La caciara intorno al MES impazza dentro e fuori al Parlamento: questo per alcuni sarebbe un accordo che lascerebbe letteralmente rapinare i risparmi italiani dai nostri “partner” europei, mentre per altri sarebbe una giusta punizione che ci aiuterebbe a redimere i nostri “peccati”.
Questa dialettica risulta ancor più preoccupante in quanto risulta centrale la denuncia politica della mancata trasparenza dei negoziati e della relativa marginalizzazione dei parlamenti nazionali.
Qualcuno potrebbe dire che gli economisti – insieme alla muta di giornalisti da guardia – al servizio delle oligarchie straniere, sono proprio coloro che difendono l’attuale accordo sul Meccanismo Europeo di Stabilità, perorando dagli schermi televisivi gli interessi del padrone franco-teutonico, tra una castroneria macroeconomica e una scempiaggine giuridica, sermoneggiano dal loro pulpito mediatico, colpevolizzando – con il cuore (e il portafogli) gonfio di moralismo protestante – gli Italiani; come se questi fossero dei bambinetti da rimbrottare perché hanno fatto i discoli all’oratorio.
D’altronde, che la corte dei miracoli bancari sia un clero è noto dai tempi del vecchio Marx: e il clero ha notoriamente la tendenza a far delle prediche, a razzolare come gli pare e a servire zelante la propria divinità.
In questo caso “il Mercato”, cioè la proiezione di sé di qualche speculatore sociopatico e di qualche banchiere con l’empatia di un registratore di cassa
Questo è il dio a cui i popoli colpevoli – secondo tali sacerdoti – dovrebbero offrirsi in sacrificio. Il rito religioso a cui le vestali mediatiche di casa nostra si prestano, è la celebrazione del sacrificio della Patria sull’altare europeista, in una perversa inversione antirisorgimentale; la cerimonia viene interrotta solo dal timido cicaleccio delle pie donne dell’ABI e degli azionisti italiani che temono di vedere falciate le proprie partecipazioni bancarie; saccheggio che sanno assicurato nel caso delle invasioni barbariche conseguenti a quel trattato intergovernativo chiamato MES.
Nella bolgia che si è così scatenata in Italia, ecco la voce infastidita di una fonte anonima dell’Eurogruppo, ovvero di quell’organo collegiale intergovernativo che ha effetti giuridici vincolanti sui paesi che ne fanno parte, irrompere nel dibattito italiano affermando che «la riforma della trattato MES è stata già approvata a Giugno» e che sarebbe meglio «chiudere ora».
Chi sarà mai costui? Un funzionario che dovrebbe avere solo un ruolo meramente tecnico, e non – appunto – politico? E parla quindi da tecnocrate che disprezza le delibere assembleari dei parlamenti nazionali? Straniero? Italiano? Se il MES è già stato «approvato» (si dice «deliberato», ma il livello degli europeisti è questo) perché sarebbe necessario «chiudere ora»?
Del «pacchetto» di riforme che viene imposto come direttiva di massima dalla Commissione Europea, la riforma che ha un impatto più significativo è proprio quella che sta facendo discutere e che sembra – senza troppi fronzoli – un atto di aggressione ai beni degli italiani da parte di potenze a noi ostili (che gli europeisti chiamano “partner”). Non a caso è l’unica riforma che di fretta e alla chetichella si sta cercando di far passare, ovvero di «chiudere ora»: quella del MES.
Ricordiamo che questa riforma porrebbe l’Italia nella situazione disastrosa di dover scegliere tra il salvare il proprio sistema bancario e ristrutturare il proprio debito pubblico, ovvero tagliare la spesa pubblica e aumentare la pressione fiscale per sottrarre agli italiani un importo di pari entità. Un massacro qualsiasi siano poi le scelte.
In pratica i nostri “partner” europei ci stanno mettendo nella condizione di uscire dall’eurozona e, allo stesso tempo, di scaricare addosso a noi la responsabilità politica del fallimento dell’unione monetaria. Un’unione, d’altronde, pensata per concentrare il potere economico-politico nelle mani degli oligopoli industriali e finanziari a discapito dei lavoratori: la distruzione della sicurezza occupazionale e dello Stato sociale voluta dai liberali che hanno pensato, progettato o sostenuto l’unione monetaria, ha portato alla destabilizzazione economica, sociale e politica di tutti i paesi dell’eurozona. Tutti. Pure di quelli che hanno insistito – pensando di avvantaggiarsene a scapito nostro – nell’inasprire regole irrazionali e disfunzionali che non hanno altro scopo che imporre la divina Legge del Mercato: quella del più forte, ossia quella del più “ricco” (Francia e Germania).
I più importanti e deliranti trattati intergovernativi che si sono aggiunti ai Trattati Europei e che hanno contribuito sostanzialmente a massacrare il tessuto economico e sociale di gran parte dell’eurozona – riducendo i parlamenti ad «aule sorde e grigie» – sono il Fiscal Compact e il MES, con tutto il loro carico di condizionalità, vincoli, e regole assurde che altro senso non hanno che aggredire economicamente i paesi già in difficoltà e, col pretesto dell’emergenza, sottrarre ovunque i diritti delle classi lavoratrici.
Infatti questi ulteriori trattati hanno inasprito la natura deflazionistica e anticooperativa dell’UE e hanno seppellito definitivamente qualsiasi auspicio di «parità di condizioni» tra paesi che il nostro art.11 Cost. impone di valutare prima di firmare qualsiasi trattato internazionale.
Questo è il «pacchetto» che coloro che potrebbero essere considerati “collaborazionisti di fatto” cercano di far passare.
(“Collaborazionisti” quando va bene, “ignoranti” nella peggiore delle ipotesi). Non a caso l’unico paese che ha diligentemente recepito gran parte delle riforme più devastanti imposte dalle istituzioni europee, accordi intergovernativi compresi, tipo il «Fiscal Compact», è stata l’Italia. L’unico.
Di tutte le riforme del «pacchetto» volute dalla BCE poco si sa – riguardo ai tempi e modi di attuazione – ma con l’accordo di Mesenberg del 2018, Francia e Germania hanno ricordato chi comanda in UE. E, guarda caso, l’unica riforma che interessa i paesi i cui capi di governo sghignazzarono nel 2011 a proposito dell’allora nostro Presidente del Consiglio, è proprio il MES, con la sua ponderazione della rischiosità dei titoli del debito pubblico e tutte quelle previsioni – guarda caso – ad hoc per il nostro Paese e funzionali a farne saltare il sistema bancario.
Ma possibile che l’opinione pubblica non sia informata del negoziato di un trattato con un impatto potenzialmente tanto devastante come quello del MES? E soprattutto, possibile che addirittura lo stesso Parlamento non ne sia stato informato?
Il punto giuridico che dovrebbe dirimere tali controverse questioni è quello individuabile nelle stesse fonti eurounioniste che prescrivono che sia il Parlamento a pronunciarsi definitivamente sui negoziati. (Con buona pace dell’anonimo funzionario che, non si sa a quale titolo, rilascia dichiarazioni sul fatto che l’accordo esisterebbe già). Come sottolineato su Orizzonte48 (vedi link sotto) – non solo in forza alla legge 234 del 2012, ma in forza dell’art.12 del TUE (Trattato dell’Unione Europea) e del Protocollo 1 ai trattati «Sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea» di cui la legge 234 non ne è altro che il recepimento, il Parlamento deve essere adeguatamente informato in modo che possa dare le direttive politiche affinché il negoziato sia condotto nell’interesse della nazione.
Inoltre all’art.2 del Protocollo si prevede che siano le stesse istituzioni UE – Eurogruppo e simili consessi intergovernativi compresi – a trasmettere i documenti discussi ai parlamenti nazionali. Obbligo ad oggi inadempiuto.
L’unica certezza che ci rimane è che, nella bozza negoziata ad ora, in linea con il funzionamento della UE e quindi con anche le restanti riforme del «pacchetto», la restituzione dei fondi erogati al MES, nel caso in cui fosse necessario il salvataggio del nostro sistema bancario, risulta condizionata al rispetto di criteri e parametri che il nostro Paese si sa già non essere in grado di rispettare: rimane il solito obbligo di contribuire al fondo con la certezza di non rispettare le condizionalità necessarie per vederseli restituire. E il motivo è evidente: ovvero «il sacco di Roma».
La riforma del MES – presa o meno con il resto del fantomatico «pacchetto» – rimane quella che è: un pacco confezionato per truffare e derubare gli italiani.
5/12/2019 di Bazaar
(Fonti e approfondimenti: La logica del pacchetto)
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MES, pacchetti e pacchi: perché è il Parlamento a dover dettare la linea dei negoziati
La caciara intorno al MES impazza dentro e fuori al Parlamento: questo per alcuni sarebbe un accordo che lascerebbe letteralmente rapinare i risparmi italiani dai nostri “partner” europei, mentre per altri sarebbe una giusta punizione che ci aiuterebbe a redimere i nostri “peccati”.
Questa dialettica risulta ancor più preoccupante in quanto risulta centrale la denuncia politica della mancata trasparenza dei negoziati e della relativa marginalizzazione dei parlamenti nazionali.
Qualcuno potrebbe dire che gli economisti – insieme alla muta di giornalisti da guardia – al servizio delle oligarchie straniere, sono proprio coloro che difendono l’attuale accordo sul Meccanismo Europeo di Stabilità, perorando dagli schermi televisivi gli interessi del padrone franco-teutonico, tra una castroneria macroeconomica e una scempiaggine giuridica, sermoneggiano dal loro pulpito mediatico, colpevolizzando – con il cuore (e il portafogli) gonfio di moralismo protestante – gli Italiani; come se questi fossero dei bambinetti da rimbrottare perché hanno fatto i discoli all’oratorio.
D’altronde, che la corte dei miracoli bancari sia un clero è noto dai tempi del vecchio Marx: e il clero ha notoriamente la tendenza a far delle prediche, a razzolare come gli pare e a servire zelante la propria divinità.
In questo caso “il Mercato”, cioè la proiezione di sé di qualche speculatore sociopatico e di qualche banchiere con l’empatia di un registratore di cassa
Questo è il dio a cui i popoli colpevoli – secondo tali sacerdoti – dovrebbero offrirsi in sacrificio. Il rito religioso a cui le vestali mediatiche di casa nostra si prestano, è la celebrazione del sacrificio della Patria sull’altare europeista, in una perversa inversione antirisorgimentale; la cerimonia viene interrotta solo dal timido cicaleccio delle pie donne dell’ABI e degli azionisti italiani che temono di vedere falciate le proprie partecipazioni bancarie; saccheggio che sanno assicurato nel caso delle invasioni barbariche conseguenti a quel trattato intergovernativo chiamato MES.
Nella bolgia che si è così scatenata in Italia, ecco la voce infastidita di una fonte anonima dell’Eurogruppo, ovvero di quell’organo collegiale intergovernativo che ha effetti giuridici vincolanti sui paesi che ne fanno parte, irrompere nel dibattito italiano affermando che «la riforma della trattato MES è stata già approvata a Giugno» e che sarebbe meglio «chiudere ora».
Chi sarà mai costui? Un funzionario che dovrebbe avere solo un ruolo meramente tecnico, e non – appunto – politico? E parla quindi da tecnocrate che disprezza le delibere assembleari dei parlamenti nazionali? Straniero? Italiano? Se il MES è già stato «approvato» (si dice «deliberato», ma il livello degli europeisti è questo) perché sarebbe necessario «chiudere ora»?
Del «pacchetto» di riforme che viene imposto come direttiva di massima dalla Commissione Europea, la riforma che ha un impatto più significativo è proprio quella che sta facendo discutere e che sembra – senza troppi fronzoli – un atto di aggressione ai beni degli italiani da parte di potenze a noi ostili (che gli europeisti chiamano “partner”). Non a caso è l’unica riforma che di fretta e alla chetichella si sta cercando di far passare, ovvero di «chiudere ora»: quella del MES.
Ricordiamo che questa riforma porrebbe l’Italia nella situazione disastrosa di dover scegliere tra il salvare il proprio sistema bancario e ristrutturare il proprio debito pubblico, ovvero tagliare la spesa pubblica e aumentare la pressione fiscale per sottrarre agli italiani un importo di pari entità. Un massacro qualsiasi siano poi le scelte.
In pratica i nostri “partner” europei ci stanno mettendo nella condizione di uscire dall’eurozona e, allo stesso tempo, di scaricare addosso a noi la responsabilità politica del fallimento dell’unione monetaria. Un’unione, d’altronde, pensata per concentrare il potere economico-politico nelle mani degli oligopoli industriali e finanziari a discapito dei lavoratori: la distruzione della sicurezza occupazionale e dello Stato sociale voluta dai liberali che hanno pensato, progettato o sostenuto l’unione monetaria, ha portato alla destabilizzazione economica, sociale e politica di tutti i paesi dell’eurozona. Tutti. Pure di quelli che hanno insistito – pensando di avvantaggiarsene a scapito nostro – nell’inasprire regole irrazionali e disfunzionali che non hanno altro scopo che imporre la divina Legge del Mercato: quella del più forte, ossia quella del più “ricco” (Francia e Germania).
I più importanti e deliranti trattati intergovernativi che si sono aggiunti ai Trattati Europei e che hanno contribuito sostanzialmente a massacrare il tessuto economico e sociale di gran parte dell’eurozona – riducendo i parlamenti ad «aule sorde e grigie» – sono il Fiscal Compact e il MES, con tutto il loro carico di condizionalità, vincoli, e regole assurde che altro senso non hanno che aggredire economicamente i paesi già in difficoltà e, col pretesto dell’emergenza, sottrarre ovunque i diritti delle classi lavoratrici.
Infatti questi ulteriori trattati hanno inasprito la natura deflazionistica e anticooperativa dell’UE e hanno seppellito definitivamente qualsiasi auspicio di «parità di condizioni» tra paesi che il nostro art.11 Cost. impone di valutare prima di firmare qualsiasi trattato internazionale.
Questo è il «pacchetto» che coloro che potrebbero essere considerati “collaborazionisti di fatto” cercano di far passare.
(“Collaborazionisti” quando va bene, “ignoranti” nella peggiore delle ipotesi). Non a caso l’unico paese che ha diligentemente recepito gran parte delle riforme più devastanti imposte dalle istituzioni europee, accordi intergovernativi compresi, tipo il «Fiscal Compact», è stata l’Italia. L’unico.
Di tutte le riforme del «pacchetto» volute dalla BCE poco si sa – riguardo ai tempi e modi di attuazione – ma con l’accordo di Mesenberg del 2018, Francia e Germania hanno ricordato chi comanda in UE. E, guarda caso, l’unica riforma che interessa i paesi i cui capi di governo sghignazzarono nel 2011 a proposito dell’allora nostro Presidente del Consiglio, è proprio il MES, con la sua ponderazione della rischiosità dei titoli del debito pubblico e tutte quelle previsioni – guarda caso – ad hoc per il nostro Paese e funzionali a farne saltare il sistema bancario.
Ma possibile che l’opinione pubblica non sia informata del negoziato di un trattato con un impatto potenzialmente tanto devastante come quello del MES? E soprattutto, possibile che addirittura lo stesso Parlamento non ne sia stato informato?
Il punto giuridico che dovrebbe dirimere tali controverse questioni è quello individuabile nelle stesse fonti eurounioniste che prescrivono che sia il Parlamento a pronunciarsi definitivamente sui negoziati. (Con buona pace dell’anonimo funzionario che, non si sa a quale titolo, rilascia dichiarazioni sul fatto che l’accordo esisterebbe già). Come sottolineato su Orizzonte48 (vedi link sotto) – non solo in forza alla legge 234 del 2012, ma in forza dell’art.12 del TUE (Trattato dell’Unione Europea) e del Protocollo 1 ai trattati «Sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea» di cui la legge 234 non ne è altro che il recepimento, il Parlamento deve essere adeguatamente informato in modo che possa dare le direttive politiche affinché il negoziato sia condotto nell’interesse della nazione.
Inoltre all’art.2 del Protocollo si prevede che siano le stesse istituzioni UE – Eurogruppo e simili consessi intergovernativi compresi – a trasmettere i documenti discussi ai parlamenti nazionali. Obbligo ad oggi inadempiuto.
L’unica certezza che ci rimane è che, nella bozza negoziata ad ora, in linea con il funzionamento della UE e quindi con anche le restanti riforme del «pacchetto», la restituzione dei fondi erogati al MES, nel caso in cui fosse necessario il salvataggio del nostro sistema bancario, risulta condizionata al rispetto di criteri e parametri che il nostro Paese si sa già non essere in grado di rispettare: rimane il solito obbligo di contribuire al fondo con la certezza di non rispettare le condizionalità necessarie per vederseli restituire. E il motivo è evidente: ovvero «il sacco di Roma».
La riforma del MES – presa o meno con il resto del fantomatico «pacchetto» – rimane quella che è: un pacco confezionato per truffare e derubare gli italiani.
5/12/2019 di Bazaar
(Fonti e approfondimenti: La logica del pacchetto)