Il liberismo ha «esagerato sino alla stravaganza quel criterio che si può chiamare brevemente dei risultati finanziari, quale segno della opportunità di una azione qualsiasi, di iniziativa privata o collettiva. Tutta la condotta della vita era stata ridotta a una specie di parodia dell’incubo di un contabile. Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell’ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d’opinione che fosse giusto ed opportuno di costruire delle catapecchie perché le catapecchie, alla prova dell’iniziativa privata, «rendevano», mentre la città delle meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell’idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe «ipotecato il futuro», sebbene non si riesca a vedere, a meno che non si abbia la mente obnubilata da false analogie tratte da una inapplicabile contabilità, come la costruzione oggi di opere grandiose e magnifiche possa impoverire il futuro.
Ancor oggi io spendo il mio tempo, – in parte vanamente, ma in parte anche, lo devo ammettere, con qualche successo, a convincere i miei compatrioti che la nazione nel suo insieme sarebbe senza dubbio più ricca se gli uomini e le macchine disoccupate fossero adoperate per costruire le case di cui si ha tanto bisogno, che non se essi sono mantenuti nell’ozio. Ma le menti di questa generazione sono così offuscate da calcoli sofisticati, che esse diffidano di conclusioni che dovrebbero essere ovvie, e questo ancora per la cieca fiducia che hanno in un sistema di contabilità finanziaria che mette in dubbio se un’operazione del genere «renderebbe». Noi dobbiamo restare poveri perché essere ricchi non «rende». Noi dobbiamo vivere in tuguri, non perché non possiamo costruire dei palazzi, ma perché non ce li possiamo «permettere».» J.M. Keynes, 1933, Autarchia economica.
Il crollo dell’economia mondiale sta subendo un’accelerazione impressionante a causa dell’epidemia in corso, e, tra le prime nazioni al mondo che si trovano a fronteggiare l’emergenza sanitaria, sociale ed economica, ci sta proprio il nostro Paese.
La globalizzazione, ossia il ripristino dell’ordine internazionale dei mercati, porta il suo periodico conto salato a ciò che rimane degli Stati nazionali desovranizzati: gli squilibri dovuti al liberoscambismo, alla deregolamentazione finanziaria e alla “libera” circolazione di persone (ed epidemie), ci stanno portando di nuovo in una disastrosa recessione dopo anni di stagnazione.
La cessazione dell’attività economica in gran parte del territorio italiano a causa dell’epidemia sta dando il colpo di grazia al nostro Paese: l’economista Ashoka Mody è chiaro nell’affermare che l’Italia, a differenza di altri Paesi colpiti dalla crisi, non potrebbe mai resistere a «sei mesi di recessione».
E di fronte a queste catastrofi che si susseguono l’una all’altra come può reagire il Paese? Il problema è evidente: l’ordine internazionale dei mercati, oltre ad avere causato la catastrofe, ci ha pure tolto le leve politiche per poterla gestire, desovranizzandoci.
Per inciso: quando si sentono affermazioni eversive di personaggi pubblici che chiedono «cessioni di sovranità» alla UE – insieme di istituzioni nate da trattati internazionali di tipo economico – significa proprio alienare sovranità «ai mercati», ovvero ai grandi oligopolisti delle nazioni egemoni.
Le solerti forze europeiste, guidate dai solerti tecnocrati e dalle altrettanto solerti alte-burocrazie, non fanno altro che sostenere questo processo di depauperazione e di neocolonizzazione; i danni sono così gravi che anche la cosmesi ideologica – il «sogno europeo!» – risulta da tempo grottesca e tragicomica.
Mentre questa vera e propria quinta colonna che controlla qualsiasi forma di propaganda tiene immobile l’Italia nella sua posizione subalterna, i vincoli monetari e fiscali dovuti all’appartenenza del nostro Paese all’eurozona strangolano la nostra economia, esponendoci al ricatto e alla razzia delle forze predatrici di mercato e delle nazioni a noi ostili. In tutto ciò i media di tutto il mondo, con l’ausilio dell’incredibile gestione comunicativa del governo «Conte2», sono riusciti ad additarci come untori del mondo, come appestati.
Risultato? Tutti i clienti stranieri, tutti gli appuntamenti lavorativi funzionali all’export e tutti i turisti si sono in pochi giorni dileguati: un disastro di proporzioni incalcolabili: rapidamente gran parte dell’attività economica del Paese si è fermata a causa delle disposizioni di quarantena.
Mentre i media del pianeta in brevissimo tempo hanno trasformato l’Italia nella responsabile del corso pandemico della malattia e dell’inizio del collasso finanziario globale, il nostro governo si ritrova a pietire spiccioli inutili – 3,7 mld. di euro – a Bruxelles: l’Italia avrebbe bisogno di un’espansione fiscale e monetaria senza precedenti, di rilanciare la domanda interna con piani di investimenti e assunzioni pubbliche, cominciando dalla messa in sicurezza delle infrastrutture e dal potenziamento… del Servizio Sanitario Nazionale.
Nota: le assunzioni nel pubblico impiego sono la spesa pubblica che ha un più alto «moltiplicatore». Il moltiplicatore keynesiano è un coefficiente che misura l’incremento di reddito nazionale in rapporto all’incremento di una o più variabili macroeconomiche, come la spesa pubblica. Ovvero la spesa pubblica, componente positiva della ricchezza nazionale, incrementa in modo più che proporzionale la ricchezza nazionale, e lo fa con un coefficiente maggiore rispetto ad ogni altro impiego quando viene usata per assunzione di dipendenti pubblici. Ed è intuitivo il motivo: il salario del dipendente pubblico si trasforma in buona parte in consumi che diventano il reddito di altri soggetti economici.
Perché quindi non finanziare nuove strutture ospedaliere, nuovi reparti, assumere nuovi medici ed infermieri, ad esempio? Si contempererebbero in modo sinergico sia la risposta all’emergenza sanitaria, sia la risposta al problema sociale, sia la soluzione anticiclica al disastro economico.
Bene: tutto ciò non è possibile perché i pasdaran dell’europeismo collaborano a tenere il nostro Paese in una gabbia in cui la politica monetaria è in mano a chi compete economicamente con le nostre imprese mentre la politica finanziaria e fiscale è rigidamente normata dai trattati europei.
Ma quest’incubo del contabile, al di là delle norme europee, pare essere – come al solito – un trattamento punitivo riservato esclusivamente all’Italia: pure agli europeisti più ideologici e dissociati sono tremati i polsi quando la Germania ha annunciato, senza chiedere servilmente a nessuno. che avrebbe finanziato tramite il suo sistema bancario le sue imprese con 550 mld. di euro.
Solo grazie all’intervento delle opposizioni e, in particolare, degli economisti della Lega, il governo italiano ha deciso di aumentare il supporto alle imprese a 25 mld di euro.
Siamo così nell’assoluta impossibilità di aumentare i presidi ospedalieri, di fornire strumentazioni e materiale medico adeguati, o assumere a salari interessanti personale sanitario d’eccellenza; anzi, sono decenni che le regoli fiscali e finanziarie della UE costringono i vari governi a sottrarre risorse alla sanità, a diminuire il numero di posti letto disponibili e il tempo di degenza medio dei pazienti; a chiudere i fondamentali piccoli presidi territoriali che la geografia della nostra penisola rende indispensabili; a privatizzare sempre più servizi sanitari, rendendoli più onerosi.
In tutto ciò la sinistra europeista non fa che uscirsene con deliranti dichiarazioni invocando «più Europa» mentre i nostri medici, i nostri imprenditori, e le nostre famiglie piangono dalla disperazione per il sommarsi della catastrofe economica all’emergenza sanitaria. Mentre gli europeisti chiedono una soluzione sovranazionale a un problema nazionale, francesi e tedeschi – che non fanno altro che deriderci e saccheggiare il nostro patrimonio – bloccano le esportazioni di materiale sanitario utile a fronteggiare l’epidemia: altro che cooperazione internazionale!
In tutto ciò la beffa dei media asserviti al capitale franco-tedesco che, con l’allucinante gestione dell’emergenza di questo governo, hanno fatto passare le regioni produttive italiane per i peggior focolai dell’epidemia mondiale quando i primi contagi in Europa, nel silenzio colpevole delle autorità, sono avvenuti in Germania.
Ci chiediamo fino a quando gli italiani continueranno a sopportare tutto questo.
Tragiche pure le oltremodo tardive dichiarazioni degli esponenti politici europeisti che invocano politiche economiche anticicliche di fronte al baratro della recessione: un europeista pare così essere tale se e solo se non distingue fra “partner europei” e nazioni ostili ai nostri interessi nazionali e, soprattutto, se non conosce i trattati europei:
a) la BCE non può finanziare direttamente la spesa pubblica dei Paesi dell’eurozona [art.123 TFUE].
Nota: il presidente della BCE Christine Lagarde, col massimo disprezzo di chi è abituato a porre in essere politiche neocoloniali, ha ricordato la disposizione di questa norma gettando benzina sul fuoco degli «spread». A beneficio di chi crede alla favola del «sogno europeo».
b) è sancito il divieto di piani di investimento di carattere infrastrutturale da parte delle istituzioni europee, le quali delegano alla (oramai inesistente) capacità fiscale degli Stati nazionali [art.124 TFUE];
c) è vietata qualsiasi solidarietà fiscale tra Stati membri, fatto che impedisce qualsiasi tipo di trasferimento centralizzato tipico degli Stati federali [art.125 TFUE];
d) è sancito il divieto di qualsiasi salvataggio [bail-out] degli Stati membri in crisi debitoria, i quali possono solo ricorrere a misure di austerità [Fiscal Compact];
e) i problemi di solvibilità del settore privato non possono quindi essere risolti dallo Stato, con la conseguente ondata di insolvenze creditizie, la relativa svendita dei crediti in sofferenza e delle garanzie sottostanti, fino all’esproprio di azionisti, obbligazionisti e persino di depositanti. [Unione Bancaria]
f) le difficoltà d’accesso al mercato degli Stati devono essere preferibilmente risolte attraverso il default sui titoli del debito pubblico [nuovo MES e relative clausole CACS].
È evidente che se si vogliono implementare politiche anticicliche è necessario che l’Italia si comporti come se queste norme non esistessero e che si metta in discussione tutto l’edificio normativo dell’eurozona.
Dentro questo quadro economico-istituzionale, di fronte all’emergenza economico-sanitaria, è chiaro che l’europeismo, e la subalternità della nostra classe dirigente all’egemonia franco-tedesca, hanno portato gli italiani in un vicolo cieco, a un passo dal baratro. E i nostri Quisling vorrebbero dare la “spintina” finale facendoci firmare proprio in questi giorno – casualmente! – il nuovo MES…
Bazaar
(Per fonti e approfondimenti: link; link; link)
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Servizio Sanitario Nazionale, epidemie ed europeismo: l’incubo del contabile vale solo per l’Italia
Il liberismo ha «esagerato sino alla stravaganza quel criterio che si può chiamare brevemente dei risultati finanziari, quale segno della opportunità di una azione qualsiasi, di iniziativa privata o collettiva. Tutta la condotta della vita era stata ridotta a una specie di parodia dell’incubo di un contabile. Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell’ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d’opinione che fosse giusto ed opportuno di costruire delle catapecchie perché le catapecchie, alla prova dell’iniziativa privata, «rendevano», mentre la città delle meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell’idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe «ipotecato il futuro», sebbene non si riesca a vedere, a meno che non si abbia la mente obnubilata da false analogie tratte da una inapplicabile contabilità, come la costruzione oggi di opere grandiose e magnifiche possa impoverire il futuro.
Ancor oggi io spendo il mio tempo, – in parte vanamente, ma in parte anche, lo devo ammettere, con qualche successo, a convincere i miei compatrioti che la nazione nel suo insieme sarebbe senza dubbio più ricca se gli uomini e le macchine disoccupate fossero adoperate per costruire le case di cui si ha tanto bisogno, che non se essi sono mantenuti nell’ozio. Ma le menti di questa generazione sono così offuscate da calcoli sofisticati, che esse diffidano di conclusioni che dovrebbero essere ovvie, e questo ancora per la cieca fiducia che hanno in un sistema di contabilità finanziaria che mette in dubbio se un’operazione del genere «renderebbe». Noi dobbiamo restare poveri perché essere ricchi non «rende». Noi dobbiamo vivere in tuguri, non perché non possiamo costruire dei palazzi, ma perché non ce li possiamo «permettere».» J.M. Keynes, 1933, Autarchia economica.
Il crollo dell’economia mondiale sta subendo un’accelerazione impressionante a causa dell’epidemia in corso, e, tra le prime nazioni al mondo che si trovano a fronteggiare l’emergenza sanitaria, sociale ed economica, ci sta proprio il nostro Paese.
La globalizzazione, ossia il ripristino dell’ordine internazionale dei mercati, porta il suo periodico conto salato a ciò che rimane degli Stati nazionali desovranizzati: gli squilibri dovuti al liberoscambismo, alla deregolamentazione finanziaria e alla “libera” circolazione di persone (ed epidemie), ci stanno portando di nuovo in una disastrosa recessione dopo anni di stagnazione.
La cessazione dell’attività economica in gran parte del territorio italiano a causa dell’epidemia sta dando il colpo di grazia al nostro Paese: l’economista Ashoka Mody è chiaro nell’affermare che l’Italia, a differenza di altri Paesi colpiti dalla crisi, non potrebbe mai resistere a «sei mesi di recessione».
E di fronte a queste catastrofi che si susseguono l’una all’altra come può reagire il Paese? Il problema è evidente: l’ordine internazionale dei mercati, oltre ad avere causato la catastrofe, ci ha pure tolto le leve politiche per poterla gestire, desovranizzandoci.
Per inciso: quando si sentono affermazioni eversive di personaggi pubblici che chiedono «cessioni di sovranità» alla UE – insieme di istituzioni nate da trattati internazionali di tipo economico – significa proprio alienare sovranità «ai mercati», ovvero ai grandi oligopolisti delle nazioni egemoni.
Le solerti forze europeiste, guidate dai solerti tecnocrati e dalle altrettanto solerti alte-burocrazie, non fanno altro che sostenere questo processo di depauperazione e di neocolonizzazione; i danni sono così gravi che anche la cosmesi ideologica – il «sogno europeo!» – risulta da tempo grottesca e tragicomica.
Mentre questa vera e propria quinta colonna che controlla qualsiasi forma di propaganda tiene immobile l’Italia nella sua posizione subalterna, i vincoli monetari e fiscali dovuti all’appartenenza del nostro Paese all’eurozona strangolano la nostra economia, esponendoci al ricatto e alla razzia delle forze predatrici di mercato e delle nazioni a noi ostili. In tutto ciò i media di tutto il mondo, con l’ausilio dell’incredibile gestione comunicativa del governo «Conte2», sono riusciti ad additarci come untori del mondo, come appestati.
Risultato? Tutti i clienti stranieri, tutti gli appuntamenti lavorativi funzionali all’export e tutti i turisti si sono in pochi giorni dileguati: un disastro di proporzioni incalcolabili: rapidamente gran parte dell’attività economica del Paese si è fermata a causa delle disposizioni di quarantena.
Mentre i media del pianeta in brevissimo tempo hanno trasformato l’Italia nella responsabile del corso pandemico della malattia e dell’inizio del collasso finanziario globale, il nostro governo si ritrova a pietire spiccioli inutili – 3,7 mld. di euro – a Bruxelles: l’Italia avrebbe bisogno di un’espansione fiscale e monetaria senza precedenti, di rilanciare la domanda interna con piani di investimenti e assunzioni pubbliche, cominciando dalla messa in sicurezza delle infrastrutture e dal potenziamento… del Servizio Sanitario Nazionale.
Nota: le assunzioni nel pubblico impiego sono la spesa pubblica che ha un più alto «moltiplicatore». Il moltiplicatore keynesiano è un coefficiente che misura l’incremento di reddito nazionale in rapporto all’incremento di una o più variabili macroeconomiche, come la spesa pubblica. Ovvero la spesa pubblica, componente positiva della ricchezza nazionale, incrementa in modo più che proporzionale la ricchezza nazionale, e lo fa con un coefficiente maggiore rispetto ad ogni altro impiego quando viene usata per assunzione di dipendenti pubblici. Ed è intuitivo il motivo: il salario del dipendente pubblico si trasforma in buona parte in consumi che diventano il reddito di altri soggetti economici.
Perché quindi non finanziare nuove strutture ospedaliere, nuovi reparti, assumere nuovi medici ed infermieri, ad esempio? Si contempererebbero in modo sinergico sia la risposta all’emergenza sanitaria, sia la risposta al problema sociale, sia la soluzione anticiclica al disastro economico.
Bene: tutto ciò non è possibile perché i pasdaran dell’europeismo collaborano a tenere il nostro Paese in una gabbia in cui la politica monetaria è in mano a chi compete economicamente con le nostre imprese mentre la politica finanziaria e fiscale è rigidamente normata dai trattati europei.
Ma quest’incubo del contabile, al di là delle norme europee, pare essere – come al solito – un trattamento punitivo riservato esclusivamente all’Italia: pure agli europeisti più ideologici e dissociati sono tremati i polsi quando la Germania ha annunciato, senza chiedere servilmente a nessuno. che avrebbe finanziato tramite il suo sistema bancario le sue imprese con 550 mld. di euro.
Solo grazie all’intervento delle opposizioni e, in particolare, degli economisti della Lega, il governo italiano ha deciso di aumentare il supporto alle imprese a 25 mld di euro.
Siamo così nell’assoluta impossibilità di aumentare i presidi ospedalieri, di fornire strumentazioni e materiale medico adeguati, o assumere a salari interessanti personale sanitario d’eccellenza; anzi, sono decenni che le regoli fiscali e finanziarie della UE costringono i vari governi a sottrarre risorse alla sanità, a diminuire il numero di posti letto disponibili e il tempo di degenza medio dei pazienti; a chiudere i fondamentali piccoli presidi territoriali che la geografia della nostra penisola rende indispensabili; a privatizzare sempre più servizi sanitari, rendendoli più onerosi.
In tutto ciò la sinistra europeista non fa che uscirsene con deliranti dichiarazioni invocando «più Europa» mentre i nostri medici, i nostri imprenditori, e le nostre famiglie piangono dalla disperazione per il sommarsi della catastrofe economica all’emergenza sanitaria. Mentre gli europeisti chiedono una soluzione sovranazionale a un problema nazionale, francesi e tedeschi – che non fanno altro che deriderci e saccheggiare il nostro patrimonio – bloccano le esportazioni di materiale sanitario utile a fronteggiare l’epidemia: altro che cooperazione internazionale!
In tutto ciò la beffa dei media asserviti al capitale franco-tedesco che, con l’allucinante gestione dell’emergenza di questo governo, hanno fatto passare le regioni produttive italiane per i peggior focolai dell’epidemia mondiale quando i primi contagi in Europa, nel silenzio colpevole delle autorità, sono avvenuti in Germania.
Ci chiediamo fino a quando gli italiani continueranno a sopportare tutto questo.
Tragiche pure le oltremodo tardive dichiarazioni degli esponenti politici europeisti che invocano politiche economiche anticicliche di fronte al baratro della recessione: un europeista pare così essere tale se e solo se non distingue fra “partner europei” e nazioni ostili ai nostri interessi nazionali e, soprattutto, se non conosce i trattati europei:
Nota: il presidente della BCE Christine Lagarde, col massimo disprezzo di chi è abituato a porre in essere politiche neocoloniali, ha ricordato la disposizione di questa norma gettando benzina sul fuoco degli «spread». A beneficio di chi crede alla favola del «sogno europeo».
È evidente che se si vogliono implementare politiche anticicliche è necessario che l’Italia si comporti come se queste norme non esistessero e che si metta in discussione tutto l’edificio normativo dell’eurozona.
Dentro questo quadro economico-istituzionale, di fronte all’emergenza economico-sanitaria, è chiaro che l’europeismo, e la subalternità della nostra classe dirigente all’egemonia franco-tedesca, hanno portato gli italiani in un vicolo cieco, a un passo dal baratro. E i nostri Quisling vorrebbero dare la “spintina” finale facendoci firmare proprio in questi giorno – casualmente! – il nuovo MES…
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