Il governo Lega-M5S sta dimostrando, dopo nemmeno due mesi dall’insediamento, di avere tutte le intenzioni e la capacità – almeno teorica – di realizzare gli obiettivi anticipati in campagna elettorale.
Pur nel fuoco incrociato di critiche delle opposizioni, i primi importanti segnali si sono visti: il Ministro dell’Interno Salvini ha dato una svolta netta alla politica immigrazionista condotta dal governo precedente, ordinando la chiusura dei porti e stabilendo regole più stringenti per l’accoglienza dei migranti nel nostro Paese, ed il Premier Conte ha portato tale linea al vertice UE, riuscendo a fare di tale delicatissimo problema una questione che coinvolge l’intera Europa.
Il Ministro del Lavoro Di Maio invece ha promosso il “decreto dignità”: primo provvedimento di inversione di rotta rispetto alle politiche ultra-liberiste del lavoro volute dal Governo Renzi: revisione delle norme sul lavoro a termine e sanzioni per le imprese che delocalizzano in presenza di determinati requisiti.
Inoltre, il Governo ha ottenuto la vittoria non solo simbolica del taglio dei vitalizi alla Camera, dimostrando anche in questo di voler mantenere ferma la rotta pattuita con gli elettori.
Ora però si affacciano all’orizzonte le misure più delicate da affrontare, ovvero quelle finanziarie e di bilancio.
Il clima è comprensibilmente teso, perché il mantenimento delle intenzioni espresse nel contratto di Governo implica il ricorso ad un’ingente spesa pubblica, la cui copertura non potrà facilmente essere rinvenuta attraverso risparmi in altri settori.
Le misure di cui più si discute, già da mesi, sono quelle tributarie (flat-tax e pace fiscale), previdenziali (abolizione della legge Fornero) e di sostegno per inoccupati e disoccupati (reddito di cittadinanza).
Al di là delle cifre faraoniche stimate dai contabili di area ex-governativa, che ipotizzano in oltre cento miliardi i costi delle suddette misure, è evidente che una buona parte delle stesse non potrà che essere sostenuta se non facendo ricorso al deficit.
Mentre le riforme fiscali in discussione – dual tax e pace fiscale – potrebbero ipoteticamente produrre un gettito superiore a quello attuale, sostenendo le finanze pubbliche anche oltre i costi delle stesse, le altre due richiederanno un anticipo di finanziamento per essere varate, che potrà poi essere eventualmente compensato dalla crescita del PIL che la politica economica del governo mira complessivamente ad ottenere.
In definitiva: comunque si vorrà procedere, il primo grande scoglio che il Ministero dell’Economia si troverà a d affrontare, sarà quello del vincolo al pareggio del bilancio, sancito nel Trattato europeo del Fiscal compact ed inserito nel 2012 nella nostra Costituzione, attraverso la modifica degli artt. 81, …..
Già è ufficiale, o quasi, che la ridiscussione dei vincoli di bilancio sarà l’argomento chiave che il nostro Governo affronterà in sede europea, e il Ministro che se ne farà carico sarà Paolo Savona. Le dichiarazioni rese sino ad oggi dal Ministro Tria, nel segno della massima cautela nel maneggiare i conti pubblici per non arrivare a sforare i limiti sinora rispettati, vanno intese nel senso che si rimanda alla fase di negoziazione sull’an e quantum dei vincoli di spesa e di bilancio, ogni decisione riguardante l’entità e la declinazione della manovra finanziaria da predisporre in autunno.
In buona sostanza, pare di capire che prima si vogliono modificare le regole in sede UE, o quantomeno ottenere l’ok preventivo a deroghe alle stesse, e poi modulare di conseguenza le decisioni sulla spesa pubblica.
Il modus operandi dell’esecutivo è, dunque, come ribadito dal Ministro Savona, “trattativista”, cioè dialogante, non “bellicoso” come gran parte dell’opposizione aveva voluto far credere.
Ma all’esito delle trattative, che si spera portino il risultato di mettere quantomeno in pausa sia il folle principio del pareggio del bilancio che quello demenziale del 3% annuo massimo di deficit in rapporto al PIL, il nostro Governo si troverà comunque “bloccato” dal macigno inserito nell’ingranaggio della nostra politica economica nel 2012, ovvero l’art. 81 Costituzione.
Di fronte a tale infausta ma certa prospettiva, emerge l’importanza prioritaria di calendarizzare la riforma più importante che questa legislatura è chiamata a compiere, ovvero la cancellazione del vincolo di pareggio del bilancio dalla Costituzione, col ripristino del testo degli articoli modificati dalla legge del 2012 nella versione originale.
Si tratta, come è evidente, di una misura a “costo zero”, che non richiede nemmeno un minuto di studio del testo da inserire, dato che si tratta di ritornare alle norme preesistenti.
Ma è altrettanto chiaro che detta misura ha un enorme portata politica, sia a livello interno che, soprattutto, europeo.
Con essa, il nostro Paese tornerebbe ad avere – una volta rimossi o neutralizzati i vincoli esterni – la libertà e gli spazi di manovra necessari per poter attuare manovre espansive, senza incorrere in un veto del Presidente della Repubblica per incostituzionalità.
Ma è naturale che un provvedimento del genere, sin dal suo annuncio, scatenerebbe una reazione parossistica sui “mercati”, che verrebbe giustificata dalla previsione, da parte degli “investitori”,
di un probabile aumento del nostro debito pubblico e dalla possibile valutazione di insostenibilità dello stesso.
Diventa chiaro, dunque, il motivo per cui ancora oggi, su una questione così rilevante e fondamentale, il Governo non si pronunci. Ma ciò non significa che essa non sia questione sul tappeto.
Certo, la via della prudenza e del profilo basso sono certamente utili in una strategia tesa a non provocare allarmi e alzate di scudi da parte del nemico. Ma un provvedimento come quello in esame richiede anche un significativo dispendio di tempo per essere portato a termine e, nelle more, ogni iniziativa di spesa a deficit oltre gli strettissimi margini oggi consentiti resterebbe frustrata, creando un immobilismo pericoloso per la tenuta del Governo, oltre che per l’intero Paese.
Non c’è dubbio che quella che si giocherà sul tavolo europeo, nelle prossime settimane, sarà una partita a scacchi. La vittoria del nostro giocatore sarà il presupposto per poter intraprendere poi un percorso di riforme anti-neoliberiste nel nostro ordinamento. Non ci resta che sperare nella bravura e nell’esperienza del nostro Ministro, altrimenti dovremo cambiare gioco. E non credo che sarebbe un’opzione indolore, ne per noi, né per l’Europa.
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IL PAREGGIO DEL BILANCIO: LA SPINA NELLA COSTITUZIONE
Il governo Lega-M5S sta dimostrando, dopo nemmeno due mesi dall’insediamento, di avere tutte le intenzioni e la capacità – almeno teorica – di realizzare gli obiettivi anticipati in campagna elettorale.
Pur nel fuoco incrociato di critiche delle opposizioni, i primi importanti segnali si sono visti: il Ministro dell’Interno Salvini ha dato una svolta netta alla politica immigrazionista condotta dal governo precedente, ordinando la chiusura dei porti e stabilendo regole più stringenti per l’accoglienza dei migranti nel nostro Paese, ed il Premier Conte ha portato tale linea al vertice UE, riuscendo a fare di tale delicatissimo problema una questione che coinvolge l’intera Europa.
Il Ministro del Lavoro Di Maio invece ha promosso il “decreto dignità”: primo provvedimento di inversione di rotta rispetto alle politiche ultra-liberiste del lavoro volute dal Governo Renzi: revisione delle norme sul lavoro a termine e sanzioni per le imprese che delocalizzano in presenza di determinati requisiti.
Inoltre, il Governo ha ottenuto la vittoria non solo simbolica del taglio dei vitalizi alla Camera, dimostrando anche in questo di voler mantenere ferma la rotta pattuita con gli elettori.
Ora però si affacciano all’orizzonte le misure più delicate da affrontare, ovvero quelle finanziarie e di bilancio.
Il clima è comprensibilmente teso, perché il mantenimento delle intenzioni espresse nel contratto di Governo implica il ricorso ad un’ingente spesa pubblica, la cui copertura non potrà facilmente essere rinvenuta attraverso risparmi in altri settori.
Le misure di cui più si discute, già da mesi, sono quelle tributarie (flat-tax e pace fiscale), previdenziali (abolizione della legge Fornero) e di sostegno per inoccupati e disoccupati (reddito di cittadinanza).
Al di là delle cifre faraoniche stimate dai contabili di area ex-governativa, che ipotizzano in oltre cento miliardi i costi delle suddette misure, è evidente che una buona parte delle stesse non potrà che essere sostenuta se non facendo ricorso al deficit.
Mentre le riforme fiscali in discussione – dual tax e pace fiscale – potrebbero ipoteticamente produrre un gettito superiore a quello attuale, sostenendo le finanze pubbliche anche oltre i costi delle stesse, le altre due richiederanno un anticipo di finanziamento per essere varate, che potrà poi essere eventualmente compensato dalla crescita del PIL che la politica economica del governo mira complessivamente ad ottenere.
In definitiva: comunque si vorrà procedere, il primo grande scoglio che il Ministero dell’Economia si troverà a d affrontare, sarà quello del vincolo al pareggio del bilancio, sancito nel Trattato europeo del Fiscal compact ed inserito nel 2012 nella nostra Costituzione, attraverso la modifica degli artt. 81, …..
Già è ufficiale, o quasi, che la ridiscussione dei vincoli di bilancio sarà l’argomento chiave che il nostro Governo affronterà in sede europea, e il Ministro che se ne farà carico sarà Paolo Savona. Le dichiarazioni rese sino ad oggi dal Ministro Tria, nel segno della massima cautela nel maneggiare i conti pubblici per non arrivare a sforare i limiti sinora rispettati, vanno intese nel senso che si rimanda alla fase di negoziazione sull’an e quantum dei vincoli di spesa e di bilancio, ogni decisione riguardante l’entità e la declinazione della manovra finanziaria da predisporre in autunno.
In buona sostanza, pare di capire che prima si vogliono modificare le regole in sede UE, o quantomeno ottenere l’ok preventivo a deroghe alle stesse, e poi modulare di conseguenza le decisioni sulla spesa pubblica.
Il modus operandi dell’esecutivo è, dunque, come ribadito dal Ministro Savona, “trattativista”, cioè dialogante, non “bellicoso” come gran parte dell’opposizione aveva voluto far credere.
Ma all’esito delle trattative, che si spera portino il risultato di mettere quantomeno in pausa sia il folle principio del pareggio del bilancio che quello demenziale del 3% annuo massimo di deficit in rapporto al PIL, il nostro Governo si troverà comunque “bloccato” dal macigno inserito nell’ingranaggio della nostra politica economica nel 2012, ovvero l’art. 81 Costituzione.
Di fronte a tale infausta ma certa prospettiva, emerge l’importanza prioritaria di calendarizzare la riforma più importante che questa legislatura è chiamata a compiere, ovvero la cancellazione del vincolo di pareggio del bilancio dalla Costituzione, col ripristino del testo degli articoli modificati dalla legge del 2012 nella versione originale.
Si tratta, come è evidente, di una misura a “costo zero”, che non richiede nemmeno un minuto di studio del testo da inserire, dato che si tratta di ritornare alle norme preesistenti.
Ma è altrettanto chiaro che detta misura ha un enorme portata politica, sia a livello interno che, soprattutto, europeo.
Con essa, il nostro Paese tornerebbe ad avere – una volta rimossi o neutralizzati i vincoli esterni – la libertà e gli spazi di manovra necessari per poter attuare manovre espansive, senza incorrere in un veto del Presidente della Repubblica per incostituzionalità.
Ma è naturale che un provvedimento del genere, sin dal suo annuncio, scatenerebbe una reazione parossistica sui “mercati”, che verrebbe giustificata dalla previsione, da parte degli “investitori”,
di un probabile aumento del nostro debito pubblico e dalla possibile valutazione di insostenibilità dello stesso.
Diventa chiaro, dunque, il motivo per cui ancora oggi, su una questione così rilevante e fondamentale, il Governo non si pronunci. Ma ciò non significa che essa non sia questione sul tappeto.
Certo, la via della prudenza e del profilo basso sono certamente utili in una strategia tesa a non provocare allarmi e alzate di scudi da parte del nemico. Ma un provvedimento come quello in esame richiede anche un significativo dispendio di tempo per essere portato a termine e, nelle more, ogni iniziativa di spesa a deficit oltre gli strettissimi margini oggi consentiti resterebbe frustrata, creando un immobilismo pericoloso per la tenuta del Governo, oltre che per l’intero Paese.
Non c’è dubbio che quella che si giocherà sul tavolo europeo, nelle prossime settimane, sarà una partita a scacchi. La vittoria del nostro giocatore sarà il presupposto per poter intraprendere poi un percorso di riforme anti-neoliberiste nel nostro ordinamento. Non ci resta che sperare nella bravura e nell’esperienza del nostro Ministro, altrimenti dovremo cambiare gioco. E non credo che sarebbe un’opzione indolore, ne per noi, né per l’Europa.