle sue politiche di un’assemblea democratica che non conosce limiti [ovvero un dittatore è più facilmente controllabile dal mercato che una democrazia compiuta. ndr]. Devo ammettere che non è molto probabile che questo avvenga, ma anche così, in un dato momento, potrebbe essere l’unica speranza [i liberali sperano in una dittatura piuttosto che si possa realizzare una democrazia che potrebbe imporre «fini sociali» al mercato, ndr]. Non una speranza sicura perché dipenderà sempre dalla buona volontà di una persona e ci si può fidare di ben poche persone. Ma se è l’unica possibilità in un dato momento, può essere la migliore soluzione nonostante tutto. Ma solo se il governo dittatoriale conduce chiaramente ad una democrazia limitata [ovvero allo Stato minimo liberale, ndr].»
Nella stessa intervista, von Hayek affermava anche:
«La democrazia ha un compito che io chiamo “igienico” per il fatto che assicura che le procedure siano condotte in un modo, appunto, idraulico-sanitario. Non è un fine in sé. Si tratta di una norma procedurale il cui scopo è quello di promuovere la libertà. [Ovvero il processo democratico deve funzionare solo come uno sciacquone che “scarica” decisioni prese altrove, ovvero dal mercato, assicurandone la sua libertà, ndr] Ma [il processo democratico, ndr] non può assolutamente essere messo allo stesso livello della libertà. La libertà necessita di democrazia, ma preferirei temporaneamente sacrificare, ripeto temporaneamente, la democrazia, prima di dover stare senza libertà, anche se temporaneamente. [Il mercato è “libero” se al popolo viene fatto credere di influire politicamente, ma, se al popolo venisse in mente di autodeterminarsi veramente, allora è meglio una dittatura, ndr]»
Questa intervista è stata fatta al tempo di Pinochet.
Non stupiamoci quindi se vi è una qualche mancanza di democrazia in UE: i suoi padri hanno voluto un processo federativo proprio per neutralizzarla.
Per capire fino in fondo l’elitismo classista con cui è stata data ai natali la UE, è utile citare il conte Coudenhove-Kalergi, a cui dobbiamo – tra le tante cose – anche l’Inno alla Gioia di Beethoven come inno dell’Unione Europea.
Secondo il conte, giusto per capire anche il ruolo dell’emigrazione in UE, sarebbe stato necessario rendere omogenea etnicamente tutta l’Europa, passo necessario per abbattere le frontiere di tutto il mondo: «L’uomo del futuro sarà un bastardo. Le razze di oggi e le classi spariranno a causa della scomparsa di spazio, tempo e pregiudizi [e frontiere, ndt]. […] La razza eurasiatica – negroide del futuro, simile nel suo aspetto esteriore a quello degli antichi Egizi, sostituirà la diversità dei popoli con una diversità di individui» (Praktischer Idealismus, 1925, p. 22.)
Prima nota: l’antirazzismo che contraddistingue chi vuole l’immigrazione deregolamentata si radica in realtà in una concezione assolutamente razzista delle relazioni umane.
Seconda nota: l’individualismo a cui aspira l’aristocratico è proprio un caposaldo neoliberale caro oltremodo ad Hayek. In pratica afferma che il compito della UE è di distruggere i popoli europei annientandone l’identità tramite le migrazioni. Le uniche identità che rimarranno alla fine di questo processo saranno individuali, ovvero sradicate e atomizzate; quindi anche le stesse classi sociali verranno a sparire… a parte quella dell’aristocrazia finanziaria.
Direi che ci sono altri migliori natali da celebrare…
Buon Natale.
26/12/2019 di Bazaar
(Fonti e approfondimenti:https://orizzonte48.blogspot.com/2014/02/una-dittatura-puo-limitare-se-stessala.html ; https://orizzonte48.blogspot.com/2014/05/la-grande-societa-pan-europeismo-per-la.html)