In questi giorni gran parte degli italiani assiste allibita, sconcertata ed impotente al tentativo di trovare una maggioranza alternativa in seguito alla crisi di governo.
La scusa dei sostenitori di questa “operazione di Palazzo” consiste nell’appellarsi al concetto di una presunta “democrazia parlamentare” interessata esclusivamente alla “governabilità”, per cui, se si trovano accordi per formare una nuova maggioranza, non sarebbe più necessario andare ad elezioni.
Con buona pace della rappresentatività delle forze parlamentari.
Innanzitutto chiariamo che viviamo in una democrazia sociale e non “parlamentare”: la sovranità appartiene al popolo, il Parlamento è solo delegato.
Quindi cosa significa che le forze parlamentari perdono di “rappresentatività”? Significa che per “fatti sopravvenuti” durante legislatura l’orientamento della pubblica opinione cambia e le forze parlamentari non rispecchiano più la volontà popolare.
Ma la rappresentatività è così importante? Ed è giustificato lo sconcerto e la frustrazione della parte di elettorato che reclama le elezioni? Secondo la dottrina costituzionale, come si evince dai lavori dell’Assemblea Costituente, e come confermato dai più autorevoli costituzionalisti, la sovranità popolare si sostanzializza nel suo esercizio continuo, nel tempo, e non si esaurisce nel processo elettorale che dà inizio a una legislatura.
Con le parole di Lelio Basso, padre costituente: «In un ordinamento democratico ci dev’essere corrispondenza continua fra la volontà degli elettori e quella degli eletti […] il nostro ordinamento conosce alcuni meccanismi volti a questo scopo, e [segnatamente] lo scioglimento anticipato delle Camere da parte del Presidente della Repubblica che dovrebbe essere pronunciato quando fosse constatata un’aperta frattura fra Parlamento e Paese».
Cosa afferma Lelio Basso? Che in una democrazia in cui la sovranità appartiene al popolo, e in cui le istituzioni dello Stato sono semplicemente delegate ad esercitare determinate funzioni, il governo deve essere sempre pienamente legittimato non solo dal Parlamento, ma anche – e soprattutto – dal popolo sovrano.
Nel nostro caso, il corso della legislatura è stato segnato da due momenti che hanno comportato lo scrutinio della volontà popolare, segnatamente le elezioni amministrative e quelle europee; elezioni che hanno mostrato un importante scostamento nelle preferenze degli elettori rispetto a quelle avvenute nel marzo del 2018.
Questo segnale politico, data la crisi di governo, dovrebbe – secondo la dottrina costituzionale – portare il Capo dello Stato a valutare immediatamente di sciogliere le Camere. Ciò sino ad ora non è avvenuto. Perché il Presidente della Repubblica non ritiene che sia utile indire elezioni per verificare che la rappresentanza parlamentare sia in linea con la volontà popolare? L’unica risposta che dia senso a tutto ciò, come vedremo, pare debba essere ricercata nella volontà della UE e dai leader politici che ne influenzano le politiche: le dichiarazioni della Merkel apertamente favorevoli a un governo PD-M5S sono eloquenti.
D’altronde lo spirito della nostra Costituzione, secondo i più autorevoli costituzionalisti, dà un indirizzo chiaro; stando con Aldo Moro: «[…] il potere di scioglimento delle Camere [è] uno strumento indispensabile per adeguare la rappresentanza popolare ai reali mutamenti dell’opinione pubblica, al di fuori della durata normale delle legislature…». La costituzionalista Carlassarre rileva che il sopravvenuto difetto di rappresentatività: «…può essere determinat[o] o dalla necessità di affrontare problemi di notevole importanza politica non agitati in occasione della elezione del Parlamento in carica; o dal sospetto di mutamenti intervenuti nello stato della pubblica opinione durante la legislatura (fra i sintomi più caratteristici sono da ricordare i risultati di elezioni parziali…».
Anche Costantino Mortati, il più eminente costituzionalista del XX secolo, non lascia dubbi: «Per quanto riguarda la finalità dello scioglimento, esso in regime democratico non può che essere una: l’accertamento della corrispondenza del popolo e quella dei suoi rappresentanti». Le democrazie moderne «non paiono più contenibili nello schema della pura rappresentanza, e [l’accentuazione del potere politico del corpo elettorale delle democrazie moderne] risulta dall’ampia possibilità offerta di scioglimento delle Camere, nell’intento di fare dell’appello del popolo il mezzo normale di soluzione delle crisi costituzionali».
Il solo strumento efficace affidato ai cittadini politicamente attivi è quindi proprio quella di scegliere i propri rappresentanti; e, la cura di questa consonanza tra elettori ed eletti, è affidata in primis al Presidente della Repubblica, garante dell’effettività del regime democratico che la Costituzione obbliga a rendere effettivo.
Poiché le “elezioni parziali” mostrano che non esiste più una fedele rappresentanza tra elettori ed eletti, di fronte alla crisi di governo, quale miglior strumento democratico soccorre se non andare ad elezioni?
Il Presidente della Repubblica non deve solo verificare che esista una maggioranza idonea a sostenere il governo, ma deve anche accertarsi che questa maggioranza non sia in contrasto con quella espressa dal corpo elettorale o che comunque che non ci sia – stando col costituzionalista Spadaro – «una “frattura” consolidata (per esempio attraverso diverse elezioni e prove referendarie) e inaccettabile (per l’evidenza dell’opinione pubblica) fra la maggioranza parlamentare e l’orientamento prevalente del Paese».
L’orientamento politico del Paese, almeno dal referendum costituzionale del 2016, appare fortemente mutato: il PD ha perso di gran lunga i suoi consensi maggioritari e il M5S, che si appresta ad appoggiare il nuovo esecutivo, ha visto quasi dimezzare il proprio consenso nelle recenti europee. Inoltre, ciò che lascia esterrefatto gran parte dell’elettorato, è come negli anni queste due forze politiche abbiano avuto tali attriti e siano incorse in tali violenti polemiche che non paiono assolutamente adatte ad una alleanza di governo; attriti e polemiche che pure non possono che rispecchiare sentimenti e opinioni dei rispettivi elettori.
Il sopravvenuto difetto di rappresentatività appare patente: perché il Presidente della Repubblica non provvede ad accertare questa “fedeltà” delle forze politiche al popolo sovrano? Perché non si accerta di eventuali “fratture” tra “la maggioranza parlamentare e l’orientamento prevalente del Paese”?
Purtroppo il sospetto è che il Capo dello Stato abbia più a cuore gli interessi di istituzioni sovranazionali, esponenziali degli interessi di paesi stranieri, piuttosto che garantire il rispetto del dettato costituzionale.
La presunzione di questo fatto extra-costituzionale porta a riflettere sulle conseguenze che hanno i trattati europei e l’unione monetaria sulle decisioni politiche all’interno del Paese. Ovvero i vincoli monetari e di bilancio che impongono l’euro e le altre istituzioni eurounioniste permettono un’indebita interferenza di potenze estere ostili agli interessi italiani; paesi che possono influenzare – con mezzi ricattatori, di cui lo “spread” è il più noto – la vita democratica italiana.
Tramite un sistema punitivo fatto di minacce d’infrazione, di uso discrezionale della liquidità della BCE, e un atteggiamento premiale fatto di “ammorbidimenti” e “concessioni”, i paesi concorrenti dell’Italia che egemonizzano le politiche dell’Unione Europea possono mettere indebita pressione sul processo democratico del Paese; pressione magari esercitata al fine di ottenere un esecutivo non conforme all’orientamento politico del popolo italiano ma composto da forze parlamentari subalterne a interessi stranieri.
Questo significa che alle “cessioni di sovranità nazionale” periodicamente chieste dalle istituzioni europee è corrisposta contestualmente una maggiore subordinazione di profilo coloniale e, in egual misura, una cessione di sovranità popolare.
( Per approfondimenti e fonti si veda: http://orizzonte48.blogspot.com/2019/09/quelli-che-la-repubblica-parlamentare-e.html )
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Perché la Costituzione imporrebbe di sciogliere le Camere
In questi giorni gran parte degli italiani assiste allibita, sconcertata ed impotente al tentativo di trovare una maggioranza alternativa in seguito alla crisi di governo.
La scusa dei sostenitori di questa “operazione di Palazzo” consiste nell’appellarsi al concetto di una presunta “democrazia parlamentare” interessata esclusivamente alla “governabilità”, per cui, se si trovano accordi per formare una nuova maggioranza, non sarebbe più necessario andare ad elezioni.
Con buona pace della rappresentatività delle forze parlamentari.
Innanzitutto chiariamo che viviamo in una democrazia sociale e non “parlamentare”: la sovranità appartiene al popolo, il Parlamento è solo delegato.
Quindi cosa significa che le forze parlamentari perdono di “rappresentatività”? Significa che per “fatti sopravvenuti” durante legislatura l’orientamento della pubblica opinione cambia e le forze parlamentari non rispecchiano più la volontà popolare.
Ma la rappresentatività è così importante? Ed è giustificato lo sconcerto e la frustrazione della parte di elettorato che reclama le elezioni? Secondo la dottrina costituzionale, come si evince dai lavori dell’Assemblea Costituente, e come confermato dai più autorevoli costituzionalisti, la sovranità popolare si sostanzializza nel suo esercizio continuo, nel tempo, e non si esaurisce nel processo elettorale che dà inizio a una legislatura.
Con le parole di Lelio Basso, padre costituente: «In un ordinamento democratico ci dev’essere corrispondenza continua fra la volontà degli elettori e quella degli eletti […] il nostro ordinamento conosce alcuni meccanismi volti a questo scopo, e [segnatamente] lo scioglimento anticipato delle Camere da parte del Presidente della Repubblica che dovrebbe essere pronunciato quando fosse constatata un’aperta frattura fra Parlamento e Paese».
Cosa afferma Lelio Basso? Che in una democrazia in cui la sovranità appartiene al popolo, e in cui le istituzioni dello Stato sono semplicemente delegate ad esercitare determinate funzioni, il governo deve essere sempre pienamente legittimato non solo dal Parlamento, ma anche – e soprattutto – dal popolo sovrano.
Nel nostro caso, il corso della legislatura è stato segnato da due momenti che hanno comportato lo scrutinio della volontà popolare, segnatamente le elezioni amministrative e quelle europee; elezioni che hanno mostrato un importante scostamento nelle preferenze degli elettori rispetto a quelle avvenute nel marzo del 2018.
Questo segnale politico, data la crisi di governo, dovrebbe – secondo la dottrina costituzionale – portare il Capo dello Stato a valutare immediatamente di sciogliere le Camere. Ciò sino ad ora non è avvenuto. Perché il Presidente della Repubblica non ritiene che sia utile indire elezioni per verificare che la rappresentanza parlamentare sia in linea con la volontà popolare? L’unica risposta che dia senso a tutto ciò, come vedremo, pare debba essere ricercata nella volontà della UE e dai leader politici che ne influenzano le politiche: le dichiarazioni della Merkel apertamente favorevoli a un governo PD-M5S sono eloquenti.
D’altronde lo spirito della nostra Costituzione, secondo i più autorevoli costituzionalisti, dà un indirizzo chiaro; stando con Aldo Moro: «[…] il potere di scioglimento delle Camere [è] uno strumento indispensabile per adeguare la rappresentanza popolare ai reali mutamenti dell’opinione pubblica, al di fuori della durata normale delle legislature…». La costituzionalista Carlassarre rileva che il sopravvenuto difetto di rappresentatività: «…può essere determinat[o] o dalla necessità di affrontare problemi di notevole importanza politica non agitati in occasione della elezione del Parlamento in carica; o dal sospetto di mutamenti intervenuti nello stato della pubblica opinione durante la legislatura (fra i sintomi più caratteristici sono da ricordare i risultati di elezioni parziali…».
Anche Costantino Mortati, il più eminente costituzionalista del XX secolo, non lascia dubbi: «Per quanto riguarda la finalità dello scioglimento, esso in regime democratico non può che essere una: l’accertamento della corrispondenza del popolo e quella dei suoi rappresentanti». Le democrazie moderne «non paiono più contenibili nello schema della pura rappresentanza, e [l’accentuazione del potere politico del corpo elettorale delle democrazie moderne] risulta dall’ampia possibilità offerta di scioglimento delle Camere, nell’intento di fare dell’appello del popolo il mezzo normale di soluzione delle crisi costituzionali».
Il solo strumento efficace affidato ai cittadini politicamente attivi è quindi proprio quella di scegliere i propri rappresentanti; e, la cura di questa consonanza tra elettori ed eletti, è affidata in primis al Presidente della Repubblica, garante dell’effettività del regime democratico che la Costituzione obbliga a rendere effettivo.
Poiché le “elezioni parziali” mostrano che non esiste più una fedele rappresentanza tra elettori ed eletti, di fronte alla crisi di governo, quale miglior strumento democratico soccorre se non andare ad elezioni?
Il Presidente della Repubblica non deve solo verificare che esista una maggioranza idonea a sostenere il governo, ma deve anche accertarsi che questa maggioranza non sia in contrasto con quella espressa dal corpo elettorale o che comunque che non ci sia – stando col costituzionalista Spadaro – «una “frattura” consolidata (per esempio attraverso diverse elezioni e prove referendarie) e inaccettabile (per l’evidenza dell’opinione pubblica) fra la maggioranza parlamentare e l’orientamento prevalente del Paese».
L’orientamento politico del Paese, almeno dal referendum costituzionale del 2016, appare fortemente mutato: il PD ha perso di gran lunga i suoi consensi maggioritari e il M5S, che si appresta ad appoggiare il nuovo esecutivo, ha visto quasi dimezzare il proprio consenso nelle recenti europee. Inoltre, ciò che lascia esterrefatto gran parte dell’elettorato, è come negli anni queste due forze politiche abbiano avuto tali attriti e siano incorse in tali violenti polemiche che non paiono assolutamente adatte ad una alleanza di governo; attriti e polemiche che pure non possono che rispecchiare sentimenti e opinioni dei rispettivi elettori.
Il sopravvenuto difetto di rappresentatività appare patente: perché il Presidente della Repubblica non provvede ad accertare questa “fedeltà” delle forze politiche al popolo sovrano? Perché non si accerta di eventuali “fratture” tra “la maggioranza parlamentare e l’orientamento prevalente del Paese”?
Purtroppo il sospetto è che il Capo dello Stato abbia più a cuore gli interessi di istituzioni sovranazionali, esponenziali degli interessi di paesi stranieri, piuttosto che garantire il rispetto del dettato costituzionale.
La presunzione di questo fatto extra-costituzionale porta a riflettere sulle conseguenze che hanno i trattati europei e l’unione monetaria sulle decisioni politiche all’interno del Paese. Ovvero i vincoli monetari e di bilancio che impongono l’euro e le altre istituzioni eurounioniste permettono un’indebita interferenza di potenze estere ostili agli interessi italiani; paesi che possono influenzare – con mezzi ricattatori, di cui lo “spread” è il più noto – la vita democratica italiana.
Tramite un sistema punitivo fatto di minacce d’infrazione, di uso discrezionale della liquidità della BCE, e un atteggiamento premiale fatto di “ammorbidimenti” e “concessioni”, i paesi concorrenti dell’Italia che egemonizzano le politiche dell’Unione Europea possono mettere indebita pressione sul processo democratico del Paese; pressione magari esercitata al fine di ottenere un esecutivo non conforme all’orientamento politico del popolo italiano ma composto da forze parlamentari subalterne a interessi stranieri.
Questo significa che alle “cessioni di sovranità nazionale” periodicamente chieste dalle istituzioni europee è corrisposta contestualmente una maggiore subordinazione di profilo coloniale e, in egual misura, una cessione di sovranità popolare.
( Per approfondimenti e fonti si veda: http://orizzonte48.blogspot.com/2019/09/quelli-che-la-repubblica-parlamentare-e.html )
04/09/2019 di Bazaar