L’UE non ha soldi, né armi e ha perso ogni credibilità
La prima vittima del Coronavirus è proprio la costruzione europea, che – come previsto e predetto da vari economisti bollati come “euroscettici” nel corso degli anni – non ha in sè gli elementi strutturali capaci di reggere ad un forte shock esogeno come quello arrivato quest’anno, con l’esplosione della pandemia da Covid-19.
E il punto più debole della già fragile, disarmonica, claudicante impalcatura nata dai sogni di Ventotene, è proprio l’eurozona, che già prima dell’arrivo dello tsunami pandemico arrancava vistosamente, rispetto ai competitor atlantici ed asiatici, nella sfida economica globale della competitività.
La moneta unica, nata con lo scopo di accelerare l’integrazione europea forzandone le tappe, ha finito invece per ampliare la divergenze economiche fra gli stati membri, rinforzando i più forti ed indebolendo i più deboli. Ed inevitabilmente, i cittadini dei Paesi europei costretti ad una concorrenza selvaggia l’uno contro l’altro, nell’inseguimento dissennato del primato nell’export, hanno iniziato a guardare ai propri vicini prima con diffidenza, poi con freddezza, oggi con dichiarato rancore.
L’Unione non è più unita, né potrà più esserlo in assenza del collante fondamentale che unisce i popoli: la comunanza di obiettivi e la condivisione di premi e sacrifici, equanime e ragionevole.
Alla già difficile integrazione identitaria fra stirpi con culture, etnie, lingue, storie e tradizioni molto differenti, si è aggiunta oggi la devastante constatazione del cinico approfittarsi dei rispettivi governi delle debolezze dei propri “partner” (in realtà, come si diceva, competitor) per tentare il dribbling nella ripartenza ed approfittare del vantaggio sul mercato dato dalla migliore resilienza del proprio sistema economico rispetto agli impatti deleteri del lockdown.
Ed infine, il colpo di grazia: il pesante tonfo del paravento spiegato dalla Commissione e dal Parlamento nei loro ridondanti proclami di “solidarietà” e “ambiziosi obiettivi”, demolito prima dai veti incrociati opposti nell’Eurogruppo e nel Consiglio Europeo ad ogni misura di condivisione del peso economico del contrasto all’emergenza ed alla stessa costituzione di un bilancio pluriennale adeguato alle esigenze prospettatesi, poi dalla deflagrante pronuncia della Corte costituzionale tedesca, che ha in un sol colpo negato autorevolezza alla Corte di giustizia europea; abolito il principio dell’indipendenza della BCE e delle banche centrali e mutilato ogni prospettiva di intervento monetario a salvataggio dell’euro e dei Paesi del sud Europa.
Così, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto spiegare e dimostrare al mondo ed ai propri cittadini la propria forza ed unità, l’UE si scopre disarmata, frammentata, spoglia di ogni simulacro di potere e integrità.
Cadono nel vuoto le incessanti richieste di aiuto di Paesi, categorie produttive, piccole imprese, corpi sociali.
Le casse dell’UE sono vuote ed i pochi spicci rimasti nei fondi dai nomi altisonanti sono blindati e inattingibili, se non a costi sociali e politici assolutamente insostenibili.
E’ tempo di prepararsi alla transizione, organizzare il trasloco dal grattacielo di cristallo che sta andando in frantumi, per riorganizzarsi una vita presente e futura nella nostra antica, amata casa natale.
Di fronte ai terremoti, gli edifici della nostra straordinaria storia si sono spesso dimostrati più sicuri e solidi di molti nuovi palazzi. Ora riscopriremo l’importanza di assicurare la necessaria manutenzione ai nostri beni nazionali che per troppo tempo abbiamo abbandonato, e dobbiamo ricominciare a contare di più su noi stessi invece che affidarci ai salvatori d’oltralpe.
C’è tanto lavoro da fare, c’è un Paese da ricostruire e solo gli Italiani possono e vogliono davvero farlo.
L’Italia è il nostro futuro, l’Unione europea presto sarà il passato: indugiare troppo su rimorsi e rimpianti non è saggio né utile. Rimbocchiamoci le maniche e ripartiamo.
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REQUIEM PER UN’ILLUSIONE
L’UE non ha soldi, né armi e ha perso ogni credibilità
La prima vittima del Coronavirus è proprio la costruzione europea, che – come previsto e predetto da vari economisti bollati come “euroscettici” nel corso degli anni – non ha in sè gli elementi strutturali capaci di reggere ad un forte shock esogeno come quello arrivato quest’anno, con l’esplosione della pandemia da Covid-19.
E il punto più debole della già fragile, disarmonica, claudicante impalcatura nata dai sogni di Ventotene, è proprio l’eurozona, che già prima dell’arrivo dello tsunami pandemico arrancava vistosamente, rispetto ai competitor atlantici ed asiatici, nella sfida economica globale della competitività.
La moneta unica, nata con lo scopo di accelerare l’integrazione europea forzandone le tappe, ha finito invece per ampliare la divergenze economiche fra gli stati membri, rinforzando i più forti ed indebolendo i più deboli. Ed inevitabilmente, i cittadini dei Paesi europei costretti ad una concorrenza selvaggia l’uno contro l’altro, nell’inseguimento dissennato del primato nell’export, hanno iniziato a guardare ai propri vicini prima con diffidenza, poi con freddezza, oggi con dichiarato rancore.
L’Unione non è più unita, né potrà più esserlo in assenza del collante fondamentale che unisce i popoli: la comunanza di obiettivi e la condivisione di premi e sacrifici, equanime e ragionevole.
Alla già difficile integrazione identitaria fra stirpi con culture, etnie, lingue, storie e tradizioni molto differenti, si è aggiunta oggi la devastante constatazione del cinico approfittarsi dei rispettivi governi delle debolezze dei propri “partner” (in realtà, come si diceva, competitor) per tentare il dribbling nella ripartenza ed approfittare del vantaggio sul mercato dato dalla migliore resilienza del proprio sistema economico rispetto agli impatti deleteri del lockdown.
Ed infine, il colpo di grazia: il pesante tonfo del paravento spiegato dalla Commissione e dal Parlamento nei loro ridondanti proclami di “solidarietà” e “ambiziosi obiettivi”, demolito prima dai veti incrociati opposti nell’Eurogruppo e nel Consiglio Europeo ad ogni misura di condivisione del peso economico del contrasto all’emergenza ed alla stessa costituzione di un bilancio pluriennale adeguato alle esigenze prospettatesi, poi dalla deflagrante pronuncia della Corte costituzionale tedesca, che ha in un sol colpo negato autorevolezza alla Corte di giustizia europea; abolito il principio dell’indipendenza della BCE e delle banche centrali e mutilato ogni prospettiva di intervento monetario a salvataggio dell’euro e dei Paesi del sud Europa.
Così, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto spiegare e dimostrare al mondo ed ai propri cittadini la propria forza ed unità, l’UE si scopre disarmata, frammentata, spoglia di ogni simulacro di potere e integrità.
Cadono nel vuoto le incessanti richieste di aiuto di Paesi, categorie produttive, piccole imprese, corpi sociali.
Le casse dell’UE sono vuote ed i pochi spicci rimasti nei fondi dai nomi altisonanti sono blindati e inattingibili, se non a costi sociali e politici assolutamente insostenibili.
E’ tempo di prepararsi alla transizione, organizzare il trasloco dal grattacielo di cristallo che sta andando in frantumi, per riorganizzarsi una vita presente e futura nella nostra antica, amata casa natale.
Di fronte ai terremoti, gli edifici della nostra straordinaria storia si sono spesso dimostrati più sicuri e solidi di molti nuovi palazzi. Ora riscopriremo l’importanza di assicurare la necessaria manutenzione ai nostri beni nazionali che per troppo tempo abbiamo abbandonato, e dobbiamo ricominciare a contare di più su noi stessi invece che affidarci ai salvatori d’oltralpe.
C’è tanto lavoro da fare, c’è un Paese da ricostruire e solo gli Italiani possono e vogliono davvero farlo.
L’Italia è il nostro futuro, l’Unione europea presto sarà il passato: indugiare troppo su rimorsi e rimpianti non è saggio né utile. Rimbocchiamoci le maniche e ripartiamo.