La fine dell’estate porta sempre con sè un senso di svogliatezza, la percezione della pesantezza dell’anno da affrontare con nuove responsabilità, impegni, problemi da gestire e da risolvere.
L’ideale sarebbe trovare dentro di sè uno sprone, lo stimolo a ricominciare la vita di tutti i giorni con una carica positiva, con nuovi progetti e sana determinazione.
Purtroppo però, non tutti hanno la fortuna di trovare tali risorse guardandosi dentro, e mi duole moltissimo ammettere che io rientro fra questi ultimi.
L’estate è iniziata con un’aspettativa delusa, al seguito del concludersi della crisi greca con l’accordo più iniquo di sempre, che ha visto il trionfo delle ricette di austerità – ormai universalmente note per essere devastanti – imposte dalla Troika al popolo greco, sull’alternativa di rinnovamento e di ricostruzione del Paese che Syriza aveva spiegato di fronte al mondo intero. Era una lotta impari, ed era probabilmente inevitabile che finisse così, ma per un attimo avevamo sperato che la falla apertasi nella fiancata del Titanic UE ne avrebbe finalmente segnato il naufragio.
Invece, con l’appoggio e le pressioni di Obama su tutti i soggetti coinvolti (inclusa la Russia)ed il vile collaborazionismo dei Paesi del sud Europa tramite i governi filoeuropeisti di matrice neoliberale, il temerario Tsipras si è trovato isolato, con le spalle al muro e diverse pistole puntate alla tempia. Non poteva che capitolare, e francamente trovo inutile infierire sul poveretto, che almeno ha avuto il coraggio di lottare come un pazzo finché ha potuto, prima di arrendersi. Non lo considererei un traditore, ma semplicemente uno sconfitto.
L’estate ora volge al termine con un bilancio agghiacciante di vite umane perdute dai migliaia di disperati che, via mare o via terra, hanno tentato invano di ricostruire il proprio futuro nella “terra promessa” dell’Europa, e che invece di fiumi di latte e miele hanno trovato trincee di filo spinato, fiumi gelidi da attraversare, onde mortali e imbarcazioni gremite e guidate da scafisti senza alcuna forma di umana pietà.
Di fronte ad una tragedia come questa, di proporzioni epocali, della quale non si vede ancora la fine, fioccano analisi e proposte da far rabbrividire il più truce dei gerarchi: chi vuole erigere muri anche in mezzo al Mediterraneo, chi propone di creare campi di lavoro in Africa (sic!) o chi afferma che è in atto un “piano di sostituzione etnica” di risalente concezione, che punta al meticciato della nostra pura razza europea (quale?) tramite l’invasione programmata dei nostri Paesi da parte dei clandestini, neri o olivastri che siano.
Una certa propaganda non perde occasione per diffondere l’idea che i migranti siano in maggioranza “finti profughi”, che vengono non da Paesi in guerra (dalla quale, peraltro, si dice non dovrebbero fuggire ma “restare a combattere!”) ma da luoghi presumibilmente ameni e vivibilissimi, dai quali si allontanerebbero al prezzo della vita propria e dei loro figli per mero capriccio.
Il cordoglio di fronte alle bare di giovani uomini, donne e bambini annegati o asfissiati in qualche stiva, lascia presto il posto all’indignazione per la “bella vita” che lo Stato italiano assicurerebbe ai sopravvissuti, fornendo loro (addirittura!) di che mangiare, vestirsi ed un tetto sotto cui dormire.
In molti si chiedono, leggendo le mie riflessioni in proposito, perché dedico tanto tempo a parlare di immigrazione e non mi dedico più solo alla lotta contro l’euro.
La risposta è semplice: la mia battaglia per portare su scala nazionale il dibattito sull’euro l’ho condotta quando ancora il tema era un tabù su tv e giornali e quando solo pochi economisti sostenevano apertamente che l’euro fosse il problema.
Oggi le condizioni sono cambiate: di euro si è parlato e si continua a parlare moltissimo ed il livello di consapevolezza degli Italiani sul tema è decisamente superiore a due anni fa, quando ho iniziato il lavoro con Progetto Eurexit. La divulgazione continua e si fa strada anche per altre efficacissime vie, quindi il mio contributo è (credo) meno importante di prima.
Invece rimane vacante l’area delle proposte serie e realistiche, non riducibili a puri slogan o “sogni”, in merito alla crisi dell’immigrazione, che con l’economia e la politica nazionale ed europea ha, peraltro, moltissimo a che fare.
Tempo addietro ho pubblicato una mia proposta, che molti hanno apprezzato a parole ma ben pochi hanno tentato di divulgare.
Oggi la situazione è ancor più drammatica e le iniziative necessarie sarebbero ancor più drastiche ed urgenti, ma soprattutto richiederebbero una visione lucida del problema e la volontà di risolverlo senza dover sacrificare totalmente gli interessi di uno dei due fronti interessati: quello degli Europei e quello dei migranti.
Gli appelli accorati del Papa cadono regolarmente nel vuoto: alle frasi di circostanza ed alle promesse di “forti iniziative” da parte dei politici europei, non sono seguite ad oggi azioni degne di rilievo.
La cosa più ovvia da farsi sarebbe organizzare un intervento congiunto militare ed umanitario sia in Libia che in Siria, con l’obiettivo di fermare il traffico di essere umani ed i relativi soprusi da un lato, e di assicurare a chi davvero lo desidera e può farlo di venire in sicurezza in Europa a cercare lavoro o riunirsi a familiari già qui residenti.
Tentare di fermare un fiume in piena con le mani, cioè con i divieti, la forza o le minacce è a dir poco idiota: i risultati delle politiche anti-immigrazione sono evidenti.
Soltanto riportando l’ordine e la legalità nei Paesi da cui partono i migranti si può prevenire il proseguire dell’esodo, ma nel frattempo non si può ingabbiare chi, oggi, ragionevolmente, fugge da realtà di fame, violenza, devastazione. Nè si possono abbandonare per strada migliaia di persone che non hanno nulla di cui vivere, a meno di non voler innescare una bomba sociale di potenza devastante.
Ma purtroppo, così come sono giunta a credere che dall’euro non usciremo per via politica ma soltanto per una serie di eventi non voluti e traumatici, nello stesso modo nutro poche speranze sul fatto che la politica europea saprà o vorrà intervenire davvero per risolvere questa crisi geopolitica ed umanitaria.
Le oligarchie tentano sempre di volgere le crisi a proprio vantaggio, trasformandole in strumenti per aumentare il proprio potere o i propri profitti. Ci stanno provando anche questa volta, resta solo da vedere se questa massa umana di poveri, delusi e incattiviti non si rivolterà contro chi li sfrutta e li illude, facendo loro pagare il conto salatissimo che la storia riserva agli aguzzini.
Forse sarà proprio da chi è più disperato di noi che scoccherà la scintilla della rivolta, ed a questo punto non si sa se abbia più senso temerlo o augurarselo.
Per offrirti la migliore esperienza di navigazione possibile nel nostro sito Web utilizziamo cookie, anche di terza parte. OKPrivacy Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these cookies, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may have an effect on your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
1.09.2015. SI STA COME D’AUTUNNO.
La fine dell’estate porta sempre con sè un senso di svogliatezza, la percezione della pesantezza dell’anno da affrontare con nuove responsabilità, impegni, problemi da gestire e da risolvere.
L’ideale sarebbe trovare dentro di sè uno sprone, lo stimolo a ricominciare la vita di tutti i giorni con una carica positiva, con nuovi progetti e sana determinazione.
Purtroppo però, non tutti hanno la fortuna di trovare tali risorse guardandosi dentro, e mi duole moltissimo ammettere che io rientro fra questi ultimi.
L’estate è iniziata con un’aspettativa delusa, al seguito del concludersi della crisi greca con l’accordo più iniquo di sempre, che ha visto il trionfo delle ricette di austerità – ormai universalmente note per essere devastanti – imposte dalla Troika al popolo greco, sull’alternativa di rinnovamento e di ricostruzione del Paese che Syriza aveva spiegato di fronte al mondo intero. Era una lotta impari, ed era probabilmente inevitabile che finisse così, ma per un attimo avevamo sperato che la falla apertasi nella fiancata del Titanic UE ne avrebbe finalmente segnato il naufragio.
Invece, con l’appoggio e le pressioni di Obama su tutti i soggetti coinvolti (inclusa la Russia)ed il vile collaborazionismo dei Paesi del sud Europa tramite i governi filoeuropeisti di matrice neoliberale, il temerario Tsipras si è trovato isolato, con le spalle al muro e diverse pistole puntate alla tempia. Non poteva che capitolare, e francamente trovo inutile infierire sul poveretto, che almeno ha avuto il coraggio di lottare come un pazzo finché ha potuto, prima di arrendersi. Non lo considererei un traditore, ma semplicemente uno sconfitto.
L’estate ora volge al termine con un bilancio agghiacciante di vite umane perdute dai migliaia di disperati che, via mare o via terra, hanno tentato invano di ricostruire il proprio futuro nella “terra promessa” dell’Europa, e che invece di fiumi di latte e miele hanno trovato trincee di filo spinato, fiumi gelidi da attraversare, onde mortali e imbarcazioni gremite e guidate da scafisti senza alcuna forma di umana pietà.
Di fronte ad una tragedia come questa, di proporzioni epocali, della quale non si vede ancora la fine, fioccano analisi e proposte da far rabbrividire il più truce dei gerarchi: chi vuole erigere muri anche in mezzo al Mediterraneo, chi propone di creare campi di lavoro in Africa (sic!) o chi afferma che è in atto un “piano di sostituzione etnica” di risalente concezione, che punta al meticciato della nostra pura razza europea (quale?) tramite l’invasione programmata dei nostri Paesi da parte dei clandestini, neri o olivastri che siano.
Una certa propaganda non perde occasione per diffondere l’idea che i migranti siano in maggioranza “finti profughi”, che vengono non da Paesi in guerra (dalla quale, peraltro, si dice non dovrebbero fuggire ma “restare a combattere!”) ma da luoghi presumibilmente ameni e vivibilissimi, dai quali si allontanerebbero al prezzo della vita propria e dei loro figli per mero capriccio.
Il cordoglio di fronte alle bare di giovani uomini, donne e bambini annegati o asfissiati in qualche stiva, lascia presto il posto all’indignazione per la “bella vita” che lo Stato italiano assicurerebbe ai sopravvissuti, fornendo loro (addirittura!) di che mangiare, vestirsi ed un tetto sotto cui dormire.
In molti si chiedono, leggendo le mie riflessioni in proposito, perché dedico tanto tempo a parlare di immigrazione e non mi dedico più solo alla lotta contro l’euro.
La risposta è semplice: la mia battaglia per portare su scala nazionale il dibattito sull’euro l’ho condotta quando ancora il tema era un tabù su tv e giornali e quando solo pochi economisti sostenevano apertamente che l’euro fosse il problema.
Oggi le condizioni sono cambiate: di euro si è parlato e si continua a parlare moltissimo ed il livello di consapevolezza degli Italiani sul tema è decisamente superiore a due anni fa, quando ho iniziato il lavoro con Progetto Eurexit. La divulgazione continua e si fa strada anche per altre efficacissime vie, quindi il mio contributo è (credo) meno importante di prima.
Invece rimane vacante l’area delle proposte serie e realistiche, non riducibili a puri slogan o “sogni”, in merito alla crisi dell’immigrazione, che con l’economia e la politica nazionale ed europea ha, peraltro, moltissimo a che fare.
Tempo addietro ho pubblicato una mia proposta, che molti hanno apprezzato a parole ma ben pochi hanno tentato di divulgare.
Oggi la situazione è ancor più drammatica e le iniziative necessarie sarebbero ancor più drastiche ed urgenti, ma soprattutto richiederebbero una visione lucida del problema e la volontà di risolverlo senza dover sacrificare totalmente gli interessi di uno dei due fronti interessati: quello degli Europei e quello dei migranti.
Gli appelli accorati del Papa cadono regolarmente nel vuoto: alle frasi di circostanza ed alle promesse di “forti iniziative” da parte dei politici europei, non sono seguite ad oggi azioni degne di rilievo.
La cosa più ovvia da farsi sarebbe organizzare un intervento congiunto militare ed umanitario sia in Libia che in Siria, con l’obiettivo di fermare il traffico di essere umani ed i relativi soprusi da un lato, e di assicurare a chi davvero lo desidera e può farlo di venire in sicurezza in Europa a cercare lavoro o riunirsi a familiari già qui residenti.
Tentare di fermare un fiume in piena con le mani, cioè con i divieti, la forza o le minacce è a dir poco idiota: i risultati delle politiche anti-immigrazione sono evidenti.
Soltanto riportando l’ordine e la legalità nei Paesi da cui partono i migranti si può prevenire il proseguire dell’esodo, ma nel frattempo non si può ingabbiare chi, oggi, ragionevolmente, fugge da realtà di fame, violenza, devastazione. Nè si possono abbandonare per strada migliaia di persone che non hanno nulla di cui vivere, a meno di non voler innescare una bomba sociale di potenza devastante.
Ma purtroppo, così come sono giunta a credere che dall’euro non usciremo per via politica ma soltanto per una serie di eventi non voluti e traumatici, nello stesso modo nutro poche speranze sul fatto che la politica europea saprà o vorrà intervenire davvero per risolvere questa crisi geopolitica ed umanitaria.
Le oligarchie tentano sempre di volgere le crisi a proprio vantaggio, trasformandole in strumenti per aumentare il proprio potere o i propri profitti. Ci stanno provando anche questa volta, resta solo da vedere se questa massa umana di poveri, delusi e incattiviti non si rivolterà contro chi li sfrutta e li illude, facendo loro pagare il conto salatissimo che la storia riserva agli aguzzini.
Forse sarà proprio da chi è più disperato di noi che scoccherà la scintilla della rivolta, ed a questo punto non si sa se abbia più senso temerlo o augurarselo.
Francesca Donato